Negli ultimi anni, il dibattito sul presunto minor guadagno delle donne ha interessato praticamente tutto il mondo: dagli USA all’Europa. Come sempre accade quando ideologia ed interessi politici incrociano la realtà, il tutto si è ridotto a qualche slogan, a molti dati imprecisi e carenti e ad altrettante statistiche viziate da metodologie di raccolta ed analisi a dir poco grossolane. A smontare il mantra insistente del cosiddetto “wage gap”, che raggiungerebbe addirittura vette del 30/40%, ci ha pensato un certo Economist, con questo ottimo ed approfondito articolo che vi consiglio di leggere attentamente. Basterebbe però lo stesso buon senso utilizzabile nell’analizzare dati statistici non inquinati da propaganda politica a rompere il muro di conformismo dialettico innalzato. Quali sarebbero questi dati statistici? Qualche esempio lampante: le donne lavorano tendenzialmente meno degli uomini (già solo se consideriamo la maternità), fanno lavori che sono per tipologia meno remunerativi (es: insegnanti vs ingegneri o broker finanziari) e molto meno rischiosi (es: operai edili e siderurgici specializzati, militari ecc). In linea sia teorica che pratica, una rappresentante del cosiddetto “sesso debole“, sopratutto in paesi culturalmente più avanzati come persino il nostro può considerarsi, può decidere di fare più o meno qualsiasi cosa: dalla pornostar all’astronauta, passando dall’innovatrice al medico chirurgo e finendo al magistrato o al politico. Ci sarebbe più che altro da chiedersi e da studiare perché, ad esempio, pur essendo libere di dedicarsi ad altro, le donne continuino a scegliere “lavori di genere” che andavano in voga negli anni passati e si appassionino molto meno degli uomini, ad esempio, all’innovazione tecnologica o a materie come l’ingegneria. Sarà che, un po’ di sana differenze nelle scelte professionali ed accademiche non solo è inevitabile ma anche auspicabile? A questo punto vorrei porre una domanda semplice: cosa impedisce, oggi, in Occidente, che una donna arrivi dove è arrivata Angela Merkel? Cosa impedisce ad una giovane ragazza di tentare di perseguire la stessa carriera professionale di Samantha Cristoforetti? Risposta altrettanto semplice: praticamente nulla di insormontabile, per chi ha le qualità e la volontà adatte per riuscire. Una donna tenace e capace, oggi, per fortuna di tutti, può arrivare dove vuole e questo è un altro dato di fatto (il principale da considerare), con buona pace di chi ricerca giornalmente “alibi di genere” per i propri, plurimi fallimenti e per le proprie carenti capacità. Del resto, oggi come ieri, se un uomo non raggiunge i suoi traguardi professionali è tendenzialmente visto come un perdente, dato che ha non alcun alibi di genere da opporre e nel quale rifugiarsi e non hanno tutta la stampa cosiddetta “mainstream” pronta a compiangerlo e a lanciare “pubblicità progresso” in sua difesa. Se non ci riesce una donna è invece perché qualcosa di esterno l’ha condizionata e/o limitata. A questo punto la doppia “morale” dovrebbe essere evidente ed innegabile, anche per i più faziosi.
E LE DONNE CHE PENALIZZANO ALTRE DONNE?
