La Cultura di YOUng ha chiesto al regista Luca Guardabascio, autore del film Credo in un solo padre di autointervistarsi, ecco il suo veloce autoritratto culturale
Credo in un solo Padre è l’opera prima italiana di Luca Guardabascio disponibile in esclusiva su Chili https://it.chili.com/content/credo-in-un-solo-padre-2019/e7cad0bf-1463-4631-a573-1477ea7c04e5 e presto disponibile su altre piattaforme.
Luca Guardabascio è un regista ed un autore che ha combattuto per anni per affermare la propria idea di cinema e di letteratura.
- Si può dire che questo è il lavoro della maturità dopo tanti anni in cui hai cercato di far conoscere e la tua poetica anche all’estero. Come nasce il tuo cinema?
Superati i 40 anni ci si rende conto di aver compiuto un bel cammino e, se questo percorso lo si è fatto per amore di una passione e di una missione, si affronta la vita che ci resta con spirito migliore. Nel mondo dell’arte in genere, ad ogni nuova idea, la crisalide prende forma e da “pupa” cresce sino a trasformarsi in farfalla per raggiungere gli sguardi e i sentimenti di tanti.
Sono Luca Guardabascio, scrivo da sempre e cerco di far cinema dall’età di 12 anni, quando cominciai a realizzare i primi home-movies, delle parodie che distribuivo in provincia di Salerno. Dal 2017 insieme allo scrittore Michele Ferruccio Tuozzo e al poeta Roberto Furcillo, abbiamo portato avanti l’idea di realizzare un film atroce e necessario contro ogni forma di violenza, così è nato Credo in un solo Padre
L’opera ha ricevuto riconoscimenti e premi internazionali, presto sarà in concorso al prestigiosissimo Los Angeles Italia, una rassegna di altissimo livello che ha come direttore e fondatore Pascal Vicedomini https://www.losangelesitalia.com/ .Il film nasce da lontano perché è ispirato ad un libro-verità scritto dallo stesso Michele Ferruccio Tuozzo che raccontava fatti realmente accaduti. E’ la storia di un nonno, un Padre Padrone che abusò prima della nuora e poi della nipotina di soli 15 anni, complice il fatto che il marito della donna e padre della ragazza era emigrato in Austria per garantire un futuro migliore alla sua famiglia. Il contesto è agricolo, remoto eppure così attuale soprattutto in epoca di Covid.
Il germe principale del film nasce dalla mia passione per la letteratura. Ho un sogno da sempre: attualizzare e portare Zola al cinema per questo sono convinto che con questo film che non lascia terreno all’immaginazione e procede per accumulo, ci siamo riusciti. L’idea che la mela (marcia) non cada mai troppo distante dall’albero così come quella che le colpe dei padri ricadano sui figli, mi affascinano da sempre.
Ricordo che mia madre, ex insegnante di francese, aveva tra le sue carte una mappa ingiallita dal tempo, un albero genealogico zolaniano del ciclo dei Rougon-Macquart, affresco in 20 romanzi che tocca la “storia naturale e sociale” di una famiglia attraverso 105 anni (1768-1873) e lo fa grazie all’ereditarietà di vizi e virtù. Il Naturalismo e il Verismo mi avevano conquistato.
A casa dei nonni si nascondevano molti libri e tra questi diverse novelle Verghiane come Rosso Malpelo ma anche l’imprescindibile libro Cuore che aveva una forza dirompente per la mia fantasia in quelle gemme che sono i racconti mensili. Sangue Romagnolo, più di ogni altro, mi rattristava e mi infastidiva perché raccontava la morte di un nipote (Ferruccio) che si immolava per salvare la nonna paralitica. Sono storie che tornavano spesso alla memoria perché hanno come tema principale la Colpa, quella di Ferruccio che la nonna accusava di non essere più un bravo ragazzo o quella incolpevole del povero Malpelo che tutti picchiavano senza motivo.
Ripensate all’atrocità di alcune storie in cui il senso di colpa è il meccanismo principe della narrazione da Delitto e Castigo a Kafka sino al Pereira di Tabucchi.
- Ti piace giocare con altri autori e con vari livelli di interpretazione?
Abbiamo una testa per poterlo fare e siamo stati educati in un’epoca curiosa che ci portava ad approfondire anche grazie a maestri preparatissimi. Se facciamo un gioco e cerchiamo di comprendere Pinocchio da adulti, ci rendiamo conto che quello a cui il burattino ci porta è l’espiazione di un senso di colpa che cozza con il senso di libertà che avvertivamo da bambini.
