Ieri sera ero in macchina con una mia amica e i suoi due figli, una bambina di 9 anni e un bambino di 8. Stavo guidando tranquillo sull’Aurelia. Alla mia sinistra il Mar Ligure, a un’ora dal confine francese. Per intrattenere i pargoli ho introdotto il vecchio giochino dell’Indovinare-a-Cosa-Penso sparando l’iniziale. Regola: bisogna pensare a qualcosa esterna all’auto. Quindi se pensi ‘mare’ dovrai dire ‘m’ e poi i bambini dovranno indovinare cosa hai pensato. Se dicono ‘muretto’ hanno cannato. Easy! (per i cinefili, Robert De Niro fa sto gioco con la figlia della sua principale guidando per Brooklin nel recente Stagista per caso). Voi a questo punto vi chiederete: Ma cosa diavolo c’entra questa cronaca familiare con i famigerati terroristi di Parigi (ma anche di Beirut, ecc. ecc)? Ci sto arrivando.
A un certo punto tocca al bambino di 8 anni di pensare a una cosa e dire l’iniziale. Spara la lettera ‘i’. Essendoci un’isola all’orizzonte sul mare pensiamo che abbia pensato ‘isola’. Errore: lui aveva pensato ISIS! La sorellina dopo qualche minuto ha sparato ‘g’. Io ho provato con ‘giardino’, ma lei in realtà pensava ‘guerra’!
Questo piccolo episodio, devo ammettere, mi ha turbato.
Come diceva Grillo (ma si riferiva ad altro): Questa è una guerra! E Papa Francesco che da tempo parla di una Terza Guerra Mondiale già iniziata, intervistato via radio sui fatti di Parigi ha specificato. “Questo è un pezzo di guerra!”
Come ha consigliato recentemente quel “gentiluomo” di Vincenzo De Luca, governatore della Campania, in una delle sue solite conferenze stampa unidirezionali (parla solo lui): “Keep calm!” (riferendosi ai suoi “problemini” con la Giustizia).
Sì, manteniamo la calma e, aggiungerei subito, la razionalità.
Ok, chi ha visto l’ottimo cartone Disney-Pixar Inside Out (il trauma di una ragazzina che si trasferisce improvvisamente dal Minnesota a San Francisco, visto attraverso le emozioni dentro la sua testa) capirà subito che in questo momento nella sala comandi del cervello stanno agendo a manetta Paura, Rabbia, Disgusto e Tristezza. Comprensibilmente, Gioia è stata messa da parte. Ma per certi anche la fredda razionalità basata sui fatti obiettivi (nel film questa non viene rappresentata, e vabbe’).
Allora, ricapitolando: questa è una guerra, ma è una guerra asimmetrica, espressione nata subito dopo l’11 settembre.
Ma attenzione: l’ISIS, o come certi preferiscono chiamarla DAESH non è Al Quaeda. DAESH è acronimo arabo con lo stesso significato, ma che non associabile mentalmente all’Islam, che è anche l’invenzione dei numeri che usiamo ogni giorno, l’Alhambra e gli ottimi panini di pita con carne di agnello, e non solo i dannati tagliagole e terroristi con AK-47 e cinture sguinzagliati per il globo Al Baghdadi.
Ci troviamo di fronte a uno Stato organizzato con una macchina propagandistica state-of-the-art che farebbe crepare d’invidia Hitler se fosse ancora tra noi. E come abbiamo visto, analizzando l’attacco di Parigi, con un’organizzazione militare di tutto rispetto. L’episodio isolato di Charlie Hebdo di qualche mese fa sembra in confronto una patetica avventura da boy-scout.
Il nostro nemico è tuttora molto forte: sa quel che fa e lo sa fare bene. Sono bravi, via: dobbiamo concedergliela.
Ma è solo il “nostro” nemico? Ossia è solo il nemico di un Occidente che si siede a un caffè o va a godersi un concerto rock?
Sarebbe assai riduttivo pensare in questi termini. Questo è innanzitutto un nemico dell’Umanità. E Papa Francesco non ha esitato a dire che questi terroristi “non sono umani”.
Ma occhio: è anche un nemico dell’Islam, pur proclamandosi DAESH lo Stato Islamico per eccellenza. E infatti è stato ripetutamente screditato dalla stragrande maggioranza delle personalità religiose e culturali mussulmane. La differenza è che mentre i cattolici hanno un papa che è anche capo di uno stato, i mussulmani possono solo far parlare una miriade di iman più una manciata di teologi.
Ecco perché il nostro Salvini conferma la sua fondamentale ignoranza commentando a caldo che si tratta di un problema di “religione”.
Questa non è una guerra di religione come quelle che si sono viste in Europa tra il ‘500 e il ‘600 tra Cattolici e Protestanti. Non è una guerra tra l’Islam e l’Occidente Cristiano e solo apparentemente è una guerra tra Sunniti e Sciiti.
In realtà, la vera grossa partita nel Medio Oriente è tra l’Iran e l’Arabia Saudita, ai quali si aggiungono il solito Israele col solito Bibi imbevuto d’ideologia sionista e una Turchia in mano a un ambiguo Sultano di nome Erdogan. L’Occidente (leggi USA e i suoi vari vassalli NATO, a cominciare da Cameron per finire con Renzi) non può fare a meno di bagnarci il panuzzo, come dicono in Sicilia, e lo stesso fanno la Russia e un po’ in disparte la Cina, per i loro interessi geopolitici, in un mondo multipolare che l’ex Impero Americano fa fatica ad accettare.
Tanto per cambiare è una questione di potere e di economia. E non credo uno debba per forza professarsi marxista-leninista per arrivarci.
