I guariti da linfoma di Hodgkin sono adulti sani con una vita normale, ma che potrebbero essere più fragili rispetto al virus.
Il linfoma di Hodgkin è il classico esempio di malattia tumorale guaribile. Grazie all’efficacia degli schemi di chemioterapia messi in atto sin dagli anni 70/80 e della radioterapia, più dell’80% degli ex pazienti con linfoma di Hodgkin, curati nell’adolescenza o nell’età giovane adulta, godono ora di uno stile di vita normale, e sono considerati soggetti del tutto sani.
Eppure, nei decenni è stata prestata crescente attenzione alla tossicità a lungo termine dei trattamenti, in particolare della radioterapia, che spesso provoca dei danni, da lievi a seri, a distanza di molti anni dalla sua applicazione.
Ci sono stati grandi progressi nel raffinare gli schemi di trattamento, l’intensità delle chemioterapie e delle radioterapie e’ stata modulata, in modo da renderle meno tossiche, e da evitare di esporre le persone giovani malate di linfoma di Hodgkin ad un livello di tossicità che condizionasse la loro salute futura. Inoltre, sono state studiate e proposte diverse iniziative per la diagnosi precoce e la prevenzione delle complicanze a lungo termine. Ma questi protocolli di prevenzione non si sono ancora tradotti in solide consuetudini sanitarie, se non in realtà molto limitate ed avanzate. Le persone guarite da Linfoma di Hodgkin non si sentono malate, stanno bene e non vengono percepite come persone a rischio concreto di complicanze da parte di molti operatori sanitari. Inoltre, non tutti i provvedimenti proposti per prevenire la severità di eventuali danni su polmoni, tiroide e cuore, sono di sicura efficacia. Ossia, non sempre eseguire più esami significa poter prendere più provvedimenti utili per la salute. Anche per questo i programmi di screening e prevenzione sono stati applicati in maniera disuniforme, e la percezione dei problemi di salute legati al linfoma di Hodgkin a distanza dalla guarigione e’ ancora sfumata.
Vi è inoltre un aspetto meno noto, spesso sottovalutato, e riguarda delle sottili ma persistenti alterazioni del sistema immunitario deputato alla risposta antivirale. Questo aspetto, che nella maggior parte dei casi non impatta sulla qualità di vita degli ex pazienti con linfoma di Hodgkin, potrebbe rivelarsi un tallone d’Achille in corso di epidemia da COVID-19, in particolare se si considera contestualmente la possibilità di danni minori, subclinici (ossia non evidenti, che non creano problemi percepibili in situazioni normali), sul cuore e sui polmoni, in seguito alla radioterapia e chemioterapia.
Una serie di pubblicazioni scientifiche, tra la fine degli anni 70 ed oggi, ha documentato moderati ma significativi deficit dei linfociti T, (le cellule deputate alla difesa contro i virus), nei guariti da Hodgkin, anche a distanza di decenni dalla terapia. I diversi disegni di studio hanno reso plausibile l’ipotesi che l’alterazione, solo in parte reversibile, sia legata innanzitutto alla malattia stessa, e solo in parte minore dovuta agli effetti della radioterapia sul timo, (una struttura linfatica nella parte anteriore del torace, che produce i linfociti T).
Per il tipo di sbilanciamento -anomalia dei linfociti T- riscontrata nei sopravvissuti a Linfoma di Hodgkin, si è parlato anche di immunosenescenza, ossia di invecchiamento precoce del sistema immune. Vi sono rari reports che negli anni recenti – quindi anche dopo l’applicazione delle terapie più moderne- continuano a registrare una incidenza aumentata di infezioni nei guariti da Hodgkin, rispetto ai coetanei senza malattie significative nella propria storia. Questo effetto, incrociandosi con la tossicità minore e non evidente della radioterapia sul polmone, (e probabilmente anche con l’effetto del chemioterapico bleomicina), potrebbe rendere gli adulti sopravvissuti ad Hodgkin a maggior rischio di complicanze con una eventuale infezione COVID19.
Non vi sono studi specifici sull’andamento dell’infezione da COVID19 nei guariti da Linfoma di Hodgkin, come non ve ne sono peraltro su tutte le singole condizioni di immunodepressione in corso di COVID-19. Ma allo stato attuale delle conoscenze è ragionevole raccomandare a questi guariti, ex pazienti, un particolare livello di cautela rispetto al nuovo virus.
Se molte persone con malattie ematologiche e tumorali attive non stentano a riconoscersi nelle categorie a rischio, e se molti guariti da cancro non hanno difetti immunitari a lungo termine, l’una e l’altra cosa non si applicano ai guariti da Linfoma di Hodgkin. In particolare, questi ultimi potrebbero non essere resi consapevoli dell’utilità di prendere maggiori precauzioni rispetto alla media dei propri coetanei.
Ad oggi ho trovato solo una raccomandazione in lingua inglese della maggiore associazione americana di sopravvissuti al cancro, la National Coalition for Cancer Survivorship, che sollecita ai guariti da Hodgkin (indipendentemente dagli anni trascorsi dalla malattia) molta prudenza in questo periodo. Non mi risultano per ora raccomandazioni pubbliche in lingua italiana su COVID19 esplicitamente riferite ai sopravvissuti a Linfoma di Hodgkin.
Il mio consiglio a tutti i guariti da Linfoma di Hodgkin è di adottare le comuni raccomandazioni igieniche e di distanziamento sociale per il COVID19 con la massima attenzione e rigore, in particolare se si sono ricevute in passato dosi elevate di radioterapia (uguali o superiori a 40Gy) sul torace, se si è stati sottoposti a splenectomia (rimozione della milza), se si è stati trattati in passato per una ricaduta del linfoma di Hodgkin. Controllare periodicamente su internet l’eventuale uscita di comunicazioni da parte di associazioni ematologiche, oncologiche e istituti di ricerca, o Ministero della Salute, sul tema: linfoma di Hodgkin e coronavirus (o COVID-19), linfoma e coronavirus, cancer survivors e coronavirus, cancro e coronavirus, lungosopravviventi e coronavirus, per vedere se si fa esplicito riferimento ai guariti da Linfoma di Hodgkin.
Per domande più specifiche o esigenze particolari, per cui si possa sentire la necessità di chiedere al medico di famiglia o all’ematologo curante, cercare di contattarli via email (o con numeri di telefono dedicati), senza recarsi in studio o in ospedale.
In caso di ricovero per infezione da COVID-19 è importante riferire ai medici la pregressa storia di linfoma di Hodgkin, ed il tipo di terapia ricevuta. Se non si fa in tempo a riferire tutto o non si ricorda bene il tipo di trattamento, cercare di fare presente almeno il Linfoma di Hodgkin e se si e’ ricevuto il farmaco bleomicina nello schema di chemioterapia (controllare in anticipo).
Sito organizzazione di Hodgkin Survivors – Associata National Coalition for Cancer Survivorship
https://www.hodgkinsinternational.org/
Comunicato Hodgkin e COVID-19
Articoli tecnici per la consultazione rapida da parte di addetti ai lavori:
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/141726
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/302164
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2224790
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/653309
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2663831
Kathrin von Hohenstaufen, autrice del pezzo, è medico chirurgo specializzato in ematologia oncologica nel 2009 presso l’Università degli Studi di Milano. Ha lavorato in Centri di Eccellenza Internazionale per la Cura e la Ricerca sulle malattie oncoematologiche in Milano, Svizzera e Regno Unito. E’ pittrice, autore di numerosi brani musicali, testi di narrativa, poesia e Storia Medievale.