Da bambini saremmo voluti andare tutti nel paese dei balocchi dove anche diventare asinelli poteva sembrare divertente. Poi si diventa adulti ed eccoci trasformati in un infreddolito Geppetto che si pena e si dispera per un figlio “perduto”, un delinquente che vorrebbe riabbracciare. Geppetto, in realtà, è lo stesso Pinocchio siamo noi che invecchiamo, è la storia di un uomo che cerca di ritrovare se stesso e lo fa cercando di espiare le sue colpe.
Con il senso di colpa combattono Zeno Cosini, I miserabili di Hugo, gli adolescenti di Stephen King e i Vinti di Verga che vogliono migliorare la propria condizione sociale.
I personaggi migliori del cinema e della letteratura combattono una battaglia titanica tra colpa e redenzione e lo fanno anche senza essere incarnazioni evangeliche, da Marlow a Goethe da Omero a Dante, da Shakespeare a Grazia Deledda da Luci della città a Aguirre di Herzog da Ladri di Biciclette ad American Beauty, da Sirk, Fassbinder, Bergman, Haneke, Kubrick a Star Wars sino a Credo in un solo Padre.
Eppure l’unica colpa di tanti personaggi è quella di sentirsi liberi in un mondo che li opprime, liberi persino di diventare padri senza avere più una moglie (Geppetto), liberi come Huckelberry Finn e Tom Sawyer che, in maniera differente, non ammettono che Jim, un essere umano, possa essere trattato da schiavo. Una colpa che coinvolge anche l’Intelligenza Artificiale; le macchine e gli androidi sbagliano da Hal 9000 (2001 Odissea nello spazio) a Blade Runner perché la colpa può portare ad un’inevitabile sconfitta. Nel cinema che amo di più ci sono numerosi esempi come, ad esempio nei film di Paul Schrader (Calvinista) e Martin Scorsese (Cattolico).
Gli uomini che cercano di migliorare (anche nella commedia all’Italiana da Sordi a Manfredi), il più delle volte vengono castrati da una società cannibale ed è proprio per questo che, nel mio cinema, lascio ampio spazio ai comprimari: viziosi, abbrutiti, ignoranti, stupidi, poco razionali e che per questo si sentono liberi offendendo gli altri.
- In effetti il tuo cinema e le tue opere letterarie come L’amico speciale, edito da Newton Compton, sono costellate di ruoli minori dove ogni personaggio può essere un carattere reale, ce ne puoi parlare?
Ho avuto sempre un’attenzione maniacale per l’animo umano e per i personaggi minori (o i caratteristi) e spesso il cinema e la letteratura mi sono venuti in soccorso tanto che ho sviluppato la mia poetica dedicando poche ma decise “pennellate” a tutti quei piccoli caratteri che metto in scena o su carta. In Credo in un solo padre i personaggi minori interpretati da Roberto Ciufoli, Marc Fiorini, Francesco Baccini, Lucia Bendia, Anna Rita Del Piano, Danilo Brugia, Maddalena Ischiale, Alessandro Sorrentino, Florindo Cimei, Aldo Leonardi, Simone Gentile, Cloris Brosca, Jonis Bascir, Maurizio Ferrini, Luca Lionello, Tony Palma, Alessandro Sorrentino, Maria Rosaria Salito, Assunta Scalella, Igor Roviello, Fabio Perretta, Giuseppe Elia, Antonio Venturini hanno una grande e fondamentale importanza nello sviluppo dell’intero film e restano impressi nello spettatore.
Su ognuno di questi personaggi si potrebbe aprire un mondo, una parentesi, una nuova idea, un altro film. E’ la legge distopica dello Sliding Doors:
Vedi una persona che a te piace a tal punto da farti battere il cuore. Si tratta del classico colpo di fulmine. Lei si trova dall’altro lato della strada e sta aspettando un autobus. Ti armi di coraggio perché la ragazza ti sorride ma aspetti quell’attimo in più prima di agire, prima di presentarti finché, in maniera inevitabile, arriva l’autobus; la bella ragazza ci sale su e va via. Dai vetri della vettura ti guarda con uno splendido sorriso finché il mezzo non sparisce tra le luci del tramonto. Tu resti lì fermo, fai un’espressione buffa ed alzi una mano che sembra un arrivederci. Torni a casa in stato confusionario poi la malinconia ti assale, non era un arrivederci ma un addio.
