Con il 92.7% delle preferenze, i curdi di stanza in Iraq si sono espressi a favore dell’indipendenza da Baghdad attraverso un recente referendum popolare. Tuttavia, l’esistenza di un Kurdistan indipendente non sembra essere ancora vicina, e questo referendum non fa altro che nascondere la grande frammentazione e le differenze che esistono tra le diverse aree popolate dai curdi, con il chiaro obiettivo di dare un’impronta capitalista e filo-statunitense ad un eventuale nuovo stato nel cuore del Medio Oriente.
L’ATAVICA QUESTIONE CURDA
Per capire l’attuale questione curda, bisogna risalire almeno alla fine del primo conflitto mondiale. Sebbene un Kurdistan indipendente non sia mai esistito, prima del 1918 questa area era inglobata nel grande Impero Ottomano, e dunque i curdi condividevano le sorti di tanti altri popoli, sottoposti al potere egemone di quella dinastia. Di fatto, però, le cose per il popolo curdo si misero male già nel 1916, quando Francia e Gran Bretagna stipularono l’accordo sull’Asia Minore, meglio noto come accordo Sykes-Picot, dai nomi dei ministri degli esteri Mark Sykes e François Georges-Picot.
All’interno di questi accordi, le due potenze europee decisero la spartizione delle aree di influenza nella regione mediorientale: i britannici avrebbero controllato la Giordania, gran parte dell’Iraq ed una piccola area della Palestina intorno ad Haifa, mentre ai francesi sarebbero spettate la zona sud-est della Turchia, la parte settentrionale dell’Iraq, la Siria ed il Libano. Venne inoltre prevista un’amministrazione internazionale per la Palestina. All’interno dell’accordo Sykes-Picot, che poi avrebbe determinato pressapoco i confini degli stati attuali, non vi era traccia del Kurdistan.
Nel 1920, il trattato di Sèvres sancì di fatto la fine ufficiale dell’Impero Ottomano, oramai ridotto al territorio corrispondente all’attuale Turchia (ovvero l’Anatolia in Asia e la Tracia in Europa). Questa volta, le potenze europee (Francia e Gran Bretagna su tutte, ma anche Italia e Grecia) si ricordarono del popolo curdo, tant’è che gli articoli 62-64 del trattato prevedono la possibilità della nascita di un Kurdistan indipendente, per il quale sarebbe stata istituita una commissione apposita all’interno della Società delle Nazioni.
Le discussioni sugli eventuali confini del Kurdistan proseguirono per circa tre anni, fino a quando non venne stipulato, nel 1923, il trattato di Losanna per il riconoscimento dei nuovi confini della Turchia, rispedendo nel dimenticatoio la questione curda, rimasta irrisolta fino ai nostri giorni, come voluto dal leader del nuovo stato turco Mustafa Kemal Atatürk.
UN KURDISTAN, TANTI KURDISTAN
Le stime riguardanti il numero dei curdi sono molto variabili. Sommando le popolazioni riconosciute dagli stati che li ospitano (Turchia, Siria, Iraq, Iran e, in misura minore, Armenia e Azerbaigian) il totale si aggirerebbe intorno ai 35 milioni, ma altre fonti arrivano addirittura a quota 50 milioni. Ad ogni modo, si tratta di cifre tutt’altro che trascurabili. Il referendum indetto in Iraq, tuttavia, ha coinvolto solamente 5.3 milioni di elettori, e dunque non può essere assolutamente considerato come rappresentativo dell’intero popolo curdo. Ci preme sottolineare questo aspetto in quanto, nonostante si tratti di un unico gruppo etnico che parla la stessa lingua (con alcune varianti) ed ha pressapoco le stesse radici culturali, il mondo dei curdi è fortemente variegato, una situazione facilmente spiegata dai decenni di divisione vissuti all’interno di stati diversi.
Da un punto di vista territoriale, il Kurdistan comprenderebbe un territorio totale di quasi 450.000 kmq, dunque assai più esteso dell’Italia. Circa la metà di questo territorio si estende in Turchia. Seguendo i confini degli stati attualmente esistenti, questo può essere così suddiviso:
– il Kurdistan turco o Bakur, che rappresenta il nord-ovest del territorio dei curdi;
– il Kurdistan iraniano o Rojhilat, che rappresenta il sud-est del territorio dei curdi;
– il Kurdistan iracheno o Başûr, che rappresenta il sud del territorio dei curdi;
– il Kurdistan siriano o Rojava, che rappresenta il sud-ovest del territorio dei curdi;
– il Kurdistan armeno ed azerbaigiano, territorio marginale situato a nord, considerato facente parte del Kurdistan solo dalle frange più nazionaliste.
Di questi territori, solamente il Başûr ha ottenuto una certa autonomia in seguito all’invasione statunitense dell’Iraq ed alla destituzione di Saddam Hussein nel 2003. Il Rojava, invece, ha approfittato della situazione generata dal conflitto siriano per ottenere un’autonomia de facto, pur senza riconoscimento ufficiale da parte del governo di Damasco. In Iran, invece, vi fu un precedente nel 1946, quando venne proclamata la Repubblica popolare curda di Mahabad, promossa dall’Unione Sovietica, ma prontamente repressa dal governo iraniano, che condannò a morte tutti i leader politici di questo effimero stato.
