Dopo Matteo Achilli con il suo “Egomnia”, lo ammetto, non immaginavo che il prossimo co-destinatario di una mia inchiesta sarebbe stato proprio Jacopo Paoletti, che negli ultimi anni ha ricoperto numerosi ruoli come “Partner Manager/CMO/Advisor” ecc in altrettante aziende diverse, contemporaneamente. Paoletti, per capirci, è lo stesso mattacchione che a quanto ci hanno raccontato coinvolse moltissime persone (tra cui anche chi vi scrive, che si prodigò per aiutarlo) con l’operazione #unlavoroperjacopo. In pratica, disse a tutti che era disoccupato ed alla disperata ricerca di un lavoro, guadagnando in questo modo tantissima visibilità grazie alla solidarietà mostrata da un numero considerevole di persone ed agli articoli usciti su diverse riviste, dove poi però Paoletti disse anche che la sua era nata più che altro come “una provocazione
E infatti, come ci ha rivelato Andrea Elestici, a quanto pare Paoletti non cercava lavoro, ma più che altro solo un modo per testare il potere dei social network. E infatti, forse non a caso, online si trovano diverse analisi come questa, dedicate proprio all’effetto ottenuto dall’hasthtag e dall’iniziativa. Insomma: forse non era vero nulla e tutta l’iniziativa si era basata esclusivamente sulla buona fede tradita dei tanti che erano accorsi in suo aiuto, citando l’hashtag con all’interno il suo nome e cognome?
Fosse stato così, potremmo dire risultato eccellente, etica di certo non impeccabile. Paoletti oggi però nega questa versione dei fatti ed assicura che invece l’operazione fu autentica e genuina, portata avanti con il solo ed unico intento di trovare un impiego.
CENSURA E BAN PER DELLE DOMANDE SU USERBOT
Con la testimonianza di Elestici e diverse segnalazioni sulla startup più popolare e “spinta” del pluri-CMO, proprio di recente, ho così deciso di porre alcune semplici domande su Userbot, direttamente sulla pagina fan della società che, tradendo non poca fiducia nei propri mezzi, si autodefinisce “la più promettente azienda italiana nell’ambito della ricerca e sviluppo di prodotti basati su Intelligenza Artificiale”. La reazione è stata prima la censura con cancellazione del commento e, in un secondo momento, il ban totale dei miei profili da parte di Paoletti.
CHI È IL CEO DI USERBOT?
Dopo il Co-Founder e CMO bannatore, adiamo a scoprire il profilo del CEO/Founder di Userbot, l’under 30 Antonio Giarrusso. Bene: oltre ad una vaga somiglianza con Edoardo De Laurentiis (figlio del patron del Napoli), si limita ad esternare grande ambizione definendosi al contempo “Ingegnere, Imprenditore Digitale, Tecnologo, Speaker, A.I. Evangelist”. La “creatura” pregressa e suo tempo tanto celebrata per accreditare Giarrusso come giovane imprenditore digitale di successo, al quale dare grande fiducia e dedicare copertine su Millionaire, è Mobixee Ltd. Sulla pagina fan della società non si registrano attività da circa un anno e sul sito sono citate una decina di applicazioni in portfolio. A parte l’esperienza in Mobixee come “Director e Senior iOS Engineer”, Giarrusso è anche “CIO & Partner” di Comunicatica, azienda direttamente connessa sempre a Paoletti e vero fulcro intorno al quale ruota tutta la strategia di partecipazione e promozione a raffica di startup innovative messa in piedi dal marketer. Prima di queste esperienze, Giarrusso ha lavorato come “Senior iOS Developer, Founder & Project Manager” per una piccola impresa individuale di Vairano Paternora, in provincia di Caserta. A quanto si legge, in ultimo, il ragazzo avrebbe sviluppato e lanciato App che avrebbero “circa 4 milioni di utenti nel mondo”. Numeri che, come intuirete, non è facile verificare con esattezza.
COSA DOVREBBE FARE USERBOT?
