È storia di poche settimane fa: colpito duramente dalla la sentenza del cosiddetto caso Gürtel, il governo di centro-destra guidato da Mariano Rajoy ha lasciato spazio ad una nuova maggioranza di centro-sinistra, condotta dal PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo – Partido Socialista Obrero Español) del nuovo primo ministro Pedro Sánchez, in grado di sfiduciare Rajoy e di prendere in mano le redini della Spagna.
Andando con ordine, per chi si fosse perso le puntate precedenti, la maggioranza del Partido Popular (PP) era entrata in crisi a causa di uno scandalo di corruzione e fondi neri che ha coinvolto alcuni esponenti di primo piano della forza politica di Mariano Rajoy, salito al potere nel 2011 come successore del socialista José Luis Zapatero. In seguito alla sentenza di condanna del caso Gürtel, il partito della destra liberista Ciudadanos (Cittadini) ha deciso di abbandonare la coalizione di governo, portando al voto di sfiducia nei confronti di Rajoy.
A promuovere la sfiducia, approvata con 180 voti favorevoli su 350, è stato proprio Pedro Sánchez, leader del PSOE, che in passato aveva concesso un appoggio esterno al governo Rajoy II. Per scongiurare le elezioni anticipate, inizialmente richieste da Ciudadanos, Sánchez si è prodigato nella ricerca di alleati per la formazione di un nuovo governo. Alla fine, il PSOE ha formato un governo di minoranza con il solo PSC (Partit dels Socialistes de Catalunya), i socialisti catalani, mentre non sono arrivate alleanze dirette con gli altri partiti che avevano votato la sfiducia a Rajoy.
In quell’occasione, sia i partiti delle autonomie basca e catalana che il gruppo di sinistra Unidos Podemos – colazione composta da Podemos, Izquierda Unida (IU – Sinistra Unita) e dalle sinistre catalana e galiziana – si erano schierati a favore della mozione di sfiducia, ma poi si sono rifiutati di entrare a far parte della maggioranza di governo. Una scelta in quel caso corretta da parte di Pablo Iglesias Turrión, il leader carismatico di Podemos, che ha momentaneamente evitato al suo partito di diventare una succursale del PSOE. Da notare che la mozione promossa da Sánchez ottenne, come anticipato, anche l’appoggio dei nazionalisti catalani di ERC (Esquerra Republicana de Catalunya – Sinistra Repubblicana di Catalogna) e del PDeCAT (Partit Demòcrata Europeu Català – Partito Democratico Europeo Catalano) e quelli dei nazionalisti baschi del PNV-EAJ (Partido Nacionalista Vasco – Euzko Alderdi Jeltzalea – Partito Nazionalista Basco), che in precedenza aveva appoggiato il governo, permettendogli di passare il bilancio, e dell’Euskal Herria Bildu (Paesi Baschi Uniti).
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La situazione attuale, dunque, vede Pedro Sánchez governare con una minoranza di appena 82 parlamentari sui 350 che compongono la Camera dei Deputati (Congreso de los Diputados). Una situazione del genere, sta a significare che il PSOE dovrà andare alla ricerca di alleati per qualsiasi provvedimento legislativo da prendere, ed è proprio qui che Podemos ed i suoi alleati di sinistra avranno un’importanza fondamentale. Non è un caso, del resto, che Sánchez abbia caratterizzato i primi giorni del suo governo con posizioni decisamente progressiste, prendendo misure con il chiaro fine di attrarre le simpatie della sinistra, compresa l’apertura del porto di Valencia alla nave Aquarius, oppure il fatto di scegliere ben undici donne nella sua squadra di diciassette ministri.
Toni distesi anche per quanto riguarda la questione catalana, per la quale Sánchez si è dichiarato aperto al dialogo con le istanze di Barcellona e dintorni. Tuttavia, anche in questo caso, la soluzione proposta non sarà sicuramente quella dell’indipendenza: “Il nuovo ministro degli Esteri, Josep Borrell, si è speso ripetutamente a favore dell’unità della Spagna, partecipando anche alla manifestazione organizzata l’ottobre scorso da Societat Civil Catalana, mentre la vicepresidentessa Carmen Calvo è stata la responsabile del PSOE che ha negoziato con Rajoy l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, che ha portato al commissariamento della Catalogna”, ha scritto giustamente Steven Forti nella sua analisi apparsa su MicroMega, bilanciando però queste scelte con la presenza, al ministero delle Politiche Territoriali. della catalana Meritxell Batet, che in passato si è espressa per una riforma della Costituzione in senso federale, opzione che comunque non sembra essere all’ordine del giorno.
Nonostante l’apparenza, dunque, Podemos dovrà fare attenzione a non cedere alle avances dei socialisti, il cui governo resta comunque interno alle logiche esistenti. Da parte di Sánchez, in particolare, sarà inutile aspettarsi una critica seria alle istituzioni europee, vista anche la scelta di Nadia Calviño al Ministero dell’Economia: la quarantanovenne galiziana, infatti, è stata direttrice generale del bilancio della Commissione europea sin dal 2014, e la sua nomina ha raccolto subito il plauso di Bruxelles, così come quello di grandi gruppi bancari internazionali (Goldman Sachs) e spagnoli (Banco Santander).
Podemos, al contrario, sta elaborando una posizione decisamente più critica nei confronti dell’Unione Europea, che ha permesso al partito di Pablo Iglesias di aumentare i propri consensi tra gli elettori, e che non può appoggiare le posizioni del PSOE di “rigenerazione democratica, stabilità finanziaria, rispetto degli impegni con l’Unione Europea e convivenza territoriale”. Ammesso che il governo Sánchez sia in grado di resistere fino alla fine della legislatura, infatti, non va dimenticato che gli spagnoli torneranno alle urne già nel 2020. I sondaggi, al contrario, davano ai minimi storici proprio il PSOE, e per questo c’è da supporre che Sánchez non abbia nessuna intenzione di andare ad elezioni anticipate, arrivando dunque alla fine della legislatura ed utilizzando questi due anni di governo per guadagnare consensi (gli ultimi sondaggi, infatti, vedono già una netta ripresa dei socialisti).
[sostieni]
La posizione di Podemos, dunque, dovrà restare esterna al governo di Sánchez, tuttalpiù appoggiando in parlamento singoli provvedimenti che siano coerenti alle posizioni assunte dal gruppo di sinistra negli ultimi anni. Non condividiamo, in questo senso, le recenti aperture di Pablo Iglesias, che negli ultimi giorni ha proposto al nuovo primo ministro un patto di governo, anche se con richieste decisamente condivisibili, come l’innalzamento dei salari minimi e delle pensioni non contributive. Dal nostro punto di vista, Podemos dovrebbe sicuramente spingere il governo ad approvare queste riforme, senza però diventarne parte integrante, e mantenendo una posizione critica nei confronti del PSOE, proprio per non correre il rischio – come dicevamo in precedenza – di diventare una mera succursale dei socialisti. Dimostrando le proprie peculiarità rispetto ai socialisti e mantenendo le classi dominate come proprio punto di riferimento, la forza politica condotta da Pablo Iglesias potrà guadagnare ulteriori consensi in vista della tornata elettorale del 2020, rispetto alla già ottima soglia del 20% raggiunta nelle legislative del 2015.