Tra l’altro, quando si parla di stesse mansioni, stesso monte orario, stessi ruoli, anche perché è la legge a non ammettere discriminazioni di genere, il divario si riduce fino a scomparire pratiamente del tutto. Se non è così, sarò felice di analizzare dati e statistiche che smentiscono ciò che dico in maniera chiara e verificabile, senza costruire il discorso in maniera vaga ed emotiva. Altra provocazione: siamo poi sicuri che, quando parliamo di aziende private e ruoli manageriali, le donne che guadagnano meno degli uomini non siano semplicemente meno capaci e “skillate” dei propri colleghi, almeno in alcuni casi? Difficile, se non quasi impossibile inserire all’interno delle statistiche un elemento così soggettivo e non misurabile, che però di sicuro esiste e va tenuto in seria considerazione. Ho lavorato in contesti internazionali dove molte donne guadagnavano più di noi, perché erano più capaci, avevano più titoli e più esperienza. Nessun uomo sottoposto si sarebbe sognato di dirsi discriminato in quanto “maschio”. Consideriamo poi che spesso, ed anche questo è innegabile, sono le donne molto competitive a farsi spietata concorrenza tra loro e a demansionare, umiliare, mobbizzare o licenziare altre donne, magari in gamba ma più giovani ed avvenenti. Insomma: gli orchi brutti e cattivi non sono solo di sesso maschile e a volte anche le stesse miss utilizzano schemi sessisti per penalizzare le proprie colleghe o anche solo per denigrarle (“è più bella di me e per questo ha fatto carriera prima e meglio”). Eppure, quando certo femminismo frignone e fazioso prende la parola, parla sempre e solo suggerendo uno stereotipo della donna perennemente vittima, soggiogata, impotente e, diciamocelo: anche un po’ patetica nel suo lagnarsi perpetuo. Il “gentil sesso” sembra non avere carattere, forza, capacità di reazione: subisce il mondo circostante e al massimo piange e denuncia discriminazioni vere o presunte. A leggere certa letteratura femminista è tutto un piovere di abusi sessuali intollerabili, di discriminazioni scandalose, di ali tarpate, di giudizi inverecondi quanto ingiusti, di libertà limitate, di opportunità precluse e via discorrendo. Ovvio che ci siano episodi vergognosi ed intollerabili che vanno denunciati e severamente perseguiti, ovvio che certi abusi siano da castrazione chimica immediata e meritino il massimo rispetto, il massimo ascolto ed un intervento deciso. Ma non facciamo passare il folle e fuorviante messaggio che siano la regola; che ogni donna un minimo attraente nella sua vita professionale debba subire esclusivamente e giornalmente molestie di ogni sorta, pena la carriera bloccata. Per fortuna non è così e di esempi che lo dimostrano ce ne sono (fortunatamente) sempre di più, praticamente in tutti i settori che contano.
NON SIAMO IN IRAN ED IL 1930 E’ PASSATO DA UN PO’
Vorrei inoltre ricordare a tutte le signore inviperite all’ascolto che per loro fortuna non vivono in Iran e che il 1930 è passato da un po’, almeno per loro. In che senso? Nel senso che, mentre per fortuna sono caduti la stragrande maggioranza dei retaggi patriarcali e maschilisti del secolo scorso che soggiogavano la donna e la vedevano come “poco di buono” se osava laurearsi e fare carriera, per gli uomini sono però rimasti quei costrutti culturali (soprattutto nel meridione d’Italia) che li vedono ancora come “breadwinner”, ovvero come coloro che hanno il dovere primario di provvedere al sostentamento della propria compagna. In città dove i mezzi pubblici funzionanti sono un miraggio, un uomo che non può permettersi un’auto e tutte le spese che essa comporta è un potenziale emarginato. Non parliamo poi di quei poveretti che, precari o neo-disoccupati, non possono permettersi neppure di offrire una cena al primo appuntamento (e i biglietti del cinema a quelli successivi).
IL “POVERO” UOMO CONTEMPORANEO
L’uomo contemporaneo ha gli stessi, identici doveri di protezione e sicurezza economica di un tempo, con in aggiunta anche le (giuste) mansioni domestiche da condividere con la propria compagna. A queste novità, che sono responsabilità ulteriori prima inesistenti, si devono aggiungere una precarietà professionale ed esistenziale mai affrontata prima. Insomma: tutto sommato non è che ci sia molto da invidiare a chi è nato maschio dagli anni 80 in poi, soprattutto se questo pover’uomo è anche poco istruito e vive in qualche città del sud, dove una donna può comunque sempre rifugiarsi nelle “cose di casa” senza sentirsi per questo giudicata come fallita ed un uomo non può certe mettersi a fare il “casalingo”. In altri termini, come giustamente sottolineava una famoso comico newyorkese del quale ora mi sfugge il nome: “Perché volete pari stipendi e pari diritti, ma poi se non vi offriamo passaggio in auto, cena e cinema sotto sotto pensate che siamo dei taccagni o dei pezzenti”?.