Ma cos’è Userbot e di cosa dovrebbe occuparsi? In pratica è una startup innovativa come tante, che promette (da anni) di proporre una sorta di chatbot evoluto come ibridazione tra i sistemi a risposta pre-impostata esistenti ed una non ben precisata “intelligenza artificiale”, capace di apprendere grazie agli interventi correttivi di un essere umano (da backoffice) e dalle stesse interazioni degli utenti che lo utilizzano.
Userbot, infatti, si prefigge l’obiettivo di offrire una modalità innovativa di customer care, utile a gestire le richieste d’assistenza dei clienti con un intervento umano ridotto all’osso. Nei primi mesi del 2018, ha raccolto mezzo milione di euro di investimenti. Anche con la campagna attuale su Mamacrowd, che chiude tra pochi giorni, ha raccolto altri 650.000 euro circa.
Insomma: lato funding e lato marketing, proprio come Achilli, il gruppo Paoletti sa muoversi benissimo e bisogna dargliene atto. Interviste continue sui vari blog di settore, copertine su Millionaire, premi su premi: tutto il repertorio completo degli startupper di successo è servito.
Ma lato affari e business concreto, come andiamo? Soprattutto: lato demo della piattaforma e suo effettivo funzionamento? Sul sito ufficiale come unico cliente risulta Agos, mentre sulla campagna crowdfunding si citano anche Pirelli, Fendi, Repower e Open Fiber. Sui portali di questi brand userbot non è visibile, ma naturalmente questa mancanza da sola non suggerisce automaticamente millanterie. Così ho chiesto, come dicevo, l’accesso ad una demo anche molto grezza. Una pre-beta, qualcosa insomma che potesse almeno dimostrare l’esistenza di questa intelligenza artificiale per la quale l’ottimo Pr Paoletti con il suo team sta raccogliendo tanti soldi, oramai da quasi 2 anni, visto che la costituzione della società risale al giugno 2017.
La risposta però non è arrivata, il commento con le mie domande è stato cancellato ed io sono stato bannato da tutti i profili di Paoletti, sua pagina fan compresa, con tanto di commento sarcastico e sprezzante del personaggio, evidentemente convinto che la trasparenza sia un vezzo non necessario per chi è tanto bravo a far parlare di se e a raccogliere cuoricini sotto i suoi post.
AGOS, REPOWER, BUZZOOLE E COMUNE DI SESTO FIORENTINO: NESSUNO USA PIÙ USERBOT
Tra i soggetti che hanno testato Userbot non proseguendo poi la fornitura ci sono anche Buzzoole, che non ha espresso giudizi di merito sulla qualità della presunta AI, ma ha precisato di aver deciso di non proseguire dopo la fase di testing. Senza più userbot anche Agos (che compare ancora come cliente un po’ ovunque), che mi ha confermato tramite proprio referente interno di non aver più alcun rapporto di fornitura con Userbot dalla primavera 2019. Idem per Repower, che pure è indicato tra i “top clients”: l’azienda, contattata, mi ha confermato di non essere mai stata cliente di Userbot, anche se nel 2018 ha conferito il premio “Gaetano Marzotto” alla startup innovativa. Sempre Repower, ci ha tenuto poi a precisare genericamente che con l’azienda di Paoletti e soci ci sarebbe una “valutazione in fase molto avanzata” su “come integrare la loro attività su un nuovo progetto di vendita”.
Poi c’è il Comune di Sesto Fiorentino, che aveva accordato un rapporto di fornitura da quasi 9000 euro e…ha deciso di ritirare la commessa in quanto, si legge tra le carte del ricorso presentato da Userbot e respinto (“per difetto di giurisdizione del g.a.”), “la soluzione tecnica realizzata da Userbot per il Comune di Sesto Fiorentino non corrispondeva a quanto ordinato dall’Amministrazione”.
Analizzando a fondo il documento, infatti, si scopre che il Comune ha deciso di interrompere il servizio di fornitura perché, de facto, la piattaforma non funzionava senza l’intervento costante di un essere umano, che avrebbe dovuto “addestrarla” almeno in una prima fase. Con che modalità ed in quali tempi, si legge ancora nel documento, i tecnici di Userbot non sarebbero stati in grado di riferirlo in nessuna riunione e/o documento tecnico esplicativo. Per questo, alla fine, l’ente pubblico ha deciso di non utilizzare il sistema proposto dalla startup e di ritirare la commessa.
