La domanda è di quelle calde, insomma, di quelle “da un milione di dollari”. O forse bisognerebbe dire “da un milione di voti”? Eh sì perché sulla vicenda del voto dei 5 stelle alla Commissione Lavori Pubblici si è aperta una riflessione che coinvolge stampa, frange politiche e coerenza intellettuale. Quel che sappiamo è che in un articolo di Gabriella Cerami pubblicato su Huffington Post e quello di Pasquale Napolitano su Retenews24, il M5S avrebbe votato Altero Matteoli, rinviato in giudizio per la vicenda di corruzione legata al MOSE con l’obiettivo di “fare uno sgambetto al Pd”. Ma si possono usare le istituzioni per fare sgambetti alla maggioranza?
Naturale che da questa notizia ne nasca una certa riflessione portata avanti dall’ala moderata del Parlamento che, anziché ringraziare, si domanda dove sia finita “l’onestà a cinque stelle”. Eh sì perché Matteoli, anche se non è stato mai condannato in via definitiva, non ha la fama di essere “uno stinco di Santo”, per usare le parole di Cioffi che dichiara all’Huffingtonpost: “Sta dentro le istituzioni da trent’anni, con le nostre regole sarebbe a casa da venti. Ha capi di imputazione come quello del caso Mose. Però non ha mai fatto pressioni, ha fatto il suo lavoro ed è equilibrato. A volte le figure vanno al di là degli schieramenti“.
Ma se alcune “figure vanno al di là degli schieramenti”, viene da chiedersi se esista una figura politica, magari provvista di determinati capi d’imputazione, che possa indurre un intero gruppo politico ad andare al di là della coerenza e dell’onestà tanto propagandata. A questa domanda Grillo o un qualsiasi membro del direttorio avrebbe risposto di no un po’ di tempo fa, quando ancora venivano considerati “i paladini dell’anti-politica”. Quelli che, invece di votare contro, manifestavano nelle sedi pubbliche per poi abbandonare l’aula, ben consapevoli che questa tattica non avrebbe prodotto risultati. Oggi però la tattica a 5 stelle per aggirare il pericolo della “cricca pd”, dove sarebbero stati favoriti gli amici degli amici, è assolutamente politica. Coloro che non hanno mai stretto alleanze con nessuno, stavolta non esitano a fare da ago della bilancia unendosi ad altre correnti per mandare in fumo un progetto della maggioranza o, almeno, è questa la spiegazione che danno al voto che avrebbe favorito Matteoli alla presidenza della Commissione Lavori Pubblici. Il problema è che, in questo caso, il presidente neoeletto è stato accusato nel 2014 di corruzione in merito alla vicenda MOSE che conta un totale di 100 indagati.
Sempre secondo quanto dichiarato da Andrea Cioffi (M5S) “la loro (quella del PD, n.d.r.) era una spartizione di poltrone con gentucola che gli gira intorno. Invece, con Matteoli presidente, abbiamo affrontato la riscrittura del codice degli appalti in un clima collaborativo. Abbiamo chiesto audizioni e non c’è mai stato un blocco. Così come, seppur su posizioni discordanti, abbiamo lavorato sul caso della vendita delle azioni di Ferrovie dello Stato“. Nonostante gli sgambetti, tra i vicepresidenti e segretari della stessa commissione figurano ben due nomi del Pd, uno di Sel e uno del M5S. Più precisamente i vicepresidenti sono Esposito (Pd) e Cervellini (Sel), mentre i segretari sono Scibona (M5S) e Cantini (Pd).
I GUAI GIUDIZIARI DEL SEMPITERNO MATTEOLI
Un uomo di oggettivo carisma che non ha motivi per far pressioni, è già autorevole di suo e ha avuto moltissimi incarichi, sia in Parlamento, sia nella politica locale Toscana in particolare ha ricoperto cariche pubbliche nelle città di Livorno, Orbetello (GR) e in Garfagnana (LU). Coinvolto in diversi procedimenti giudiziari, l’ex Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, tra i forti sostenitori della teoria che vede Berlusconi come un perseguitato dalla giustizia”, è sempre caduto in piedi.
Verrebbe da dire che oltre a essere un uomo di carisma, il “sempiterno” Matteoli è sicuramente un uomo di parola. Da quanto si apprende dai capi d’imputazione, non avrebbe esitato a proteggere i suoi amici ed è stato per questo accusato due volte di “favoreggiamento” e una volta anche di “rivelazione di segreto istruttorio”, come nel caso del mostro di Procchio, nell’Isola d’Elba. Si legge su Wikipedia:
Nel 2004, quando era ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, viene accusato di favoreggiamento, per aver avvisato il prefetto di Livorno, Vincenzo Gallitto, di un’inchiesta a suo carico per abusi edilizi nell’Isola d’Elba che devastano il patrimonio ambientale della zona. Il tribunale dei ministri di Firenze dichiara la sua non competenza e lascia il caso alla giustizia ordinaria. Nel 2009, la giunta della Camera nega l’autorizzazione a procedere per Matteoli, scatenando le critiche dell’opposizione. Il suo protetto, Vincenzo Gallitto invece è stato condannato.
