L’amore per l’amore
liberamente tratto dalla storia tra Irène Némirovsky e Michel Epstein
Irene era seduta al tavolino di un bar in place du Tertren.
Stringeva tra le mani una tazza di thè nero al limone.
I suoi occhi nocciola erano persi dietro la nuvola di fumo della bevanda, mentre il suo piede destro si muoveva ansiosamente al ritmo di un tempo ternario.
In un cappotto di panno di lana viola, che lasciava intravedere una fodera zebrata, stringeva la sua anima al suo esile corpo.
Raccolti in una lunga treccia, nascondeva i suoi capelli neri sotto un ampio basco rosso.
Accanto a sé, appoggiato su un’altra sedia bianca, il suo fedele amico, il violino che da lì a breve le sarebbe servito per quel provino tanto atteso.
Aveva preparato un numero imprecisato di brani così da poter soddisfare le richieste più assurde, dal jazz al funk, dal pop al classico, dal rock alla musica tradizionale.
Era pronta a qualsiasi situazione.
Ne aveva scritti alcuni, registrando delle parti così da poter anche cantare.
Arrivare fino a quel punto non era stato affatto facile.
Fu presa.
Tutto era andato come aveva sempre sognato.
Con l’inizio della tournée la sua vita si aprì a un’altra dimensione.
Abbandonò Parigi e quelle poche certezze che aveva nel cuore.
Mostri spaventosi e creature orribili affollano il palazzo dell’imperatrice.
I diavoli sono pronti a saltare addosso ai poveri sfortunati utilizzati come cavie.
I malcapitati si svegliano di soprassalto, in un silenzio pesante, immobile, inquieto.
Si guardano, cercano un senso a quest’attesa.
Alcune notti qualcuno sparisce e non fa più ritorno.
In una sinfonia di urla strazianti la paura sovrasta come un cielo cupo le teste della povera gente.
L’imperatrice vorrebbe camminare liberamente nella foresta di pietra, ma la sua viltà è troppo forte.
Il tempo si consuma e i demoni non sono mai sazi delle anime del popolo.
L’imperatrice sa cosa potrebbe porre fine a questo scempio.
Dovrà unirsi carnalmente all’eroe degli inferi.
Ti cerco.
Dove sei?
Mi sono abituata alla tua presenza, alla tua voce, alle tue mani e invece sono sola, con i ricordi e le speranze e non so perchè….ma forse sto solo sognando la tua assenza e quando verrà il giorno tu sarai accanto a me.
Forse mi sfugge qualcosa.
Mi sento insicura, come se ora, in quella nostra stanza, fossi da sola a inseguirti.
Irene continuava a guardare quel foglio bianco alla ricerca di qualche parola da scrivere sopra, ma la sua mente era offuscata da pensieri nebulosi che non trovavano forma e non avevano la forza di fissarsi con l’inchiostro.
Non sapeva a cosa stava dando origine.
Le sembrava tutto un sogno o forse un incubo, dipendeva dai punti di vista.
Tutto, non solo la storia dell’imperatrice, non solo l’assenza di lui.
Lei era sempre stata molto paziente e comprensiva, ma quella mattina qualcosa aveva intaccato la sua calma e l’aveva trasformata in una furia incontenibile.
Aveva vomitato addosso alla sua discografica tutto il veleno accumulato durante la sua esistenza.
Le mancava da morire… le mancava la pelle che si era scambiata con lui.
Tra le mani non trovava più il suo amore.
Come onde di un oceano in tempesta le parole erano uscite dalla sua bocca senza riflessione e senza valutare le conseguenze.
Cosa avrebbe potuto inventare per giustificare quelle offese?
Niente.
Non voleva trovare nessuna spiegazione.
Si sentiva libera, come quando si spalanca al vento una finestra rimasta chiusa per troppo tempo, in una stanza in cui ci si è rifugiati a lungo.
Come avrebbe gestito la nuova situazione?
Decise di raccogliere le sue cose e uscire a fare due passi.
Ci avrebbe pensato dopo un buon bicchiere di vino rosso.
Prese la borsa, indossò il cappotto e raccolse le sue cose.
In un silenzio irreale aprì la porta e uscì, richiudendola dietro di sé.
Non chiamò l’ ascensore.
Prese le scale, scendendo i gradini lentamente, leggendo uno a uno i cognomi dei campanelli.
Non lo aveva mai fatto.
Sorrise al portiere.
Notò che aveva una fede alla collanina e una alla mano sinistra. Era rimasto vedovo.
Attraversò la strada e sentì il profumo di gelsomino.
Di fronte al palazzo dello studio c’era un negozio di antiquariato con dentro un’anziana donna dai capelli bianchi arricciati dai bigodini e una lunga collana di perle bianche. I suoi occhi tristi, inumiditi da lacrime lunghe secoli e le sue mani piegate dalla fatica, raccontavano tutto di lei senza aver bisogno di parole.
Palloncini rossi riempivano il cielo. Venivano seguiti da occhi di bambini pieni di stupore.
Irene chiese a una bambina con boccoli d’oro “secondo te dove vanno? Prima o poi faranno ritorno come noi?”, ma non aspettò la risposta.
A quell’ora l’enoteca era piena, ma lei riuscì a sedersi a un tavolino.
Si sentiva sola, nonostante tutta quella gente.
L’ultima volta era stata lì con Michel.
Era arrivato con il più dolce sorriso che avesse mai visto e in quella giornata avrebbe avuto davvero bisogno di quel sorriso.
Sei lì, dietro il vetro, nascosto da una tenda.
Vorresti uscire e fumare voracemente la tua sigaretta.
Attendi che il tempo si fermi e ti dia la possibilità di posizionare la tua ansia lontana da te, magari sul comodino.
Quando arrivo tu sorridi ai miei occhi che ti stanno già accogliendo senza aspettare nulla in cambio.
Mi stringi.
Ti abbraccio.
Le nostre bocche affamate si inseguono senza mai saziarsi.
Ricordi.
La mattina seguente la sua discografica le disse che avrebbe potuto suonare quello che desiderava senza sottostare più alle logiche del mercato.
Lei le sarebbe stata accanto.
Prese il primo treno.
Avrebbe potuto dedicarsi di nuovo alla verità dei suoi sentimenti, senza alcun timore, senza nascondersi come aveva dovuto fare fino a quel momento.
Ricordò che con lui non smetteva mai di ridere.
Michel riusciva a rendere lieve ogni pensiero e ad allontanare i cattivi pensieri.
Per rivederlo avrebbe fatto qualsiasi cosa e lo fece.
Avrebbe attraversato le fiamme dell’odio.
Rischiò i suoi sogni, ma l’amore le diede ragione.
Rincorse il tempo, riempì lo spazio, respirò i suoi respiri e spinse i ricordi tra le braccia.
Era lì, stretto tra una preghiera e una speranza, sgargiante come i riflessi delle stelle nel mare, come i riflessi delle memorie nelle pupille.
Il cielo si fece muto e rimase a guardarli fondere gli occhi e le labbra.
Frammentati in micropezzetti, senza calibrare i movimenti, le loro singole unità svanirono per ricongiungersi in un ansimare sfrenato.
I baci furono guidati senza fine dalla bramosia di mangiare e succhiare l’anima. Le carezze partirono dagli occhi per allargarsi pian piano fino a possedere la mente. Le lingue scavarono dentro loro e toccarono le corde eterne della musica.
Riscrissero la vita, finalmente.
[Copertina e illustrazione di MaPe Illustrazioni]