Insomma: tre aziende su tre che avevano iniziato un rapporto di fornitura con Userbot hanno di fatto deciso di non continuare. Con un’amministrazione pubblica, indicata come cliente sulla landing della prima raccolta fondi, si è finiti addirittura con un ricorso (non accolto per difetto di giurisdizione) al TAR della Toscana. Con Repower, invece, non è proprio mai esistito alcun rapporto di fornitura fino ad oggi. Contattati anche Open Fiber, Fendi e Pirelli, gli altri tre “big brand” citati insieme ad Agos nella pagina di raccolta su Mamacrowd. Inviate richieste di chiarimenti anche ad AIXIA ed AGID, entrambe inserite tra le “associates” sul sito di Userbot. Dopo aver atteso diversi giorni chiedendo riscontri, non ho purtroppo ricevuto alcuna conferma né smentita dai rispettivi referenti contattati. Sui portali delle tre aziende succitate, comunque, non compare alcun riferimento o possibilità di utilizzo per Userbot.
DA DUE ANNI, ZERO DIPENDENTI E SPESE IN SERVIZI
Ad una prima analisi, i bilanci di Userbot sembrano avere qualcosa in comune con i primi di Egomnia: a fronte di una considerevole presenza mediatica ed un continuo tam tam di notizie e like vicendevoli tra soci, amici, mogli, ignari simpatizzanti ed “evangelist/influencer”, risultano zero dipendenti, zero compensi per i soci e sindaci, in tutto 35.000 euro di crediti e 18.000 totali di debiti.
Soprattutto: poco più di 91.000 euro di ricavi e oltre 242.000 euro spesi in generici “servizi”. Spese totali per dipendenti: 141 euro. Ora, se per una startup appena partita e magari senza neppure una piattaforma attiva è normalissimo cercare di affidarsi a free lance puntando su un modello di sviluppo molto “snello”, con alcuni “giri” fisiologici ed un fatturato misero che non è per forza segno di progetto non valido, sembra comunque strano che puntando a raccogliere un milione di euro solo da crowdfunding, autodefinendosi addirittura come “la più grande scaleup italiana di sviluppo di tecnologie di Intelligenza Artificiale.“, si sia ancora a questo punto: ovvero senza aver stabilizzato una sola persona, senza fatturati degni superiori a quelli di un buon free lance, senza alcuna penetrazione in mercati esteri. Ancora, cosa forse più importante di tutte: senza neppure una demo funzionante da poter testare sui portali dei big partner citati ovunque, se non quella attiva sul sito di “Coderblock” (azienda partecipata sempre da Paoletti e dalla sua Comunicatica, come comunicato lo scorso 5 luglio).
GIARRUSSO: “TANTI BIG BRAND CON NOI, CON 500% DI RITORNO SUGLI INVESTIMENTI”
Ora, visto che troppo spesso in questo settore i numeri diventano un mero vettore di marketing tramite storytelling, sotto il video dove Giarrusso assicurava che diversi clienti registravano già “un “500% di ritorno sul primo investimento”, avevo semplicemente chiesto di chiarire quali fossero questi numerosi “big brand” che già utilizzerebbero Userbot e con quali investimenti iniziali affrontati di preciso. Del resto, delle due l’una: o questi big brand non esistono, oppure ci sono ma producono meno di 100.000 euro di ricavi nel 2018. In ogni caso, sarebbe utile ed interessante fornire dei chiarimenti, soprattutto per i diversi investitori coinvolti a vario titolo nella faraonica campagna di crowdfunding di recente prolungata per raggiungere 1 milione di euro.
Al momento, però, come potete notare sotto quel video non comprare alcun commento con domande. In più, il mio profilo è stato bloccato dalla pagina fan di Userbot, nonché da ogni profilo social del CMO Paoletti, che nello screenshot di seguito si vantava anche di avermi bannato invece di rispondere alle mie legittime domande, nel primario interesse dei suoi investitori (oltre che della sua credibilità professionale ed imprenditoriale).
