Nella comunicazione tra due persone il concetto che ricorre con più frequenza subito dopo il dialogo è quello di conflitto. Il confronto tra due universi diversi è spesso foriero di litigi, a volte motivati unicamente dal fatto che si parlano due “lingue” differenti.
Pier Paolo Pasolini in “Una disperata vitalità” del 1964, diceva che “la morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi“. Una non comprensione che scaturisce però non dalla mancata volontà di comprendere l’altro, ma dall’effettiva incapacità.
Ogni persona ha diritto a soddisfare i propri bisogni che possono però essere in dissonanza con quelli altrui. La consapevolezza di questa diversità porta quasi sempre ad una situazione conflittuale.
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CONFLITTO: DISTRUZIONE O COSTRUZIONE?
La parola conflitto richiama subito alla mente rabbia, ansia, tensione, fraintendimento, crisi. In realtà un conflitto, se ben gestito e con un intento condiviso di propositività e cooperazione, può rivelarsi un’opportunità di crescita e di arricchimento. Giungere però a questa visione comporta innanzitutto la necessità di comprendere l’origine di quel conflitto, complice però un certo grado di maturità e autoconsapevolezza.
Gestire i conflitti non è cosa semplice, soprattutto perché la diversità di vedute e opinioni dell’altro viene vista spesso come qualcosa da contrastare, seguendo la logica che noi dobbiamo vincere, l’altro perdere. Questo equivale a porsi nei confronti di chi ci sta accanto in modo aggressivo, anteponendo preventivamente i nostri bisogni. Comprendere quando e come il conflitto si è sviluppato può aiutarci a capire perché ci troviamo nella situazione di conflitto.
Secondo Thomas Gordon, psicologo clinico americano, la coercizione è acerrima nemica dei conflitti, ciò che più espone al rischio di danneggiare la relazione.
L’OTTICA AUTORITARIA E L’OTTICA DEL LASCIAR CORRERE
Nell’ottica autoritaria, vige la logica del “Tu perdi – Io vinco“: la soluzione è dunque accettabile solo per noi e mai per l’altro. Anzi, una delle conseguenze più prevedibili è l’inasprimento del conflitto.
Nell’ottica del “lasciar correre”, contrariamente, si tende ad assumere un atteggiamento passivo, anteponendo il bisogno dell’altro: la soluzione è dunque accettabile solo per questo e mai per noi. Anche in tal caso la conseguenza è deleteria: il metterci da parte porta ad un abbassamento cronico di autostima, per cui ci approcceremo all’altro in maniera sempre più timorosa e vincolata ai suoi umori.
In questi due metodi la comunicazione è a senso unico e conduce ad una riduzione drastica dei principi fondanti di una sana relazione, dove a far da padroni saranno frustrazione e competizione, che condurranno, nei casi peggiori, a ribellione e fuga.
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IL CONFLITTO SENZA PERDENTI
Thomas Gordon sembra aver trovato la soluzione ad ogni tipo di conflitto, laddove le due parti in causa siano coinvolte in tutto e per tutto allo stesso modo. Se entrambe le persone partecipano parimenti alla presa di una decisione, saranno più motivate ad attuarla: l’imposizione infatti è un fattore deterrente.
Parola d’ordine: accordarsi.
Nato per contesti educativi (docente – discente, genitore – figlio) il metodo senza perdenti può facilmente essere esteso, con tutte le modifiche del caso, ad ogni contesto relazionale. Si parte infatti dal presupposto che, se due persone si vengono incontro, è difficile che possa nascere una qualche forma di ostilità o risentimento, cosa che accresce la fiducia l’uno nell’altro e conseguentemente la probabilità che quelle due persone non si allontanino, ma anzi si avvicinino. L’accordo, almeno in linea teorica, consente di mettere in luce il nodo del problema nel momento stesso in cui quel problema nasce o si presenta.
Qualcuno potrebbe pensare che questa modalità di problem solving (sì, perché poi bisogna verificare che la soluzione trovata abbia risolto il problema) richieda troppo tempo. Non è vero, o almeno non lo è del tutto. Cruciale sono infatti la volontà delle parti, una sana razionalità a discapito dell’impulsività, l’esperienza. Questi fattori presentano infatti tutti un rovescio della medaglia. L’esperienza maturata nel tempo, ad esempio, può paradossalmente spingere una persona a manipolare l’altro (spesso senza nemmeno accorgersene!) piuttosto che guidarlo verso una soluzione condivisa. Il metodo senza perdenti rivelerà invece tutta la sua efficacia laddove nessuno si trovi a subire il potere e l’autorità dell’altro, con una proposta ragionevole per entrambi.
IN CONCLUSIONE
Nel metodo senza perdenti le risorse dei singoli vengono esaltate e coinvolte in un circolo virtuoso. Ciascun individuo acquista padronanza e sicurezza in quanto investito della fiducia concordatagli dall’altro. Risultato? Aumento della capacità di cooperazione e co-costruzione unita ad una maturità sempre più solida nella facoltà di comprendere realmente, per poi risolvere, i problemi alla base dei conflitti.