D’accordo, i freddi dati: il Mezzogiorno torna a crescere, anche se le retribuzioni sono ancora piuttosto inferiori rispetto a quelle del Nord; il Sud è la zona d’Italia che ha risentito di più della crisi, con oltre il 70% di posti di lavoro persi rispetto al totale; il tasso di natalità si è rallentato, gli investimenti registrano un calo. Insomma, come al solito il rapporto annuale dello Svimez scatta un’istantanea della situazione economica e sociale del Mezzogiorno italiano, una fotografia che oscilla tra qualche chiaro e diversi scuri.
Ma c’è di più, anche se in pochi lo riportano: l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno prova ad andare oltre la fotografia, provando a darle movimento e a tracciare delle linee di azione futuribili, delle proposte di intervento che, secondo il rapporto, potrebbero dare uno sblocco allo stallo. Un vero e proprio documento politico dal quale si invita implicitamente il governo Renzi a trarre spunto.
REDDITO MINIMO
Da una parte, nel dibattito italiano di questi tempi sulla necessità di introdurre un reddito minimo garantito, c’è il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle, che prevede un sussidio massimo di 780 euro. Dall’altro il reddito di inclusione sociale, nato da Caritas e Acli, che prevede l’erogazione di un sussidio di 400 euro mensili. Lo Svimez nel suo rapporto effettua una simulazione di costi ed efficacia dei due modelli, se venissero applicato allo status quo del 2013. Ebbene, con 4 milioni e 400mila poveri assoluti, si sarebbe registrato un livello massimo di spesa di 8,4 miliardi per il Reis e di 16,4 miliardi di euro per il reddito di cittadinanza. Le regioni più povere, Campania e Sicilia, avrebbero ricevuto rispettivamente 3,7 miliardi o e 7,7 miliardi. Misure, conclude il rapporto, che potrebbero essere sostenibili per la spesa pubblica, e dunque tecnicamente attuabili. “Le preoccupazioni relative al costo delle misure anti-povertà hanno sinora prevalso su ogni altra considerazione relativa all’eguaglianza – è la conclusione, molto netta – Il compito del decisore pubblico dovrebbe di scegliere o di mediare tra le proposte in campo, nella consapevolezza però che una misura universalistica di sostegno al reddito non è più rinviabile“.
LEGGE DI STABILITA’
Altre delle misure proposte dovrebbero investire direttamente la nuova legge di stabilità, e non a caso il suggerimento arriva proprio alla vigilia dell’inizio della sessione di bilancio: lo Svimez propone ad esempio di prorogare nel Mezzogiorno anche per il 2016 con la stessa intensità (ovvero fino a 8mila euro l’anno) e con la stessa durata (36 mesi) l’esonero dal pagamento dei contributi Inps a carico del datore di lavoro, già presente nella legge di Stabilità per il 2015 per le nuove assunzioni a tutele crescenti. Questo perché “in quest’area si è concentrata la perdita di occupazione nella crisi e tanto più visto che, anche l’anno scorso, la misura è stata finanziata con risorse destinate agli investimenti nel Mezzogiorno” (per un totale di 3,5 miliardi, ndr). Poi c’è la questione fondi: secondo lo Svimez andrebbero previste corsie preferenziali per le imprese meridionali nell’accedere per esempio al Fondo italiano di investimenti, al Fondo strategico italiano e al credito all’export. E bisognerebbe intervenire per una spesa tra 1,5 e 3 miliardi sulla riqualificazione dei porti Napoli, Torre Annunziata, Salerno, Gioia Tauro, Messina, Catania, Taranto e Termoli.
CULTURA
Il Sud avrebbe poi bisogno, suggerisce lo Svimez, di investire sulla cultura. O meglio sull’industria culturale. A fronte di un patrimonio artistico e culturale immenso, il Sud d’Italia nel 2014 ha dato lavoro ad appena 283mila persone: nello stesso anno il settore ha contato 1,3 milioni di lavoratori al Nord e 350mila al Centro. Con un investimento adeguato, spiega il rapporto, si creerebbero almeno 200mila nuovi posti di lavoro, di cui circa 90mila laureati.
RINNOVABILI
L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno rilancia poi il progetto di una Napoli “geotermica e carbon free”. Secondo lo Svimez, intervenendo su circa 10mila edifici, della media di su di dieci unità abitative ciascuno, si garantirebbe un risparmio di circa 6600 euro all’anno per fabbricato (quindi 660 euro l’anno per famiglia), con un impatto annuo sul Pil napoletano dell’1,4%: il tutto per un investimento stimato di circa 510 milioni di euro l’anno, più 100 di manutenzione, in grado peraltro di creare 15 mila nuovi posti di lavoro in quattro anni. Un impegno importante, un messaggio chiaro al governo a prendere impegni in prossimità dell’attesissima Conferenza sul Clima (COP21), che si terrà a Parigi il prossimo dicembre. Alla quale l’Italia arriva, secondo Greenpeace “impreparata e senza idee”.