Ora la domanda che un regista, uno scrittore dovrebbe sempre farsi è: Cosa sarebbe accaduto se ci fosse stato quell’incontro? Quei due ragazzi si sarebbero amati, sposati, avrebbero avuto figli o nulla di tutto questo? Ecco, io come autore (come faceva spesso Truffaut) amo aprire queste parentesi del non detto utilizzando i personaggi minori per creare cortocircuiti nello spettatore che devono affezionarsi non solo ai protagonisti ma anche ai rapporti che questi hanno con la società e con i ruoli marginali. Anche in questo modo, secondo me, si può parlare di Realismo al cinema, solo così posso portare avanti la mia poetica sociale in cui nessuno si salva o si danna da solo, dove non si può essere Nessuno ma soltanto Uno o Centomila. Magari nella vita si è anche Nessuno ma al cinema raramente funziona questo costrutto. Tutto questo lo devo a quell’albero genealogico redatto da Zola e all’idea che si nasce tutti buoni (come diceva Rosseau) ma che poi si è figli del determinismo e che cioè: Razza, Ambiente e Momento storico in cui si vive influiscono sulla tua formazione e sulle maschere che indosserai nella vita.
- Credo in un solo Padre racconta di vittime e carnefici ma anche di personaggi liberi che riescono a rompere le catene dell’indifferenza, anche qui c’è stato uno studio?
Negli anni ’60 e ’70 si parlava di Pedagogia Progessista e, appunto, il protagonista di Padre Padrone era figlio di questi studi perché aveva una spinta verso la ribellione grazie alla fuga e allo studio. Con il boom economico e con la rivoluzione sessuale abbiamo vissuto lo Sturm und drang della società, i nostri padri hanno incanalato l’inquietudine del passato rifiutando le norme pre-costituite grazie alla scoperta dell’altro, dove per altro intendo colui che non appartiene allo stesso nucleo sociale o tribale (Casa, Chiesa, Scuola). Siamo passati successivamente alla rabbia degli anni ‘70, all’edonismo degli ‘80 e alla decadenza dei 90 per trovarci globalizzati e nudi negli anni 2000. Oggi siamo privi di corazze e privi di punti di riferimento adeguati perché siamo sempre più soli ed egoisti. A questo male non c’è cura se non sviluppando due momenti imprescindibili dell’essere umano: la Creatività e la Conoscenza di se stessi e degli altri.
Essere aperti all’ascolto, essere vicini agli altri è la base di una società civile dove il concetto di fratellanza è l’unico e necessario per vivere bene in società.
La fratellanza-Fraternité è stata sottomessa dalla Liberté e dall’Egalitè.
La Liberté ha portato al capitalismo incondizionato ed egoistico.
L’Egalité ci ha spinti a decidere per gli altri e ad interessarci di cose che non ci appartengono senza empatia.
Ecco, questo e il fallimento di ogni Rivoluzione. Non parlo di guerre ma di idee culturali, ogni movimento è e deve essere principalmente un moto del pensiero che nasce dal sentimento per una società civile, solidale ma allo stesso tempo tecnologica, quindi di benessere e miglioramento. Solo quando la Fratellanza tra gli uomini sarà ristabilita ci sarà la vittoria dell’essere umano che nei rapporti sociali sta ritornando alla grande glaciazione.
Ogni crisi mondiale non è mai una crisi economica o sociale ma una crisi culturale e io combatto da sempre per far capire che bisogna ripartire dall’educazione (scolastica in primis) per trasmettere modelli ai giovani che devono appassionarsi di nuovo al vivere insieme. La Creatività salverà il mondo e, infatti, nel film Credo in un solo Padre, gli unici personaggi che si salvano dal Padre Padrone (un eccezionale Massimo Bonetti), sono gli uomini empatici come il vecchio Zio Domenico interpretato da Flavio Bucci (qui alla sua ultima interpretazione) e quelli che amano la Musica: Donato (Francesco Baccini e Yuri Rosa), Rocco (Denis Tuozzo e Checco Loria) o il Disegno come il muto e chapliniano Ciriaco interpretato da un sublime Claudio Madia. Chi soffre e chi anela alla Libertà dovrebbe cullare il proprio talento perché coltivare una dote può portare ad amare non solo se stessi ma anche gli altri.
In Credo in un solo Padre si analizza una realtà gretta, meschina, figlia del pettegolezzo (come scrive spesso Michele Ferruccio Tuozzo) ma allo stesso tempo repressa e sola perché abbandonata dalle istituzioni. La colpa della violenza di genere è colpa di una società che ha fallito perché sono mancati i perni del vivere civile: Creatività, Cultura, Fratellanza, Speranza, Amore. Noi abbiamo cercato di nutrire quella Speranza assumendo sul set uomini e donne vittima di abusi e di violenza. E’ stata una scommessa vinta.
