Il Pesce piccolo – una storia di Virus e segreti di Francesco Zambon, medico e musicista classico veneziano, ma soprattutto ex funzionario dell’OMS, la persona che vedete in copertina, è uno dei libri molto molto importanti di questa epoca.
Diverso per motivi unici da qualsiasi libro scritto in questi tempi sulla Pandemia.
Infatti chi lo ha scritto è stato un insider dell’organizzazione mondiale della sanità, con un incarico delicatissimo durante la prima ondata pandemica, e poi divenuto un whistleblower, ovvero, come recita Wikipedia, un “segnalatore di illeciti“, definizione questa che ancora non è del tutto entrata nel vocabolario corrente italiano, ma che personaggi come Edward Snowden, su cui Oliver Stone ha fatto un film, hanno contribuito a far diffondere anche nel dizionario popolare. E Zambon oggi è un po’ lo Snowden Italiano. Scopriremo perché.
Innanzi tutto per chi non lo sapesse i Whistleblowers sono coloro che si assumono con gravissimi rischi la responsabilità personale di denunciare corruttele o reati gravi di cui essi, grazie alla loro posizione all’interno di istituzioni, o organizzazioni strategiche nella vita degli stati, sono a conoscenza o di cui sono persino stati mezzo, crimini o inganni di cui il pubblico non saprebbe mai nulla senza la loro decisione di denunciare. Queste persone rappresentano un formidabile sistema immunitario per la salute della democrazia.
Uno dei whisteblower più noti all’opinione pubblica è certamente l’analista strategico Daniel Ellsberg che, negli anni 70 , rinunciando a una posizione di enorme prestigio, e rischiando il carcere a vita, consegnò alla pubblica opinione i Pentagon Papers di cui era venuto a conoscenza come analista al servizio del segretario della Difesa Robert McNamara, sollevando i veli sulla guerra del Vietnam e contribuendo ad accelerarne la fine. Enormemente nota, a chi si tiene informato sulle cose cruciali del nostro tempo, è poi Chelsea Manning, ex soldato dell’esercito USA, che passò a Wikileaks migliaia di file che provavano innumerevoli crimini di guerra commessi dalle forze armate americane, e che dopo diversi anni di carcere fu graziata dal presidente Obama.
Il libro di Zambon ci porta in linea direttissima fino nel cuore di uno dei principali centri sovrannazionali che stanno governando l’evento epocale della Pandemia, che dei diversi motori della storia, per seguire la lezione di Braudel, potrebbe esserne uno di quelli che la stanno muovendo in direzioni non molto auspicabili per la salute della civiltà dei diritti.
Il libro, scritto in prima persona, quasi come una memoria giudiziaria, e insieme avvincente come un Thriller, pensato e scritto per essere immediatamente accessibile a un vasto pubblico, dato il suo scopo di essere una efficace denuncia, racconta la vicenda del funzionario italiano dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (in inglese WHO) Francesco Zambon, medico specializzato in medicina pubblica, dal momento in cui la Pandemia entra in scena come un eroe tragico nel teatro greco rappresentato dall’emiciclo del nostro presente, ovvero annunziata da segni che inizialmente sfuggirono alla maggior parte delle persone ma che ad egli, per essere stato formato a riconoscerli, il famoso Outbreking investigation, di cui mi parlò il dottor Rezza in una intervista che mi rilasciò ad aprile 2020 e pubblicata sulla Voce di New York, a cui molti medici italiani avrebbero dovuto essere stati preparati come voleva quel piano pandemico mai messo in atto, furono subito evidenti quali annunci inequivocabili della tragedia che l’umanità si apprestava a vivere e che tanti lutti addusse.
Dalle prime pagine del libro i ricordi di Zambon, che iniziano a srotolarsi come in quei film che iniziano con i flashback, annunciano subito la tragedia italiana con la sua agnizione alla vista della disposizione geografica dei focolai infettivi a Febbraio, che egli osserva sulla mappa Google, appena dopo i primi tre casi italiani fino a quel momento facilmente tracciabili e riconducibili a Whuan, di quel che si stava per abbattere sul paese quando gli apparve immediatamente chiaro, essendo tali focolai apparsi contemporaneamente così distanti gli uni dagli altri, da fargli capire che il virus si era diffuso in Italia in modo ormai impossibile da arginare.