Le differenze sopra riportate, si sono tradotte nel corso della storia anche in una forte discrepanza in quanto a coscienza politica. All’interno del variegato mondo politico curdo, il Partito Democratico del Kurdistan (PDK – Pārtī Dīmūkrātī Kūrdistān) e l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK – Yekêtiy Niştîmaniy Kurdistan) rappresentano le due principali forze presenti in Iraq, ed entrambe godono di un forte appoggio da parte degli Stati Uniti, sin dai tempi di Saddam Hussein (del resto devono la loro autonomia da Baghdad proprio a Washington). Allo stesso modo, sostegno e finanziamenti dalla Casa Bianca vengono indirizzati al Partito per la Libertà del Kurdistan (PJAK – Partiya Jiyana Azad a Kurdistanê), preponderante in Iran e dunque utilizzato come forza destabilizzatrice nei confronti del governo di Tehrān. Al contrario, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK – Partiya Karkerên Kurdistanê) è la forza politica egemone all’interno della popolazione curda in Turchia: fondato nel 1978 da Abdullah Öcalan, il PKK è di ispirazione marxista-leninista e promuove la lotta armata contro Ankara, tanto da essere stato inserito all’interno dell’elenco dei “gruppi terroristici” da parte delle potenze occidentali (ad eccezione della Svizzera), mentre lo stesso leader si trova in cella d’isolamento da diciotto anni. Stretto alleato del PKK è inoltre il Partito dell’Unione Democratica (PYD – Partiya Yekîtiya Demokrat), protagonista in Siria della resistenza contro l’ISIS.
UNA NUOVA POTENZA PETROLIFERA CAPITALISTA?
All’interno di questo quadro, un primo dato appare chiaro: far iniziare il processo di autonomia prima, e d’indipendenza poi, del Kurdistan dall’Iraq significa consegnare la leadership di questo movimento ad organizzazioni politiche fedeli agli Stati Uniti. Come detto in precedenza, i curdi iracheni rappresentano solamente una minoranza, mentre i curdi di stanza in Turchia ed il PKK corrispondono certamente alla fetta più importante di popolazione. Appare dunque contraddittorio che le potenze occidentali promuovano l’indipendenza del Kurdistan iracheno negando lo stesso diritto al decisamente più esteso e popolato Kurdistan turco.
Un nuovo Paese alleato nel cuore del Medio Oriente, a maggioranza musulmana ma di etnia non araba, farebbe sicuramente comodo agli Stati Uniti ed all’Unione Europea. Diventa dunque evidente come in ballo non ci sia il rispetto dell’autodeterminazione del popolo turco, bensì l’ennesima questione geostrategica ed economica che gioverebbe ai soliti noti. In tutto questo, infatti, non possiamo mancare di sottolineare come il territorio curdo (e non solamente sul versante iracheno) sia ricco di petrolio, di risorse idriche e di altre materie prime.
Già nel 1999, un articolo apparso su Limes a firma di Marco Franza sottolineava la grande ricchezza di risorse dei territori che compongono il Kurdistan: “Il petrolio infatti viene estratto in tutti e quattro i paesi «curdi». In Turchia è estratto nell’area di Siirt, Raman, Garzan, Diyarbakir. Il Kurdistan turco è inoltre ricco di numerosi minerali, quali fosfati, ferro, argento, lignite, uranio e soprattutto cromo, di cui la Turchia è uno dei maggiori produttori mondiali. In Siria è estratto nell’area di Giazira, con i pozzi petroliferi di Kerashuk, Ramelan, Zarbe, Oda, Sayede e Lelak; in Iran nella provincia di Kermanshah, nella quale si produce petrolio ad uso interno. In Iran, i curdi sono insediati nelle zone petrolifere di Kirkuk, Mosul e Arbil, dove si concentra il 75% dell’intera produzione irachena. Il petrolio qui prodotto, non avendo accesso diretto al mare aperto, viene trasportato verso il Mediterraneo per mezzo di tre oleodotti: due attraversano la Siria diretti al porto di Banias e a quello di Tripoli in Libano; molto più importante quello che attraversa il Kurdistan turco, lungo circa mille chilometri, che raggiunge le coste mediterranee”. Oltre all’eventuale produzione diretta, ci sarebbe poi in gioco anche il trasporto delle risorse petrolifere provenienti dalla regione del Mar Caspio e dalle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale.
Guidato da Mas’ud Barzani, l’eventuale Kurdistan iracheno indipendente sarebbe un primo passo verso la nascita di questa potenza petrolifera capitalista ed alleata dell’Occidente nel cuore del Medio Oriente. Quello di Barzani, leader del PDK, e del suo fedele alleato Jalal Talabani, capo del PUK, è già oggi un governo autonomo caratterizzato da grande corruzione, oltretutto collaborazionista anche con la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, che invece pratica una spietata repressione nei confronti dei curdi presenti nel suo Paese, a dimostrazione che gli interessi in gioco sono ben diversi dal giusto obiettivo di garantire l’autodeterminazione dei curdi.