La domanda, forse provocatoria, dopo la pesante vittoria del Fronte Nazionale di Marine Le Pen alle regionali francesi è se a al posto dei classici Libertè, egalitè, fraternité, che ci accompagnano dal 1789, non ci si debba abituare a un unico grido Irrationalité, irrationalité, irrationalité.
Questi risultati che fanno scivolare il Partito Socialista di governo al terzo posto, dopo i repubblicani, non ci devono sorprendere più di tanto, visto che erano in buona parte previsti, ma ci devono, semmai, indurre a una seria riflessione.
Chiaramente, il populismo di destra Made in France supera alla grande, dal punto di vista intellettuale, quello becero e ignorante a cui ci ha abituato il nostro Matteo Salvini, che con i nostri soldi passa il tempo in comizi e comizietti e interventi nei talk-show, invece di fare il suo lavoro di deputato al parlamento di Bruxelles.
Aggiungiamo a questo il fatto che, soprattutto dopo che Marine Le Pen ha ucciso (freudianamente) il padre Jean-Marie rottamandolo, il Fronte Nazionale si è, in qualche maniera, evoluto, accogliendo pure le istanze dei diritti individuali. Non è un caso che l’astro nascente del partito, nonché fidato consigliere della nuova boss, sia proprio Florian Philippot, anti-Islam, sovranista, ma anche dichiaratamente gay. En passant, codesto ha portato il 39,6 dei voti nella regione Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorena. Quindi il Fronte Nazionale si è allontanato sempre più dalle sue radici petainiste (da Petain, il fantoccio di Hitler durante l’occupazione nazista).
E forse proprio grazie a questa sua nuova versione al femminile, non oscurantista e anche un po’ giovane e yuppie – basta pensare al grande successo con il 41,2 dei voti nella regione Provence-Alpes-Cote Azure della nipote di Marine, Marion Le Pen, 25 anni – che il Fronte Nazionale sta scardinando l’assetto bipolare e tradizionalmente laico e tollerante della politica francese, mettendo in difficoltà non solo i socialisti di Hollande, ma anche i repubblicani gollisti del redivivo Sarkozy.
Eppure, ascoltando proprio il comizio di fine campagna a Tolone della “gggiovane” (ma vecchia dentro) Marion, ci rendiamo conto dell’insistente matrice irrazionale e populista che sottende il discorso di fondo della destra lepenista.
Sul palco, di fronte a un pubblico invasato di tutte le età e classi sociali, armato di bandierine tricolori, si è prima scatenato l’assai presentabile ex-progressista, Robert Ménard, ironicamente creatore di Reporters sans Frontières – non dimentichiamo che il nostro Benito nacque come direttore dell’Avanti.
Il discorso è molto chiaro: l’attacco alla Francia del 13 novembre dovrebbe spingerci più che mai a una politica anti-immigrazione. Subito dopo anche Marion ci da dentro, e alla grande. contro i “supposti profughi” e ritorna pesantemente al facile cavallo di battaglia del terrorismo islamista.
Entrambi i personaggi, ça va sans dire, omettono di dire che gli autori della strage a Charlie Hebdo e al Bataclan erano, per quanto imbevuti nella versione totalitaria 2.0 dell’Islam, dei regolari cittadini francesi (o belgi) di seconda o terza generazione.
Con un astensionismo che ha raggiunto il 49,5%, l’appello alla paura e alla rabbia sulla scia del fatidico 13 novembre, è servito da Dio (il Dio francese, ovviamente) al Fronte Nazionale per ottenere un risultato superiore alle aspettative.
Ma in realtà, il successo incrementale di questo partito ha radici molto più profonde e lontane.
Queste vanno cercate nella diffusa insoddisfazione di parte dell’elettorato, ormai stanco dopo quarant’anni di politiche economiche e sociali fallimentari sia a destra che a sinistra. Se a questo aggiungiamo gli episodi bipartisan di corruzione, capiamo meglio chi è il vero responsabile per questo inquietante risultato elettorale, le cui ripercussioni varcano i confini francesi. Come c’era da aspettarselo, i Salvini e le Meloni nostrani già festeggiano su twitter.
“It’s the economy, stupid!” direbbero gli americani, senza essere necessariamente marxisti DOC.
La storia ahimè si ripete: per esempio, come isolare l’ascesa del nazional-socialismo in Germania dalla grande depressione economica degli anni 30? Come dimenticare l’uso di ebrei e di ROM come capri espiatori attraverso i quali poter incanalare la frustrazione delle masse?
E, tornando al presente, è importante far notare che la nuova leader Marine si è affermata nella regione Pais de Calais, da tempo de-industrializzata, mentre ben il 45% degli operai hanno votato per il suo partito.
Certo, la politica sociale ed economica del Fronte Nazionale può essere, per certi versi, descritta come progressista, ma non dimentichiamo appunto, che i nazisti si definivano nazional-socialisti.
Quindi, alla fin fine, è bene concentrarsi su cosa abbia portato alla vittoria del Fronte Nazionale, in modo da poter arrivare, col tempo, al suo ridimensionamento.
E quindi, inevitabilmente, dobbiamo tornare alla domanda chiave: quale Europa vogliamo avere? Un’Europa dominata da un disastroso neo-liberalismo basato sull’austerity (vedi Grecia), e sulla chiusura delle frontiere, o un’Europa solidale e compassionevole, ispirata non necessariamente a una prematura rivoluzione socialista, ma a un elementare keynesianismo, fatto di investimenti produttivi e di redistribuzione della ricchezza?
E a proposito di Keynes, non dimentichiamo che furono proprio delle politiche ispirate al celebre economista di Cambridge, che aiutarono l’America di Franklin Delano Roosevelt a uscire dalla palude depressiva che seguì il tracollo del 1929.
L’appello irrazionale alla xenofobia, all’islamofobia, ai bombardamenti indiscriminati coi loro danni collaterali, non solo non risolvono i problemi di fondo, ma finiscono per diventare ulteriori armi nelle mani del nemico alle porte, ma anche in casa.
Lo dovrebbe capire in primis l’uomo di “sinistra” Hollande, che dopo il massacro di Parigi, cavalcando la paura, si è gettato subito a capofitto in un’istintiva foga guerrafondaia, così assecondando la patetica e obsoleta illusione di grandeur, vecchio male francese fin dai tempi di De Gaulle. Come si è visto, ben poco gli è servita per arginare la marea lepenista.
E se la paura accompagna l’irrazionalità, vale la pena ricordare la famosa esortazione, proprio di Franklin Delano Roosevelt:
Ciò di cui dobbiamo avere più paura è la paura stessa
Naturalmente, il buon vecchio FDR, certo non un pericoloso bolscevico, accompagnava questa semplice saggezza con serie e pragmatiche politiche di rinascita economica del suo Paese.