All’inizio di ottobre il solitamente silenzioso Joe Biden, vice di Obama, mise in guardia gli USA e i suoi alleati facendo notare le collusioni economico-militari tra Arabia Saudita e Turchia e i jihadisti radicali. Poi si scusò, viste le rimostranze dei due paesi in questione che, guarda un po’, sono anche alleati di ferro del suo Paese. Credo abbia fatto un errore non nel dire quelle cose (vere), ma nello scusarsi per averle proferite.
E’ bene sapere che tra certi ricconi non lontani dalla monarchia saudita si annidano personaggi che passano milioni di dollari a DAESH, mentre il re chiude un occhio. Lo stesso re che permette le 1000 frustate da infliggere a un blogger dissidente. Lo stesso re che il nostro Primo Ministro è andato a trovare in pompa magna qualche giorno fa. Beh, certamente l’Arabia Saudita è meglio tenersela buona per il business. Giusto?
Il che porta a una domanda chiave. Dove trova il denaro il nostro nemico per mandare avanti tutte le sue disumane efferatezze? A parte l’oro saudita, DAESH continua a vendere attraverso intermediari il petrolio iracheno. Quindi, de facto, quando andiamo a fare benzina, indirettamente finanziamo questo terrorismo di stato. Sarebbe anche da chiedersi a chi DAESH vende i reperti archeologici scippati nei vari siti che ha solo in parte distrutto?
Un’altra grossa tentazione nata da Paura e Rabbia è trasformare l’Europa in un regime di polizia. L’11 settembre docet. Non dimentichiamo che una delle prime conseguenze dell’attacco alle Torri Gemelle, e al di là delle varie teorie complottistiche à la Michael Moore di Fahrehneit 9/11 e oltre nelle quali non voglio addentrarmi, fu il famigerato Patriot Act, con la sua pervasiva intrusione da parte dello stato americano nella vita privata dei propri cittadini. E non dimentichiamo Guantanamo, palese violenza contro i diritti umani, che il premio Nobel per la Pace Obama, nonostante le sue solenni promesse elettorali, non riesce proprio a smantellare, vista la feroce opposizione bipartisan nel Congresso USA.
La democrazia occidentale, almeno in Europa è già sotto continuo attacco: basta pensare al ricatto della Troika alla Grecia di Tsipras, a quello che il presidente Silva ha cercato di fare in Portogallo, a quello che Renzi & Co. hanno combinato defenestrando Marino, e alla minaccia imminente del TTIP, tanto per fare degli esempi, per capire che una priorità per sconfiggere l’autocrazia islamista è cercare di rafforzare la democrazia e non permettere che essa venga affossata più o meno legalmente dai potenti di turno. Un assiduo stato di vigilanza s’impone.
In primis e a livello puramente psicologico, l’ultima reazione immaginabile di fronte a questa insensata violenza in casa nostra è farci prendere dal panico e farci incantare dalle varie sirene xenofobe o razziste che suggeriscono, per esempio, di “chiudere le frontiere” (Salvini dixit).
Farci sopraffare da una mentalità da assedio può essere pericoloso. Ed è proprio quello che il nostro nemico vuole. Dobbiamo proprio smettere di goderci un bel drink in un caffè o un concerto a Parigi, ma anche a Roma o a Milano? Direi di no.
Che fare?
Bisogna eliminare il problema alla radice, senza farci prendere da isterismi o caldane guerrafondaie, come sembra fare l’ex-Cavaliere Berlusconi, ma neanche semplicemente gettando bombe a destra e sinistra tanto per (è da un anno che le gettiamo e nulla è cambiato), o assassinando tagliagole Jihad John style con un drone come fossimo in un videogioco. Questo, ovviamente non basta.
Un lavoro sistematico di concertazione tra tutti gli attori coinvolti in questo confuso e complicato Risiko mediorientale è prioritario. Questo significa assicurarsi pure che i nostri alleati stiano lavorando veramente con noi e non contro di noi, a cominciare dall’Arabia Saudita o dalla Turchia di Erdogan, più preoccupata a spazzar via Assad e i curdi che di combattere seriamente DAESH.
E non dimentichiamo che proprio i curdi del Rojava, insieme a quelli del Kurdistan iracheno, obiettivamente, si sono finora dimostrati i più operativi nella lotta al mostro di Frankenstein che è in fondo in fondo DAESH. Per non parlare dell’esperimento politico sociale ed economico del Rojava, che con la sua democrazia assembleare e di base e con la sua inclusione delle donne si pone agli antipodi di DAESH, dimostrando ancora di più che Islam e vera democrazia non sono necessariamente incompatibili
Prosciugare lo stagno coi piranha di Al Baghdadi tagliando tutte le fonti di guadagno del suo stato a cominciare dal petrolio potrebbe essere poi una mossa cruciale.
Non meno importante è un paziente e coraggioso lavoro di ri-costruzione sociale, economica e politica in paesi chiave come l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria e la Libia, dilaniati da guerre civili nelle quali l’interventismo a priori e alla cieca degli USA e dei loro alleati (ma anche della Russia nel caso di Assad) ha la sua ovvia responsabilità storiche. Le dichiarazioni del reo confesso Tony Blair sulla mega-cazzata di Bush in Iraq servano da istruttiva testimonianza.
Last but not least, come ha esortato Tsipras dopo l’attacco di Parigi, è più che mai cruciale organizzarci, in quanto Europa, per accogliere, in una visione compassionevole e multiculturale, tutti quei profughi che fuggono da situazioni che noi stessi per i nostri supposti e dannati interessi abbiamo, in parte, contribuito a creare e il cui persistere, direttamente o indirettamente, permettiamo.
Senza ipocriti (o ingenui) buonismi, rimaniamo, fermamente e razionalmente, umani.
Attilio L. De Alberi
15/11/2015