Antefatto:
Durante l’intervista io l’ho chiamato per nome. Ma prima di dirmi buongiorno, mi avverte: “mi raccomando rimane tra noi”.
Riferire il nome del militante del Movimento per l’Emancipazione della Poesia a cui sono state rivolte le domande che seguiranno, non è dato: è un’azione silenziosa tanto quanto anonima e non è consentito. O meglio, sono gli stessi militanti che non ne hanno voglia. Non è il punto, sostengono. E in un contesto letterario contemporaneo in cui il narcisismo solletica e pervade qualsiasi azione esteriore ad opera di un autore o uno pseudo tale, fa piacevolmente sorprendere. La mitomania di riferimento qui non ha spazio. “La sostanza è più importante”, sostiene il nostro militante.
I membri del Movimento la sostanza la divulgano su foglietti di carta, appunto anonimi, con parole e inchiostro: le loro stesse poesie sono appese sui muri delle città, nella gratuità di un gesto che intende restituire la dimensione pubblica della poesia a se stessa. Un collettivo di poeti che nasce a Firenze nel 2010, oggi conta 21 nuclei e circa un centinaio di militanti in tutta Italia, da Catania fino a Milano. Italia e non solo, perché anche a Parigi, si è appena radicato un nucleo.
Qual è la genesi esatta del Movimento per l’Emancipazione della poesia?
Una genesi spontanea: viene fuori dall’accordo tra due, poi quattro persone e sulla base di una proposta è cresciuto un Movimento: insomma, quando è nato nessuno pensava che ci sarebbe stato questo consenso, nessuno pensava che diventasse un fenomeno. Il Movimento per l’Emancipazione della Poesia (MEP) si presenta come un mezzo per ripristinare il valore della poesia attraverso gli spazi urbani. Le scriviamo e poi le diffondiamo.
Come funziona il sistema in sintesi?
Il singolo autore rimane portatore delle sue opere, ma la stampa e la loro divulgazione è sempre un’azione collettiva del gruppo. A partire dall’”attacchinaggio”, l’organizzazione è di tipo orizzontale, tutto procede in modo naturale a seconda dell’apertura che troviamo. Ogni fase è volta a riportare la poesia alle persone.
Da cosa deve emanciparsi la poesia oggi?
Dal non essere fruita. Quando è nato il MEP abbiamo avvertito per noi medesimi quest’esigenza. Poi tanti attorno la vedevano come noi: il senso dell’emancipazione sta proprio nella libera resa, chiara ed esplicita, fuori dall’élite. Nel manifesto si parla inoltre di “basso e vuoto intrattenimento”, ecco noi non andiamo contro nulla, ma è innegabile che nel sistema ci sia quanto meno un versante da integrare. Il muro coincide con la volontà di mettere la poesia sotto gli occhi di tutti: la vede anche chi non la vuole vedere. È manifesta.
In un contesto iper rapido e iper mediato in cui siamo immersi e da cui siamo sommersi, qual è il valore da restituire alla poesia?
Si è perso il sentimento privato e paradossalmente noi lo restituiamo attraverso la dimensione pubblica: il nostro intento è quello di tornare al modo autentico e spontaneo di fare poesia. Questo è il tempo in cui tutti hanno bisogno di puntare al successo. A noi questo non interessa, interessa solo promuovere a livello di pensiero e a livello di azione la poesia scritta e letta. Non ci occupiamo di grandi nomi, quelli possiamo leggerli e più o meno ispirarci. La poesia si emancipa dalla commercializzazione di qualsiasi cosa.
Come funzionano i nuclei territoriali di MEP?
Ogni nucleo territoriale è autonomo, l’unica base non prescindibile è il manifesto, che stabilisce il proposito comune di riempire di versi i muri di ogni città; lo statuto non è istituzionale, non ha grosse restrizioni. Anche l’anonimato è formale, è di principio, non presentiamo prima l’autore e poi le opere, ma esattamente al contrario. Il vademecum è un documento interno, per capire il processo a che punto sia. Le riunioni sono naturalmente a valore unanime.
Come interagite con iniziative letterarie, manifestazioni, eventi?
Partecipiamo in forma anonima agli eventi. Ci interessano le collaborazioni e le partecipazioni, rappresentano una modalità di divulgazione. Tuttavia non chiediamo niente a nessuno, né in forma di denaro, né in forma di contatti.
Come si diventa parte attiva del Movimento?
Sul nostro sito c’è un rimando per chi è interessato, siamo aperti a tutti: si fissa un incontro di conoscenza in cui ci si confronta sulle intenzioni. Ci si spiega bene, per evitare incomprensioni. La partecipazione va da 0,1 % al 100%, non c’è un tempo richiesto, ma questo varia a seconda del tempo che si ha a disposizione. Apprezziamo molto le idee nuove, le proposte: il senso è partecipare la poesia e il nostro non è un metodo rigido, cristallizzato.
Attaccare i fogli ai muri delle città è vietato dalla legge. Avete mai incontrato difficoltà?
Qualcuna, anche se abbiamo enorme rispetto per monumenti e abitazioni. L’azione talvolta può essere in qualche modo drastica ma ci interessa non dare mai fastidio, l’unico fine è provocare una sorta di “risveglio” ma senza aggressività o pressione eversiva. Spesso attacchiamo le poesie in muri già manomessi.
Utilizzate una colla casalinga ed ecologica…
Sì, la facciamo noi, con farina, acqua e soda caustica. Ammortizziamo le spese il meno possibile.
Attaccare ai muri non è il solo metodo che perseguite: i fogli girano anche nelle biblioteche o sotto le porte delle abitazioni…
Cerchiamo modi altri, rispetto a quello che mediaticamente passa di più: la sigla e il timbro rosso, la pagina bianca e il nero dell’inchiostro hanno tanti significati: gira solo l’opera e il rimando al sito. Il foglio bianco è la pagina bianca di un libro, come se fosse una necessità.
A proposito di progetti futuri?
Collaborazioni varie, attività diverse, magari con gruppi che fanno cose analoghe, sempre sul tema della poesia. L’anno scorso siamo stati anche a Londra, a un Festival di Street Art. La nostra però non è street art, perché non è una performance. Lo diviene implicitamente, ma non è l’intento da cui si parte. Vogliamo arrivare da una persona all’altra, in senso intimo, non è esteriorità. Non c’è mistero, leggenda o mitologia, ma il MEP ama fare le cose in silenzio.