Nel febbraio 2005, quando era ministro dell’Ambiente, è stato indagato di nuovo per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio in relazione all’inchiesta sul “mostro di Procchio”, un complesso in costruzione a Marciana nell’isola d’Elba, in merito alla quale Matteoli, in una telefonata col prefetto di Livorno, aveva chiesto informazioni sulla notizia di una possibile indagine a suo carico per abusi edilizi, indagine al tempo ancora ignota al prefetto che dunque si allertò distruggendo le prove. L’indagine si inseriva in una più vasta inchiesta che coinvolgeva, tra gli altri, un giudice e due prefetti, accusati di corruzione. Poi il l’ecomostro di Procchio è stato abbattuto. Rinviato a giudizio il 4 maggio 2006, dopo la prima udienza in ottobre, il 17 maggio 2007, la Camera bloccò il processo (394 voti favorevoli, 2 contrari e 32 astenuti), sollevando un conflitto di attribuzione tra poteri dello stato alla Consulta contro il Tribunale di Livorno che, non considerando la telefonata del Matteoli al prefetto di Livorno riconducibile alle sue funzioni ministeriali, aveva proceduto senza richiedere l’autorizzazione a procedere alla Camera. Nel luglio 2009 la Corte Costituzionale ha annullato la richiesta di rinvio a giudizio espressa dal Tribunale di Livorno per favoreggiamento in relazione alla vicenda del complesso dell’isola d’Elba e dava ragione alla Camera dei deputati che aveva sollevato il conflitto di attribuzione, sostenendo che avrebbe dovuto essere il Tribunale dei Ministri a giudicare il ministro, previa autorizzazione a procedere da parte della Camera.
Nel 2014 Altero Matteoli risulta indagato per corruzione, tra i 100 indagati dalla Procura di Venezia, per l’inchiesta sul MOSE. l’ex Ministro dell’Ambiente e poi delle Infrastrutture e Trasporti nei Governi Berlusconi sarebbe entrato nel gioco di dazioni di denaro, in cambio di favori, costruito da Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, concessionario del ministero delle Infrastrutture per la realizzazione dell’opera, accusato di aver condizionato l’assegnazione dei lavori con la creazione di fondi neri da destinare al finanziamento illecito. In particolare, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, avrebbe confermato le accuse nei confronti dell’ex ministro: aveva riferito di aver consegnato in diverse occasioni più di 400.000 euro, proveniente dalla casse del Consorzio, per le campagne elettorali di Altero Matteoli e, inoltre, di aver inserito nell’appalto per i lavori di bonifica e marginamento l’azienda di Erasmo Cinque, compagno di partito dell’ex ministro, su richiesta pressante di Matteoli. Erasmo Cinque intascò una parte degli utili degli interventi pur non avendo lavorato mai.
In realtà in questo estratto non si fa menzione di una seconda tangente di 150 mila euro che va ad aggiungersi alla tangente di 400 mila. Si tratterebbe, sempre secondo il procedimento, di tangenti elargite da Mazzacuti e Baita, coinvolti nello stesso procedimento.
TRA COERENZA E STRATEGIA
Marco Scibona (M5S) a Retenews24 nega strategie politiche dietro alla vicenda dei voti alla commissione lavori pubblici e lo fa nonostante le parole di Cioffi smentiscano categoricamente quanto da lui dichiarato: “E chi ha detto che l’ho votato? Se Matteoli è passato non è certo grazie ai nostri voti: il problema casomai à del Pd che non riesce a gestirsi i suoi. Noi sulla presidenza non avevamo nessuna indicazione: siamo in tre e il nostro voto – conclude – non è stato determinante”. Oltre che da Cioffi, Scibona viene smentito anche dai numeri. Loro sono in tre, come dice lui stesso: Matteoli ha avuto 12 voti, mentre Vittorio Fravezzi (Autonomie) che si è fermato a 9 voti. Il risultato della sottrazione matematica 12 – 9 è esattamente 3, non tre e mezzo. E questa è l’unica vera certezza.
La riflessione che si è aperta dopo questa rivelazione sta correndo tra i Meet up locali ma, per fortuna, ha aperto una riflessione anche da parte di una certa stampa che ha il coraggio di affrontare l’intoccabile Movimento 5 stelle, dove se fai una critica “sei del PD”. Come ha ricordato Cerami sull’Huffington Post:”I tempi del post sul blog di Beppe Grillo, rilanciato da Luigi Di Maio su Facebook, dal titolo “Larghe intese in manette” sembrano lontani. I grillini si domandavano “cos’altro devono fare questi partiti per non meritare più il voto dei cittadini italiani?” e ricordavano che da sempre il Movimento pentastellato si occupa del Mose e ha mostrato “preoccupazioni in merito ad utilità e meccanismi d’appalti“.
Ma la credibilità del Movimento 5 stelle, già messa a rischio dal caso di Quarto, non passa forse anche dalla coerenza con cui si decide di affrontare battaglie politiche interne come le votazioni per le Commissioni parlamentari? E’ giusto usare le istituzioni e contravvenire a un principio del Movimento per sabotare, con tattica di politica spicciola, eventuali piani della maggioranza? A quanto pare sì, perché ci sono figure che “vanno al di là degli schieramenti” e per cui è possibile fare una deroga alla coerenza.