IL TEST SU CODERBLOCK: DIFFICOLTÀ ANCHE CON LE SEMPLICI FAQ
Non avendo avuto risposte e non avendo trovato alcun cliente di Userbot sul quale testare il tanto decantato sistema di AI, abbiamo dovuto ripiegare sulla versione attualmente presente sul portale di Coderblock, startup che è da poco partecipata proprio di Userbot, Comunicatica e lo stesso Paoletti. Abbiamo fatto un test semplice iniziando con “Salve” ed il chatbot ci ha subito scritto di non aver capito cosa intendevamo. Così abbiamo proseguito limitandoci a copia-incollare alcune delle (prime) domande che si trovano nelle FAQ. Anche in questo caso, abbiamo ricevuto sempre lo stesso messaggio di mancata comprensione e rimando ad un operatore umano per ottenere le risposte. In ultimo, abbiamo tentato di chiedere info su Userbot e Coderblock stessa, inserendo nel secondo caso un piccolo errore di battitura e…stesse risposte di mancata comprensione. Di seguito avete tutti gli screen. Naturalmente, potete testare voi stessi il sistema da qui (che immaginiamo e ci auguriamo correggeranno nei prossimi giorni, dopo la nostra inchiesta)
Come avete potuto leggere, a semplici domande (riprese in buona parate della FAQ del sito), non saimo riusciti ad ottenere neppure una prima risposta. Di fatto, quindi, almeno stando al test effettuato in data 8 luglio 2019, Userbot pare un po’ lontano dal potersi definire anche solo un semplice chatbot a risposta multipla pre-impostata, figuriamoci se possiamo dirci al cospetto di una AI evoluta ed autonoma, in grado di agire affidandosi ad un minimo supporto umano. Un po’ meglio è andata con altri quesiti, che evidentemente si trovano nell’apparentemente risicato database. Leggete sotto gli screen. Parliamo, sempre e comunque, di un semplice sistema a bottoni e relative opzioni di domande/risposte preconfigurate. Almeno, questo è quello che è emerso dai test che abbiamo fatto e che hanno fatto altri utenti che ci hanno riportato la loro esperienza fino al 9 luglio sera.
INTERVISTA AD UN PROSPECT DELUSO:”MI HANNO CHIESTO SOLO DI INVESTIRE, CON UN CALL CENTER”
Incuriosito dalle mie anticipazioni, qualche giorno fa su Linkedin mi ha contattato Mirco Peragine di Shampora, altra startup innovativa che con profilo basso, senza pretenziose copertine su Millionarie e collezioni di premi, si avvia mestamente a fare 1 milione di fatturato ad un anno circa dalla sua fondazione, avendo già aperto al mercato estero. Mirco ha accettato di raccontarmi la sua breve esperienza con Userbot. Di seguito il nostro piccolo botta e risposta.
Ciao Mirco, ci racconti del tuo primo incontro con Userbot?
Certo: durante una loro raccolta (credo su Crowdfoundme), incuriosito da Userbot e da ciò che prometteva di realizzare a livello di AI a supporto del customer care, chiesi informazioni sul servizio, precisando che avrei voluto approfondire il discorso (e magari testare una beta) con il loro CEO. Come prima cosa e senza fornirmi alcuna informazione aggiuntiva, mi chiamarono per chiedermi di partecipare alla loro raccolta attiva.
Quanto ti chiesero?
Non lo ricordo con precisione, sinceramente. È passato un po’ di tempo e non posso dare una cifra esatta. Comunque ricordo bene che si trattava di qualche migliaio di euro da investire subito.
Va bene, potremmo dire che è legittimo cercare di convincere potenziali clienti ad investire nel progetto da subito, avendo una campagna attiva, per poi avere magari vantaggi e pricing vantaggiosi in futuro
Ma infatti, condivido al 100% su questo. Il crowdfunding si fa anche così, soprattutto lato B2B. Ma la cosa che mi lasciò molto perplesso, è che si limitarono a chiedermi insistentemente soldi, rimbalzando le mie richieste di un confronto con il loro CEO e di un beta testing da poter vedere prima di fare il versamento. Non si trattava di investire 100 euro, ma cifre ben più sostanziose. Per farlo, essendo io stesso founder di una startup, avrei dovuto (e voluto) avere più elementi per poter decidere non soltanto sull’onda dell’emotività e del timore di perdere un’occasione importante.
