E’ morto Umberto Eco ed è nata immediatamente una nostalgia proiettata più ad un futuro impossibile che ad un ricordo passato godibile.
“L’editoria è un modo molto elegante per dissipare i propri risparmi”, diceva Umberto Eco in una delle sue ultime interviste, parlando della sua nuova avventura editoriale con “La nave di Teseo”, dopo aver abbandonato la storica collaborazione con quella che oramai definiva in maniera non certo lusinghiera “Mondazzoli”. Inutile sottolineare quanto un editore indipendente possa rivedersi in questa considerazione, amara come la consapevolezza e vigorosa come la voglia di combattere battaglie perse per non sentirsi sconfitti. Eco aveva 84 Anni ed una mente ancora perfettamente pimpante, brillante e produttiva. L’addio ad un grande come lui dura qualche attimo, mentre il ricordo resta eterno, insieme alla nostalgia che abbraccia il cuore. E a proposito di ricordi incancellabili, come non ripercorrere il fragore delle risate fatte insieme a mio padre, leggendo capolavori come “Il Diario Minimo“, che racchiudono perle come la “Fenomenologia di Mike Buongiorno“. Eco ti scaraventava nella lettura con una violenza gentile, ti faceva sentire infinitamente piccolo al cospetto della sua grande cultura ed al contempo permetteva anche a te, minuto lettore avido di spunti, di affondare in quella sapienza mai avvilente e polverosa, poiché perennemente tesa al dinamismo della curiosità e dell’ironia. Raffinato e talvolta elitario nella prosa (in quanti non sono riusciti a finire il suo “Il nome della Rosa“?), riusciva però a produrre anche autentiche perle fruibili a menti meno erudite, tendendo loro una mano generosa. Uno scrittore per buongustai della parola che valicava però lo snobismo para-intellettuale e pomposo di molti altri autori del 900 e dei loro lettori.
Diceva anche che la lettura permette di raggiungere “un’immortalità all’indietro” e, sulla morte, in una delle sue belle lettere (era il 2012), scriveva che oramai “si consuma lontano da noi in ospedale, che di solito non si segue più il feretro al cimitero, che i morti non li vediamo più. O meglio, ne vediamo continuamente, che schizzano brandelli di cervello sui finestrini dei taxi, saltano in aria, si sfracellano sui marciapiedi, cadono in fondo al mare coi piedi un cubo di cemento, lascian rotolare sul selciato la loro testa – ma non siamo noi o i nostri cari, sono gli attori. La morte è uno spettacolo, persino nei casi in cui i media ci raccontano della ragazza realmente stuprata o vittima del serial killer. Non vediamo il cadavere straziato, perché sarebbe un modo di ricordarci la morte. Ci fanno vedere gli amici piangenti che recano fiori sul luogo del delitto e, con un sadismo ben peggiore, suonano alla porta della mamma per chiederle «Cosa ha provato quando hanno ucciso sua figlia?». Non si mette in scena la morte bensì l’amicizia e il dolore materno, che ci toccano in modo meno violento.
Così la scomparsa della morte dal nostro orizzonte di esperienza immediato ci renderà molto più terrorizzati, quando il momento si approssimerà, di fronte a questo evento che pure ci appartiene sin dalla nascita – e con cui l’uomo saggio viene a patti per tutta la vita”.
Ora Eco ci mancherà tantissimo, come ogni grande scrittore, perché sapendolo morto lo sentiremo ancora più parte della nostra vita, punto di riferimento adesso ancor più fermo ed immutabile e per questo colmo di una nostalgia futura, consapevole che non potranno esserci nuovi spunti cui attingere e nuove opere con le quali nutrirsi. Potremo continuare a ripescare dalla sterminata mensa delle sue opere, sapendo però che non ci saranno nuove pietanze per la nostra mente. Eco ha fatto parte della nostra famiglia, ricordandocelo con forza proprio quando ci ha dato l’ultimo saluto e, noi che lo abbiamo letto e riletto, avremmo voluto stringerlo non solo col pensiero un ultima volta, come si fa con un padre o un nonno che hanno vissuto lontani, rimanendo terribilmente vicini.
Molti ora si precipiteranno a rileggere le sue opere o a leggere quelle che non avevano mai considerato. Le vendite dei suoi libri s’impenneranno, tanti di coloro che a stento conoscevano il suo nome lo celebreranno sui social network per mero e patetico narcisismo. Tutto perfettamente ed odiosamente normale; che quando un grande muore il resto del mondo cerca in tutti i modi di renderlo più vivo di quando fosse in vita, almeno per un po’.