“Cercavo di calcolare a spanne quanti chilometri distassero l’uno dall’altro. Fissavo i puntini rossi degli undici comuni sul mio cellulare, poi le tavelle, come se mi potessero dare una risposta. Pensavo: “Non è possibile. Se fosse così… siamo fottuti” (…) In base al situation report, non c’erano nuovi casi in Italia da almeno due settimane. Poi nel giro di ventiquattr’ore c’era stata un’esplosione: erano comparsi settantatré casi dislocati in posti che erano maledettamente lontani per pensare fosse un unico cluster”
Il libro è a dir poco travolgente, fosse solo per il fatto che getta l’ancora alla rada della carne più dolente della profondità del nostro inconscio che da due anni non fa altro che accumulare la tensione inumana della pandemia, alimentando la fornace dei nostri peggiori incubi, sia quelli prettamente sanitari che biopolitici.
Chiuderlo non è altrettanto facile che aprilo, e una volta che la prima frase è stata agganciata dagli occhi si viene risucchiati in un vortice di eventi, che sono gli eventi capitali che hanno scandito le nostre vite negli ultimi quasi due anni, visti dalla prospettiva interna del grande meccanismo di gestione e coordinamento sovrannazionale della pandemia stessa, ovvero viste dall’interno della istituzione suprema a cui è affidata, anzi è meglio dire a cui sarebbe affidata la salute pubblica mondiale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e ciò che Zambon ci porta a conoscere sulla capacità di questa organizzazione che dovrebbe coordinare i sistemi sanitari nazionali sulla gestione di eventi di questa portata, quando saremo arrivati alla fine del libro, è semplicemente sconvolgente, terrificante, agghiacciante.
Perché quanto gli è accaduto scrivendo il suo rapporto sull’impatto del covid sul sistema sanitario nazionale italiano, e di cui il libro racconta la vicenda, che nelle intenzioni di Zambon e del team che si ritrovò a dirigere avrebbe voluto essere un formidabile strumento di diagnostica di sistema della strategia che gli stati avrebbero dovuto aver preparato da decenni in attesa di questo evento, annunciato da anni, di una pandemia catastrofica imminente, rapporto che avrebbe impedito, in tempo reale, man mano che la pandemia, scatenatasi in Cina, ora si diffondeva dall’Italia o semplicemente oltre all’Italia, di ripetere i tragici errori di gestione che venivano chiarendosi al team di Zambon, il che in mera fattualità avrebbe significato decine di migliaia di vite salvate grazie alla non ripetizione di quegli errori o semplicemente dalla applicazione di quei metodi insufficienti davanti a un virus ancora fondamentalmente sconosciuto, è semplicemente terrificante, e ci svela una gigantesca spada di Damocle incombente sulla possibilità che simili e futuri disastri, anche di maggiore magnitudine, che potrebbero essere risolti solo con un approccio sistemico internazionale coordinato da una grande organizzazione a carattere scientifico sanitario assolutamente indipendente dai poteri politici degli Stati , sia effettivamente nelle possibilità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di arginarlo quando non impedirlo, per il suo essere invece, come dovrà traumaticamente scoprire Zambon, enormemente condizionabile dai campi induttivi dei governi che l’OMS lo finanziano.
Per tale contingenza, Francesco Zambon, unico funzionario dell’OMS presente in Italia nel momento che il nostro paese dal Febbrario 2020 diventa l’epicentro occidentale della Pandemia, diventa un key-man, un uomo chiave.
Si trova sul campo, nel posto giusto del momento più sbagliato degli ultimi 100 anni, dove si sta abbattendo l’uragano pandemico, nel pieno del ciclone, in quel momento lui è a Venezia, dove abita in una antica casa del 500, città che in un batter d’occhio, sotto i suoi occhi esterrefatti, si svuota dei milioni di turisti che solitamente ne intasano le calli, come quando in un film di fantascienza, a un’astronave rotti i vetri il vuoto spaziale risucchia repentinamente insieme all’ossigeno ogni oggetto, tranne l’eroe che aggrappato tenacemente a un appiglio indossando un casco di emergenza riesce a restare dentro legandosi con un cavo alla struttura. In men che non si dica Venezia, intenta ai festeggiamenti del carnevale, in una ordinata evacuazione anche di persone in maschera, diventa un limbo di silenzio assoluto, un luogo in cui anche l’acqua dei canali cessa di esprimere il moto ondoso, e da cui lievita un mondo di suoni fino a quel momento impossibili da percepire.