Al di là delle dichiarazioni ipocrite di modo, infatti, oggi un uomo che non può permettersi certe “galanterie” retaggio di un’epoca passata è visto male, in alcune zone del paese malissimo. Di recente mi è capitato uscire con delle professioniste, dotate quindi di stipendio e quindi reddito talvolta anche superiore al mio, al quale ho sempre offerto pranzi, cene, spuntini ecc. Quando lo facevo, il loro commenta era sempre lo stesso:”Si vede che sei un uomo del sud”. Qualcuno faceva considerazioni poco carine sul collega che, invece, si era permesso di pretendere la divisione del conto. Ed è proprio così, innegabilmente e come regola generale: un uomo che non offre tutto ciò che si può offrire quando si esce in coppia, è nella migliore delle ipotesi è uno spilorcio, nella peggiore un morto di fame che non vale la pena frequentare. Al contempo, una donna che non ha reddito né auto, anche se ha 28 anni e ancora “studia all’Università”, non dovrà certo sentirsi una parassita se per i primi tre-quattro appuntamenti il suo compagno provvederà ad ogni necessità. Questo perché tale pratica è di fatto una regola sociale, appunto di genere, che crea uno squilibrio generalmente tollerato e in parte proprio preteso. Immaginate invece un’ipotetica prima uscita con lui che deve precisare: ”Senti, visto che non lavoro da un anno e non ho più un soldo, ho dovuto vendere l’auto e sono tornato a vivere dai miei, dovresti venirmi a prendere e riaccompagnarmi tu questa sera”. Non ditemi che ad una donna in condizioni identiche si presenta lo stesso problema, nella stessa misura, perché mentireste sapendo di farlo. Dunque ecco che, anche un eventuale minor compenso medio, laddove effettivamente esistente e di sicuro non pari al 30% millantato, sarebbe compensato da minori e meno onerosi obblighi economico-finanziari di base per essere inclusi nella vita sociale.
LA CONFERMA DELL’ECONOMIST: IL NUOVO SESSO DEBOLE SONO GLI UOMINI
Al di là del senso di vendetta cieco (e ottuso) di certo (e non a caso ho scritto “certo” ogni volta) femminismo iracondo e lagnoso, poi, come detto anche l’Economist conferma quella che non è solo una personale e quindi per questo risibile sensazione, ma un dato di fatto sempre più eclatante ed innegabile, anche in stati sicuramente più avanzati del nostro come gli USA. A tal proposito, l’autorevole rivista anglosassone non fa altro che analizzare le statistiche riferite ai titoli di laurea ed ai master conseguiti da donne ed uomini, sottolineando come le prime siano la maggioranza già in molti paesi ed abbiano redditi crescenti. L’analisi, come detto, è molto approfondita e si basa sui numeri, non su prese di posizione ideologiche. In Italia soprattutto, poi, la povertà crescente dell’uomo che svolge lavori semplici e non qualificati è attestata da innumerevoli ricerche oltre che da ciò che chiunque può percepire parlando con le persone e girando per le strade. I padri separati con lavoro precario o impiegatizio di basso livello sono tra le categorie più falcidiate nei tribunali, durante le cause di separazione, che tengono ancora conto di leggi degli anni 40 e sono ancora molto refrattari ad applicare principi sacrosanti come quello della bigenitorialità. E neppure le donne poco qualificate se la passano bene, anzi: i casi di donne che perdono la custodia dei figli per il loro scarso o inesistente reddito sono più numerosi di quanto si possa pensare. Come noto ed attestato, però, in un causa di divorzio i figli vengono affidati alla madre nella stragrande maggioranza dei casi e, con essi, c’è anche il conseguente mantenimento. Così, un impiegato che guadagna 1300 euro al mese ed ha magari già un mutuo acceso, si ritrova costretto a pagare anche il fitto e tutte le spese accessorie per una nuova casa e ad aggiungere l’assegno di mantenimento per la propria ex moglie ed i figli, avendo così enormi difficoltà a condurre una vita dignitosa. Lo studio dell’Economist non a caso conferma che “the new gender gap is at the other end of the pay spectrum. And it is not women who are suffering, but unskilled men”. Ovvero: “Il nuovo gap di genere si trova al lato opposto della questione legata agli stipendi. E non sono le donne che ne soffrono, ma gli uomini professionalmente non qualificati”. Ancora una volta, a costo di risultare ripetitivo, ci terrei dunque a sottolineare che nella nostra epoca e data la fase storica decadente che stiamo affrontando, non dovrebbero esistere guerre tra poveri e battaglie di genere: giovani contro anziani, neri contro bianchi, stranieri contro italiani, maschio contro femmine ecc ma solo due schieramenti contrapposti: privilegiati sempre più ricchi e loro alleati più o meno consapevi vs resto della ciurmaglia sempre più confusa, derubata ed incapace di trovare una linea di battaglia comune per chiedere l’unica cosa che conta: minore squilibrio nella crescente disuguaglianza economica portata dalle politiche neoliberiste.
Per concludere, concedetemi una battuta da cabaret grezzo per sdrammatizzare: magari è vero che le donne guadagnano un po’ meno degli uomini, me in compenso rompono molto di più i maroni.