Quindi ti chiamarono spesso?
Sì, mi hanno chiamato più volte per chiedermi di fare il bonifico il prima possibile. Ho avuto la netta impressione che avessero messo in piedi una sorta di call center per fare raccolta usando le classiche leve di scarsità ed urgenza. Le frasi usate erano del tipo: “Se non investe ora non potrà approfittare dei vantaggi futuri” e “se non partecipa adesso non potrà usare userbot fino al prossimo round”. Io chiedevo del CEO, ma mi dicevano che sarebbe stato a Londra fino alla fine della settimana e sarebbe rientrato, guarda caso, proprio il giorno successivo alla chiusura di questa opportunità d’investimento. Ho anche provato a chiedere informazioni all’operatrice la quale, giustamente, mi ha risposto con un laconico “mi occupo solo della raccolta fondi e non ho competenze tecniche”.
Ma alla fine sei riuscito a parlare con il CEO o almeno con qualcuno che non volesse solo farti investire?
No, non ho mai avuto contatti né risposte da loro. C’era solo questa signorina che mi chiamava insistentemente. Compreso che non avrei investito senza ulteriori elementi di valutazione ed un confronto con un loro manager, sono spariti. Onestamente ho percepito poca trasparenza, molta vendita d’assalto e nessun contenuto. Con questo non giudico il risultato finale, l’operatività della piattaforma o la sua reale capace d’innovazione (non sono mai riuscito a effettuare neanche una demo assistita in remoto); semplicemente mi limito a giudicare negativamente l’esperienza da “prospect” e sicuramente, se non con evidenti documentazioni tecniche e possibilità di utilizzo in test, non acquisterei mai un servizio da questa azienda.
NESSUNA RISPOSTA, DIFFIDA FIRMATA DA 14 AVVOCATI E ACCUSA DI “CONFLITTO D’INTERESSI”
In realtà, però, i soci di Userbot hanno pensato bene di rispondere optando per una strategia al contempo intimidatoria e diffamatoria, ovvero facendo inviare a mezzo PEC una mail con illazioni fondate su informazioni clamorosamente inesatte e/o inesatte, firmata da ben 14 avvocati (sistema un po’ vetusto ed oramai poco efficace per mostrare i muscoli, invero). Nella missiva, infatti, si intimava in primis di non pubblicare alcuna inchiesta per non ledere “gli interessi commerciali della nostra assistita”. Contestualmente, mi si contestava un presunto “conflitto d’Interessi”, al quale i soci della startup si appellano per giustificare la censura e la mancata risposta a legittime domande (inviate anche a mezzo PEC).
Ma in cosa risiederebbe il “conflitto d’interessi” dello scrivente, che sarebbe addirittura passibile di “segnalazione all’ordine dei giornalisti” (al quale sono iscritto come professionista?) e giustificherebbe, come detto, l’atteggiamento di chiusura totale che ho patito?
La colpa del sottoscritto sarebbe quella di collaborare da anni con INSEM SPA, nota azienda di digital marketing che ha una quota di partecipazione in questo giornale. In più, nel suo HUB, INSEM ha anche Mazer Srl, società che a sua volta è la titolare di “Laila – il Chatbot dal cuore umano”. Nella lettera, i legali di Userbot, senza neppure prendersi la briga di scaricare una visura e definendo la mia come una “pseudo-inchiesta”, mi accusano infatti di avere addirittura una quota in Mazer (cosa totalmente falsa), considerata diretta concorrente della presunta AI sviluppata da Userbot.
Ora, che io abbia rapporti professionali consolidati su diversi altri progetti con il fondatore di INSEM e Mazer, è notizia pubblica e nota, in massima trasparenza. Conosco e stimo le persone che compongono i board di entrambe le società, ma ho sempre agito in totale indipendenza ed autonomia, scontrandomi in questo caso specifico anche con i miei colleghi, che non avrebbero voluto pubblicassi questa inchiesta e che mi hanno anticipato avrebbero preso le distanze da quella che resta una mia iniziativa giornalistica, del tutto indipendente e slegata da secondi fini connessi a mie partecipazioni commerciali anche collaterali a Mazer.