Zambon è nelle condizioni, suo malgrado, di osservare con occhi di un esperto in sanità pubblica ed epidemiologia da molto vicino gli eventi e le conseguenze di un virus sconosciuto che sta colpendo la società e che in breve porterà sul filo dell’esaurimento i posti letto delle terapie intensive di cui l’Italia dispone, appena 5000 per una popolazione di 60 milioni di abitanti, cosa che avrebbe tragiche conseguenze sociali, come possiamo capire, e come ci ricordano scene quasi da film di alieni, delle autocolonne di mezzi militari carichi delle bare di Bergamo.
Affacciato sull’orlo del baratro che a breve inghiottirà centinaia di migliaia di vite in tutta Europa, capendo quanto si stava per scatenare decide di scavalcare tutte le normali procedure gerarchiche e scrive al responsabile della regione europea dell’OMS, nel libro il signor HK. È il 21 febbraio 2020.
“Scavalcando le gerarchie, avevo mandato un messaggio al mio direttore della Regione Europea dell’OMS che chiameremo HK. Doveva essere informato, e subito. Anche se la mia era solo un’ipotesi, bisognava agire con tempestività e soprattutto in maniera cautelativa. Mentre scrivevo il messaggio, uno dei pazienti nella zona rossa del Veneto era morto. Fu il primo decesso registrato in Italia. Il paese sarebbe entrato nel panico molto dopo, io ci entrai già quella sera. Tutto ciò che seguì era facilmente prevedibile.“I casi in Italia cresceranno esponenzialmente,” avevo scritto ad HK. E ancora: “Nelle prossime ore, l’Italia diventerà probabilmente il paese più colpito d’Europa”. Con il senno di poi, avrei dovuto allargare lo spazio geografico e dire che l’Italia sarebbe stata per molte settimane il paese più colpito del mondo.”
Nel libro, senza mai abbandonare il ritmo serrato da film di azione, si alternano, in periodi brevi e concisi, ricordi fattuali e da essi si articolano analisi storico politiche, che corrono verso una dolorosa presa di coscienza riguardo a quello che, leggendo il libro, potremmo definire il lato oscuro del WHO.
La vicenda in cui Zambon si ritroverà ad essere stritolato, finendo con il doversi dimettere dal suo incarico che aveva un valore lordo retributivo di 4 milioni di euro fino al 2039, in un insospettabile meccanismo di potere impermeabile alla ragione e agli stessi principi ufficiali che decretano pubblicamente sia la sua missione quanto la sua policy, ha portato il medico e funzionario italiano a scoprire una istituzione ben diversa da quella che aveva sempre pensato di servire fidandosi delle linee di comportamento ufficiali pubblicamente dichiarate nella missione del WHO, prima che una contingenza facesse passare attraverso quella che Platone chiamava il basanos, attraverso una prova del fuoco, la sostanza di quelle alte e nobili dichiarazioni di indipendenza che dovrebbero essere la legge suprema di tale organizzazione, riducendole in cenere.
Cosi egli si trova a riflettere su particolari che solo in questo frangente si chiariscono in tutta la loro portata svelando l’ampiezza e la gravità delle loro conseguenze, ovvero sulla netta separazione fra il mondo dei tecnici che nel WHO lavorano per le proprie competenze e le gerarchie che si insediano a seguito di una intensa attività non diversa da quella dei politici, ovvero con estenuanti vere e proprie campagne elettorali, come quella attraverso 54 stati dell’uomo eletto al vertice della regione europea dell’OMS,dandoci subito Zambon con tale informazione il profilo di un funzionario che è già un politico, legato, come qualsiasi politico, a doppia mandata al consenso che ha ricevuto per essere eletto, per non parlare dello stesso capo dell’OMS, il tetragono Dottor Tedros
“Le agenzie delle Nazioni Unite non operano tutte allo stesso modo, anzi. Le differenze in alcuni casi sono abissali, come ad esempio il modo in cui viene scelto il direttore generale. Quello dell’OMS, il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, è stato eletto direttamente dai 194 stati membri dell’organizzazione. Non è sempre così. Il direttore esecutivo dell’unicef, per dire, viene scelto – almeno sulla carta – tramite una selezione meritocratica. Non si tratta di una distinzione formale, ma sostanziale”.
Man mano che questi tasselli di riflessione, anzi di autoriflessione in quanto compiuti da un membro di questa organizzazione, si vengono sommando nella lettura si compone un disegno, come tessere di mosaico riordinate, che ricostruirà un ritratto dell’OMS molto molto lontano dall’effige rassicurante che ne abbiamo nella percezione mainstream.
