La fine della guerra fredda, quella che si è conclusa simbolicamente il 9 novembre 1989 con la caduta del Muro di Berlino, ma più propriamente il 26 dicembre 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha lasciato via libera agli Stati Uniti d’America, pronti a raccogliere il testimone dell’egemonia planetaria in un mondo che per diversi anni ha assunto un assetto unipolare. L’emergere di nuovi attori sulla scena internazionale (alla faccia della “fine della storia” profetizzata da Francis Fukuyama), in particolare della Cina, e la rinascita della Russia sotto la guida di Vladimir Putin, hanno però scardinato la leadership statunitense a livello globale, portandoci in quella che molti analisti stanno oramai ribattezzando una “seconda guerra fredda”.
LA NATURALE ALLEANZA TRA CINA E RUSSIA
L’assetto geopolitico attuale ha portato dunque alla formazione di due nuovi schieramenti contrapposti. Da un lato, quello più antico guidato da Washington e che può essere schematicamente riassunto con la sigla NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord), ma che include anche altri Paesi facenti parte dell’orbita statunitense (Israele, Colombia e Messico, ad esempio), in pratica il vecchio “blocco occidentale”. Dall’altro, gli “sfidanti” per la leadership mondiale, la Cina e la Russia, che hanno trovato diversi alleati, seppur non sempre affidabili, in Paesi che già erano in contrasto con l’egemonia statunitense (come l’Iran o il Venezuela).
L’alleanza tra Cina e Russia appare di conseguenza naturale e potenzialmente addirittura più solida di quella della prima guerra fredda, quando i due più grandi Paesi comunisti si trovarono in dissenso su diverse questioni, arrivando addirittura ad alcune schermaglie armate nel 1969, sull’isolotto di Zhenbao, nelle acque del fiume Amur. Al momento, infatti, gli interessi dei due Paesi sembrano non cozzare fra loro, con il nemico comune individuato negli Stati Uniti. Lo scenario attuale vede così la Cina mettere a repentaglio il primato di Washington in campo economico, mentre la Russia si sta prodigando per fare lo stesso dal punto di vista militare.
È in questo quadro che va letto l’accordo raggiunto recentemente tra le parti, in occasione della visita di Wei Fenghe, Ministro cinese della Difesa, a Mosca, naturalmente con l’investitura del presidente Xi Jinping. In occasione dell’incontro con l’omologo russo Sergey Shoigu, Wei ha affermato di voler “mostrare al mondo l’alto livello di sviluppo delle relazioni bilaterali tra i due Paesi e la ferma determinazione delle nostre forze armate per rafforzare la cooperazione strategica”.
Parole che, già di per sé, rappresenterebbero un messaggio chiaro a Donald Trump. Wei, però, si è spinto addirittura oltre, dichiarando di essere venuto “a mostrare agli americani gli stretti legami che intercorrono tra le forze armate di Cina e Russia”. In pratica, una vera e propria alleanza contro gli Stati Uniti fatta alla luce del sole, che toglie ogni dubbio sull’esistenza di una seconda guerra fredda nell’attuale scenario geopolitico globale.
I “PUNTI CALDI” DELLA SECONDA GUERRA FREDDA
L’espressione “guerra fredda”, coniata già nel 1945 da George Orwell, sta generalmente a significare un conflitto non armato, come quello avvenuto nel secondo dopoguerra tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Tuttavia, questa definizione non è completa: più precisamente, ciò che non avvenne mai è lo scontro diretto tra gli eserciti delle due superpotenze globali, mentre vi furono tutta una serie di conflitti su scala geograficamente ridotta, le cosiddette “guerre delegate” (Corea e Vietnam ne sono i due esempi più celebri).
Se il duello tra Russia e Stati Uniti a suon di cacciata di diplomatici può rappresentare un esempio lampante di guerra fredda, allo stesso tempo non mancano i “punti caldi” del conflitto. Uno è sicuramente la Siria, dove Mosca e Washington si sono confrontate a lungo, e dove Vladimir Putin sembra aver oramai riportato un’importante vittoria (con la possibilità di dare agli USA il colpo di grazia, strappando all’avversario un alleato importante come la Turchia). Dall’altro lato c’è invece la Corea del Nord, che ricorda piuttosto una situazione simile a quella della crisi missilistica cubana, e che vede il coinvolgimento della Cina come supporto al governo di Pyongyang, come dimostrato dalla recente visita del leader Kim Jong-Un nell’Impero Celeste. Non è ancora ben delineata, invece, la questione del Venezuela, dove per ora né Russia né Cina si sono esposte eccessivamente in difesa di Caracas, ma il Paese sudamericano ha tutto il potenziale per rappresentare un altro teatro di scontro.
Non dimentichiamo, poi, la corsa della Cina agli investimenti in Africa, la cui avanzata sta facendo impallidire sia gli Stati Uniti che le vecchie potenze coloniali europee, tant’è che Pechino è oramai di gran lunga il primo investitore del continente. Il successo cinese in Africa è stato magistralmente riassunto così da Alfredo Mantica, “la strategia cinese è lineare ed estremamente mercantile: infrastrutture in cambio di materie prime. Gasdotti, oleodotti, strade, ferrovie, palazzi istituzionali e sfruttamento delle concessioni minerarie, di terre per l’agricoltura. Non è un modello per costruire paesi democratici, è vero, ma bisogna anche avere il coraggio di guardare ai fatti: per difendere la libertà e l’indipendenza del Sud Sudan, come sembrava gli occidentali volessero fare fino a ieri, è certamente più importante il progetto cinese dell’oleodotto che collega le fonti petrolifere a Kenya/Tanzania e rende inutile l’oleodotto verso il Sudan. Si dirà che non si costruiscono così paesi democratici. Ma non si ricordano dittatori abbattuti con gli aiuti allo sviluppo. E poi smettiamo di battezzare campioni di democrazia leader africani solo perché ci paiono amici“.
Da aggiungere, infine, che la Cina, per la prima volta, ha inaugurato una base militare al di fuori del proprio territorio nazionale: è accaduto il 3 agosto dello scorso anno a Gibuti, Paese storicamente nell’orbita francese (fu infatti già colonia transalpina con il nome di Somalia francese), situato in una posizione strategica, sulle sponde del Golfo di Aden, una delle aree marittime più trafficate al mondo.
Gli Stati Uniti, invece, sono in piena fase di arretramento, pur restando sempre la prima potenza economica e militare su scala mondiale, ma con una leadership che mai come oggi è stata seriamente in pericolo. Al momento, la reazione di Washington è stata soprattutto propagandistica, cacciando gli oramai noti diplomatici russi (seguita dai genuflessi Paesi alleati, Italia compresa) e dipingendo l’avanzata russo-cinese come un’attentato alla democrazia. Come se ad aver demolito la democrazia non ci avessero già pensato gli stessi Stati Uniti nell’ultimo quarto di secolo.
BIBLIOGRAFIA
FUKUYAMA, F. (1992), “The End of History and the Last Man”
MANTICA, A. (2017), “Siamo all’anno zero”, in “Limes – Africa italiana”
ORWELL, G. (1945), “You and the Atom Bomb”, in “Tribune”
Leggi anche:
I successi del socialismo di mercato in Asia: Vietnam, Cina, Laos