L’accusa di aver agito dietro mandato dei competitor, tra l’altro, oltre ad essere infondata è anche insensata: se sul serio quella che avete letto fosse stata un’inchiesta commissionata, avrei agito in maniera totalmente diversa. In primis, non l’avrai mai pubblicata sul mio giornale, firmandola a mio nome. Avrei nel caso “confezionato” le informazioni raccolte e scritto il pezzo, girandolo ai miei colleghi che avrebbero potuto pubblicarla su altre testate.
Inoltre, se anche fossi stato il CEO di Mazer s.r.l, naturalmente avrei avuto tutto il diritto di porre quesiti ed indagare su un mio competitor presunto o reale. L’unico aspetto da valutare sarebbe infatti la veridicità e verificabilità delle informazioni che sono riportate e dei test effettuati, unite alla totale apertura al confronto con i titolari di Userbot.
COSA SI CONTESTA AD USERBOT ED ALLA SUA STRATEGIA E #UNARISPOSTADAJACOPO
Chiariamoci: esistono innumerevoli progetti, in Italia come all’estero, che raccolgono anche molti fondi basandosi semplicemente su un’idea molto ben raccontata, un business plan ben strutturato ed un team credibile. Le Startup, per definizione, sono prima di tutto realtà finanziate in base al loro potenziale nel breve e medio periodo. Proprio per questo, però, comunicare in maniera chiara, trasparente ed “onesta” è vitale per non creare un mero prodotto raccontato attraverso lo storytelling più spregiudicato. Se sei ancora in piena fase sviluppo e, di fatto, non hai ancora nulla di funzionante e performante, è così che dovresti presentarti a stampa e quindi investitori, anche a costo di raccogliere meno denaro. Per capirci ancora meglio: la parte connessa a comunicazione, marketing e promozione, dovrebbe viaggiare di pari passo con quella connessa allo sviluppo concreto. Altrimenti, se si è tanto più bravi nelle PR, occorre almeno evitare di presentarsi per ciò che ancora non si è.
Non è solo un discorso di etica aziendale, ma di credibilità connessa ad un intero settore e, a mio avviso, anche a strumenti “giovani” come l’equity crowdfunding. Se poi, in aggiunta, parliamo di un tema tanto complesso ed ancora in stadio embrionale come l’intelligenza artificiale, l’attenzione e la sobrietà nella comunicazione dovrebbero essere maniacali e totalmente prive di auto-referenzialità spinta, con massima apertura al confronto, nonché alle critiche legittime che pure possono arrivare da parte di giornalisti, altri startuper e persino diretti concorrenti.
Rimanendo aperti ad un’eventuale replica di Userbot, si spera non esclusivamente tramite ufficio legale ed i altre risposte da partner ai quali ho già chiesto ulteriori chiarimenti, concludo questa inchiesta sperando che in futuro il sistema promozionale che ruota intorno alle startup innovative sia molto più rigoroso, dedito alla verifica delle autocelebrazioni e di conseguenza più serio e credibile, meno fondato su trend e buzz words del momento e più orientato alla promozione di chi fa ed ha già fatto oltre che di chi è molto bravo a raccontare cosa starebbe facendo o potrebbe fare. A proposito, se avete apprezzato questa inchiesta, aiutateci a diffondere l’hashtag #UnaRispostaDaJacopo, nella speranza che il tam tam spinga Paoletti a fare ciò che un CMO dovrebbe fare come base della sua attività: confrontarsi con chi avanza domanda e dubbi. E questo, anche se occupa questo ruolo in una quindicina di aziende contemporaneamente e di sicuro è molto impegnato.
AGGIORNAMENTO: in data 14 luglio 2019, userbot ha deciso di rispondere con un comunicato. Entro questa settimana, usciremo con la seconda ed ultima parte della nostra inchiesta, avendo ottenuto la disponibilità ad un’intervista da parte del CEO di Userbot, Antonio Giarrusso.
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