Poco dopo aver ricevuto i messaggi di Zambon, una mattina del 3 marzo il direttore della regione europea dell’OMS HK, chiamerà Zambon
“Il direttore voleva che da quella sera stessa assumessi il controllo delle attività OMS a supporto delle regioni italiane nella risposta al covid. Rimasi un po’ turbato, perché io, pur medico e con un solido background in sanità pubblica ed epidemiologia, non mi ero mai occupato di emergenze. Tuttavia, ero l’unico medico dell’ufficio OMS di Venezia, l’unico funzionario italiano, l’unico con contatti di fiducia ben stabiliti con molte regioni italiane… Forse ero la persona giusta, mi dissi, avrei potuto dare il mio contributo sia all’OMS sia al mio paese. E senza remore accettai”
Dalla sua posizione ravvicinata che gli dava l’opportunità di studiare le falle del sistema sanitario italiano nell’affrontare la pandemia avendo accettato l’incarico da parte di HK Zambon Il 4 marzo entrava in ufficio come
“coordinatore delle emergenze del supporto oms alle regioni italiane”.Benissimo. Ma per fare cosa esattamente?”
I Materiali del libro di Zambon assomigliano moltissimo alle voci degli strumenti di un’orchestra, i temi, i fatti, i momenti in cui i fatti avvengono o vengono ricordati o messi in scena come futuri imminenti, i commenti, i pensieri, sono fittamente intrecciati in una partitura che all’orecchio risulta come una sinfonia, in esso i tempi le cose si inseguono o si anticipano o si fanno eco in un intreccio continuo di flashback presente e futuro imminente, che si ripete in ogni capitolo, coinvolgendo il lettore in una sorta di paesaggio sonoro integrale, ovviamente nel recensire noi procediamo a una riorganizzazione lineare e semplificatoria che non rende giustizia alla esecuzione di tutti i temi nel momento della lettura, che rende il libro veramente avvincente. Questa attenzione, questa forte correlazione forma sostanza, forse anche perché musicista classico oltre che medico, Zambon la pretenderà anche sul documento della discordia, che verrà deriso negli ambienti del WHO perché oltre che efficace anche bello, bellezza a cui Zambon ci racconterà attribuisce una funzione strategica, che è forse quella che enunciava il poeta Yeats in un celebre passaggio di ode a un’urna greca quando scriveva “verità e bellezza, bellezza è verità”. La bellezza del documento avrebbe dato alla sostanza un coefficiente ulteriore di penetrazione nei livelli del pubblico per il quale era pensato, e che nella mente di Zambon non era solo quello degli specialisti in grado di leggere i numeri, ma anche lettori comuni, con il senso di produrre quella coscienza sanitaria che la legge 833 23 settembre del 1978, osserviamo noi, affida al potere esecutivo di formare nei cittadini.
Dal momento dell’affidamento di questa responsabilità Zambon, come scrive, entra in contatto con una serie di figure gerarchicamente superiori e supervisori, come la misteriosa Lady D, alto funzionario responsabile nella gestione delle emergenze che a centinaia di chilometri di distanza impartisce ordini e con cui è immediato conflitto, e ciò, evidentemente a causa delle enormi implicazioni nella politica interna degli stati che potrebbe avere l’OMS che dalle donazioni degli stati dipende, i quali controlleranno rigorosamente ogni movimento di Zambon.
Cosa che porta Zambon a riflettere come impostare il delicatissimo compito che deve svolgere, insieme alla improvvisamente urgente consapevolezza che nella assunzione di un simile incarico fosse assolutamente necessario capire come funzionasse la gestione delle emergenze nell’OMS, cosa che scriverà è restata una scatola nera e meditando sul fatto che l’OMS, teoricamente in grado di affrontare qualsiasi calamità, aveva una struttura di comando molto rigida, e che bisognava stare molto attenti a non andare nemmeno con la punta del piede fuori dal proprio percorso o peggio ancora a invadere quello altrui.
