Una statistica incrociata tra Facebook e Google ha indicato il periodo delle feste natalizie come quello in cui gli utenti del social comunicano il maggior numero di separazioni. Certo, non tutte le coppie che sono sui social hanno indicato la propria situazione sentimentale, ma è significativo pensare che in un periodo di maggior sensibilità, maggior attenzione al bene – come le feste natalizie dovrebbero essere – si concentra la maggior parte della fine degli amori.
Se è vero che il fidanzamento e tutti quei rapporti che ci si avvicinano non hanno, in modo del tutto naturale, un postulato che li porti ad essere per sempre, è spesso uno sforzo provare a viverli senza tenere sott’occhio la strada più veloce per la via di fuga. Forse perché siamo automaticamente abituati a raccogliere i difetti dell’altro, a farne quantità industriali di ceste e canestri da spendere al momento giusto per la nostra causa.
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Non siamo abituati a sbagliare, non fa parte della nostra cultura, è più una roba da nord Europa. Nessuno ci insegna che è giusto che esistano gli errori, che gli errori vanno fatti e, se vanno fatti, vanno fatti presto. Perché più si impara a sbagliare più si impara a non sbagliare più. Ma siccome non siamo abituati agli errori, allora siamo più abituati a lasciare cadere che a provare a ricostruire, a cercare certezze piuttosto che costruire certezze. E, allora, finiamo per essere quelli che, a cuor sereno, manchiamo di convinzione e nel periodo più sereno dell’anno lasciamo andare gli amori piuttosto che dar forza agli amori.
L’amore va incoraggiato, non complicato. Nessuno ci obbligherà mai ad amare qualcuno ma c’è sempre qualcuno pronto ad amare. Non è da me, ma viva Iddio per gli amori difficili, i piatti che volano e le litigate. Viva Dio per i momenti di pace, per la pace che arriva quando meno te l’aspetti e per i baci, quelli dati con il rimmel sfatto. Sia chiaro, non voglio invitare alla follia, alle lunghe corse verso amori privi di senso. Ma, a guardarmi intorno, sento più «forse dovreste lasciarvi, non state bene insieme» che «forse stareste bene insieme, dovreste provare a parlarvi (di più, molto di più)». E qualcuno provi a dire che non è vero.
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Tengo da parte quelle situazioni limite, dove c’è la violenza, dove non c’è stima, dove non c’è rispetto, dove non c’è amore. Lì non serve cercare difetti e coraggio per andare avanti, lì serve la forza per rompere e per dire «mai più», qualunque sia il caso. Voglio però sottolineare quanto, molto spesso, ci si lasci solo per giocare a chi più tiene le proprie posizioni, a chi cede di meno (a torto o a ragione) a chi non lascia il passo. Si finisce, così, a dare un «per sempre» all’ultimo amore della cronologia piuttosto che al più degno degli amori vissuti. E, voglio essere sincero, se andrà bene… sarà solo una gran botta di culo.
È difficile incoraggiare, ci si sente soli, è una cosa da solitari. Ma ci si lascia soprattutto perché le coppie sono lasciate sole. Un po’ potremmo dire che ci sono coppie che si isolano profondamente da tutto e da tutti, ma il coraggio nel tenersi uniti sta innanzitutto nel non fare muro. Perché se ci chiudiamo dentro e non ci apriamo al confronto sarà facile andare d’accordo ed anche lasciarsi un quattro e quattr’otto. Lo stesso vale per le amicizie, più si guarda al di là del rapporto, più si impara ad esprimere le proprie opinioni, a confrontarsi, litigare e fare la pace. Forse non è cosa da tutti, ma è la cosa più importante.
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In Latino, coraggio si dice coratĭcum, letteramente «affine al cuore, proprio del cuore». In Greco antico, invece, coraggio si dice andreia (ἀνδρεία), letteralmente «proprio dell’essere uomo, dell’essere maschio»… ma il sostantivo è femminile. Insomma, il coraggio è un gesto che parte dal cuore, che è proprio del cuore e dell’essere uomo ma, per dire cos’è l’esser uomo bisogna passare per un sostantivo femminile, per l’essere donna. Dare coraggio all’amore è darsi un’occasione in più per essere sé stessi.