- Hai realizzato un film contro la violenza in cui, però, le donne subiscono senza ribellarsi, come mai questa scelta che va un po’ contro le figure cinematografiche a cui siamo abituati?
La signora Robinson, Ellen Ripley, Mary Poppins e Erin Brockovich appartengono al cinema degli eroi, in Credo in un solo Padre abbiamo descritto i Vinti e abbiamo dato voce a quelle donne che non riescono a parlare. Sono tanti i messaggi che riceviamo quotidianamente di persone vittima di violenza che ci ringraziano per aver parlato anche di loro affinché non siano mai più invisibili.
Le donne del nostro film si immolano per proteggere gli altri come la protagonista Anna Marcello (Maria) che si sacrifica per il bene dei propri figli. Le altre sono donne vittime di un sistema patriarcale come Francesca Luce Cardinale che interpreta l’eterea Ninetta abusata da fratelli o Veronica (Donatella Pompadour) che subisce le angherie del mostro per avere una famiglia normale. Le altre donne cercano di ribellarsi come Concetta(Silvia Bertocchi) che ama un soldato afroamericano o la giovane Carmela (Sveva Rosa e Chiara Primavesi) che subirà le attenzioni del mostro solo per essere un bellissimo fiore che sboccia. A far da contorno a questo orrore ci sono gli altri: i vigliacchi, i codardi, quelli che non parlano, non denunciano, non aiutano anzi accusano le vittime. Sono quelli che si girano dall’altra parte, almeno finché quello stesso destino non toccherà anche a loro.
- Come vedi oggi la Società che descrivi?
La Società è Polifemo, ha un occhio solo che noi abbiamo cercato di trafiggere dopo la seconda guerra mondiale vestendoci da Nessuno ma ora questa società lancia pietre alla cieca, macigni che potrebbero colpire chiunque. Per vivere bene dovremmo conoscere gli altri stipulare un’alleanza vera fatta di partecipazione e condivisione. Itaca è ancora lontana ma possiamo provare a raggiungerla tutti insieme perché scaltri come Ulisse, davvero non lo siamo. Si crede che la Società non sia un ente singolo e giudicante ma, invece, siamo tutti noi. E solo quando riscopriremo che la sofferenza di tanti è il fallimento dell’intero sistema umano, capiremo che pensare a un Noi può essere più decisivo per vincere e riprendersi il posto che ci spetta nel Mondo.
- Come vedi il Futuro?
Io, nel mio piccolo, continuerò a fare cinema e a scrivere libri, ad amare, ascoltare gli uomini e a inseguire sogni. Sarò fedele alla vita e alla mio concetto di Cultura. Le critiche mi serviranno per crescere, le cadute per rialzarmi, le sconfitte per riprogrammare le vittorie. Un mio amico sacerdote, un sant’uomo Don Franco Monterubbianesi mi ha insegnato che il concetto del vivere non è la passione del Crucifige perché noi siamo fatti per Risorgere e migliorare giorno dopo giorno. Io, per questo, mi rivolgo ai giovani: Voi siete la forza, noi siamo presente o passato ma voi partendo dai nostri errori potrete correggerli per costruire Futuro e vi posso garantire che sarà la cosa più bella, l’unica che vi aiuterà a sentirvi vivi. Il Futuro non è un concetto astratto ma un obiettivo da perseguire, è come un insieme di mattoncini Lego… se si lasciano dei pezzi su un tavolo, state sicuri che prima o poi arriverà qualcuno a costruirci qualcosa. Facciamo che quel qualcosa sia bello, solido e duraturo, una “casa” da abitare ampia e confortevole perché è questo il nostro Mondo, non ne abbiamo un altro.
Io proseguirò e, dopo Credo in un solo Padre tornerò all’antico, alle mie passione Hitchcockiane con un Horror Naturalista, Antropologico e Sociale dal titolo Urlamò con protagonisti i miei attori feticcio Massimo Bonetti e Giordano Petri e con tante partecipazioni importanti come Anna Rita Del Piano, Marina Pennafina, Marco Perciavalle, Claudio Madia, Fabio Mazzari e Francesco Baccini che si occuperà anche della colonna sonora. Con loro ci saranno tanti altri attori su cui stiamo lavorando. Urlamò parlerà di lotta di classe (alla Bunuel) tra i ricchi e i nuovi poveri.
Ci muoveremo tra una realtà pasoliniana e una realtà aristocratica, il tutto condito da superstizioni e riti tribali. Un mio amico scrittore Draguo Cabasciula, dopo aver letto la storia ha detto: “E’ come se Edgar Allan Poe avesse incontrato Levi Strauss,” lo prendo come un grandissimo complimento.
Buona visione e Buona Vita .