Dopo la vittoria del 2011, ottenuta tra le violenze e con l’appoggio dei Paesi occidentali, in particolare della Francia, Alassane Ouattara è stato rieletto alla presidenza della Costa d’Avorio, Paese africano nel quale da sempre Parigi ha avuto forti interessi, rinnovati anche dopo la fine della colonizzazione. Una farsa elettorale, che ha visto il settantatreenne della coalizione RHDP (Rassemblement des Houphouëtistes pour la Démocratie et la Paix, composta da quattro partiti) ottenere l’83.66% delle preferenze, con solamente il 54.63% degli aventi diritto che si è recato alle urne, una cifra nettamente inferiore rispetto all’80% delle precedenti elezioni. Il risultato del vincitore, nettamente superiore al 50%, ha reso inutile un secondo turno.
Ouattara, che si autoproclama come l’erede di Félix Houphouët-Boigny, primo presidente del Paese dopo l’indipendenza (da cui la parola Houphouëtistes presente nel nome della sua coalizione), per il quale era stato anche Primo Ministro dal 1990 al 1993, ha in realtà portato avanti una campagna elettorale fatta di arresti di oppositori politici ed altre forme di repressione del dissenso. Nulla di nuovo, visto che già quattro anni fa Ouattara aveva usato la violenza per battere l’allora presidente uscente Laurent Gbagbo, dopo aver rotto inaspettatamente l’alleanza politica tra i due. Allora, il verdetto fu dubbio, con le autorità ivoriane che assegnarono la vittoria a Gbagbo e quelle internazionali a Ouattara. A decidere, con un clamoroso caso di ingerenza politica, furono Nicolas Sarkozy e l’ONU, che appoggiarono in modo netto Ouattara, permettendogli di sovvertire l’esito ufficiale proclamato dalla Commissione Elettorale Ivoriana, ed inviando invece Gbagbo alla Corte Penale Internazionale de L’Aia, dove presto, probabilmente il 28 gennaio 2016, verrà processato per “crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. Si calcola che il conflitto tra i sostenitori dei due candidati abbia causato almeno tremila morti, con violenze ed atrocità perpetrate da entrambe le parti.
Ad oggi, numerose organizzazioni non governative continuano a sottolineare i crimini commessi da Ouattara, restando però inascoltate da parte della comunità internazionale: secondo Amnesty International, “gli arresti ricorrenti e le detenzioni arbitrarie degli oppositori politici creano un clima di paura che compromette l’esercizio della libertà d’espressione”. Alcuni degli oppositori di Ouattara, come l’ex Ministro degli Esteri Essy Amara, hanno deciso di boicottare le elezioni, fatto che sicuramente ha contribuito ad abbassare il dato dell’affluenza alle urne. Il principale avversario del Presidente è così diventato Pascal Affi N’Guessan, del Front Populaire Ivorien (FPI), il partito dell’ex capo di stato Gbagbo, che però non è riuscito ad andare oltre il 9.29% delle preferenze. Affi N’Guessan ha incentrato la propria campagna elettorale esattamente sul tema dell’incarcerazione illegale di Gbagbo: “La pace non è solo il silenzio delle armi”, ha dichiarato. “Possiamo dire che la Costa d’Avorio sia in stato di pace mentre il Presidente Gbagbo si trova a L’Aia? Con migliaia di prigionieri politici incarcerati, in Costa d’Avorio non c’è la pace”. Terzo classificato, Konan Bertin Kouadio ha invece ottenuto 3.88 punti percentuali correndo da indipendente.
La conferma di Ouattara alla presidenza della Costa d’Avorio è stata dunque salutata con soddisfazione da parte dei Paesi occidentali, che lo sostengono sin dal primo momento. Gli osservatori internazionali hanno giudicato le elezioni come “credibili”, e continuano ancora oggi a portare la Costa d’Avorio come esempio di democrazia nel continente africano: una dimostrazione di come alcuni giudizi, che dovrebbero essere esclusivamente tecnici, siano in realtà dettati da ragioni politiche. Ouattara, dal canto suo, ha dichiarato di volersi concentrare sullo sviluppo economico del Paese, oramai in un lungo periodo di stagnazione dopo alcuni decenni nei quali la Costa d’Avorio sembrava dover divenire una delle maggiori economie africane emergenti.