Zambon parla fin dalle prime pagine dunque, ovviamente retrospettivamente rispetto a quanto accadutogli nella realtà, delle sedi apicali dell’OMS come torri, d’avorio, quella della sede di Copenaghen, e di diamante, quella dove siede a Ginevra il “sovrano assoluto” Tedros
Attraverso i suoi agili e brevi capitoli, il libro si divide in due linee narrative principali che si svolgono nella descrizione e nella cronaca dello scenario della pandemia in velocissima evoluzione, da una parte la narrazione avvincente del lavoro del team facendoci entrare nella febbrile officina in cui i piccoli di gruppi di lavoro coordinati da Zambon divise le mansioni interagiscono febbrilmente, in tele conferenza, per integrare i propri risultati in una corsa contro il tempo di uno scenario in continua rapidissima mutazione al fine di produrre un rapporto da mettere a disposizione degli stati membri del WHO prima che l’onda dello tsunami pandemico li raggiunga, cosi da metterli nelle condizioni di affrontarla con il minor danno possibile, soprattutto in termini di perdite di vite umane, dall’altra parte è una cronaca sempre più esterrefatta della risposta dei vertici che si trasforma sempre di più in una resistenza al lavoro del gruppo e infine, quando il rapporto superando tutti i rigorosissimi steep di controllo del WHO, viene pubblicato e inviato a 15 mila contatti dell’organizzazione e anche alla stampa, in un ostracismo assoluto, fino al ritiro a ventiquattro ore della pubblicazione dello stesso rapporto dal sito del WHO, e questo, e tutto ciò ormai è storia, perché il rapporto nella sua radiografia della risposta del sistema sanitario nazionale, porta alla luce che il piano pandemico nazionale italiano, non è mai stato aggiornato dal 2006. Problema è che questo fatto, gravissimo per le conseguenze che comporterà in termini di inadeguatezza della risposta istituzionale alla diffusione dell’infezione in numero di migliaia di morti che si sarebbero potute evitare, coinvolge un alto funzionario Italiano del WHO , e per estensione coinvolge il governo, nella figura del Ministro della Salute, allora come ancora oggi nella persona di Roberto Speranza, per non aver durante il periodo in cui ne fu responsabile aver fatto aggiornare tali Piani.
Per evitare che ciò divenisse di pubblico dominio attraverso il documento, il funzionario italiano del WHO , il Dr. Guerra, racconta Zambon, chiede che sia cambiata una data, chiede che Zambon scriva che il piano era stato aggiornato nel 2016 quindi durante la sua direzione dell’ufficio responsabile del piano pandemico.
Al rifiuto del funzionario ad apportare questa modifica seguirà la risposta di potere del dirigente italiano del WHO che preferirà privare il WHO del rapporto prodotto sotto la direzione di Zambon e che avrebbe potuto aiutare i gli altri stati a non incappare nella catastrofe italiana, portando Zambon a maturare la necessità di denunciare questa gravissima violazione della indipendenza dal potere politico degli stati del WHO, diventando cosi lo Snowden italiano, il whistleblower che ha denunciato come la politica sia intervenuta a gamba tesa mandando in frantumi la condizione primaria che dovrebbe garantire a una organizzazione come il WHO la capacità di intervenire in maniera assolutamente neutrale per gestire le emergenze catastrofiche sanitarie, ovvero la sua assoluta indipendenza dalle influenze dei singoli stati e la capacità di proteggere chi all’interno della stessa organizzazione denunciasse episodi di influenza e pressioni. Zambon, contrariamente a quanto affermano le regole su chi all’interno del WHO denuncia è stato lasciato completamente solo, isolato e costretto alle dimissioni. Oggi per aver denunciato si trova nelle condizioni di dover vendere la propria abitazione a Venezia.
Il suo libro, con cui la Feltrinelli ha recuperato un bel po’ della credibilità perduta rifiutando di dare esaustive spiegazioni alla stampa riguardo alla vicenda del ritiro del libro di Speranza, rappresenta un documento che, come il rapporto di Zambon, fatto ritirare dal sito dell’OMS, potrebbe salvare molte vite se riuscisse a spingere l’opinione pubblica a premere per una profonda riforma delle catene di comando e delle procedure operative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma questo dipende molto anche da un’altra indipendenza, quella della grande Stampa, che purtroppo è in forse da moltissimo tempo.
Non restano che i cittadini, ai quali ci rivolgiamo tentando di farli venire a conoscenza di questo libro con la disperata speranza che lo leggano in massa, comprendendo la gravità del pericolo di un WHO non indipendente dal potere e dagli interessi dei singoli stati, per denunciare il quale Francesco Zambon, come tutti i whistleblowers che lo hanno preceduto nel cammino di civiltà, sta pagando un prezzo altissimo.