Come anticipato nella prima parte dall’inchiesta su Userbot, dato anche il clamore e l’interesse che l’indagine ha generato in tutto il settore startup, possiamo proseguire con gli importanti aggiornamenti che riguardano in primis la risposta ufficiale e l’apertura che la startup ha mostrato, sia attraverso un comunicato ufficiale, sia attraverso una telefonata di chiarimenti avvenuta tra chi vi scrive, Paoletti e Giarrusso (con toni molto concilianti ed amichevoli, in questo caso).
Il comunicato diffuso dal CEO, ha tentato infatti di rispondere alle domande poste da YOUng e da tantissimi altri lettori, che nei giorni scorsi hanno condiviso la nostra indagine e posto quesiti anche direttamente su Mamacrowd. Prendendo atto dell’apprezzabile e concreto atto d’apertura, con tanto di invito a testare il sistema di AI direttamente a Milano, è però nostro dovere chiudere il cerchio che era stato aperto e sottolineare alcuni dettagli importanti, non certo con l’intento di accanirsi contro la startup, ma con l’unico obiettivo di sviscerare ogni punto ancora sospeso e lanciare un messaggio costruttivo e positivo all’intero ecosistema ed alle piattaforme che si occupano di equity crowdfunding.
MODIFICHE SUL SITO DI USERBOT: LE LETTERE DI AIXIA ED AGID
Come potete notare dallo screenshot di seguito, in precedenza sotto la voce “associates” erano inseriti tra gli altri i loghi di AGID ed AIxIA. Bene, l’agenzia pubblica e l’associazione ci hanno entrambe risposto in maniera molto chiara ed eloquente, confermando di non aver alcun rapporto di partnership con Userbot e di non aver fornito alcuna autorizzazione all’utilizzo dei rispettivi loghi per fini commerciali e/o promozionali della startup.
In particolare, AGID è netta ed aggiunge anche un dettaglio nel finale della sua risposta, che riportiamo letteralmente ed integralmente:”L’Agenzia, ovviamente, non può supportare direttamente iniziative commerciali, e non può agire in nessun modo come “partner”, “associato” o altra formula in cui dia vantaggi di mercato a soggetti privati. Può concedere patrocini, ma sempre per eventi legati alle pubbliche amministrazioni.”Nel caso della startup in oggetto, Userbot, AGID non ha mai stretto accordi di alcun tipo e non ha mai concesso l’utilizzo del logo dell’agenzia.
Userbot non è mai stata testata dall’Agenzia.
Gli unici punti di contatto tra Userbot ed AGID sono stati relativi alla “mappatura” delle iniziative di Intelligenza Artificiale in Italia, censimento pubblico ed aperto a tutte le iniziative che volessero inviare la propria candidatura spontanea (tra cui appunto Userbot), ed accessibile all’indirizzo https://ia.italia.it/ia-in-italia/
Userbot si candidò anche al lancio di un percorso di Open Innovation rivolto alle PA, a settembre 2018, percorso a cui però non è stato poi dato seguito”
Anche la risposta di AIxIA è importante, in quanto, oltre a confermare che Userbot non è mai stata associata, ci racconta che la società di Giarrusso in passato ha chiesto informazioni per capire se esistesse la possibilità di ottenere una sorta di “certificazione di qualità” per il suo sistema di AI. Di seguito, sempre letteralmente ed integralmente, riportiamo la risposta di AIxIA:
“UserBot non è attualmente socia dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA) e non lo è mai stata in precedenza. Inoltre, UserBot non ha alcuna autorizzazione da parte di AIxIA ad utilizzare il suo logo per alcuna attività commerciale. All’inizio del 2019, AIxIA è stata contattata da UserBot, la quale ha richiesto maggiori informazioni relative a una possibile certificazione scientifica della qualità delle soluzioni di intelligenza artificiale che UserBot sta sviluppando. Una richiesta formale da parte di UserBot non è però mai pervenuta ad AIxIA“.
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DA ASSOCIATE AD “ECOSYSTEM”
Al momento, sul sito di Userbot (ma non ancora nella pagina di raccolta su Mamacrowd) è stata modificata la dicitura “associate” in “ecosystem”. Cosa significa? In primis, di fatto, una dovuta ammissione di “leggerezza” della startup innovativa, costretta a modificare la dicitura a seguito della nostra inchiesta. In seconda istanza, con “ecosystem” si attesta semplicemente di essere inseriti nel sistema di mappatura che AIxIA ed AGID hanno (con regole simili) messo in piedi per monitorare le aziende che dicono di occuparsi di AI.
Perché scriviamo “dicono di occuparsi di AI”?
Molto semplice, perché il sistema funziona con auto-certificazione e senza controlli successivi. In altri termini, chiunque può fondare una società, auto-segnalarsi come sviluppatore di Intelligenza Artificiale ed auto-inserirsi in questo “ecosystem”. Il fatto che durante una raccolta crowdfunding (al momento arrivata a circa 650.000 euro confermati) si sia presentata a tutti gli effetti una non ben precisata “associazione” con queste due entità, deve far riflettere sull’enfasi commerciale forse eccessiva (e di sicuro non accuratamente “filtrata” in fase di lancio campagna) di Userbot, che nel suo comunicato ha anche ammesso di essersi lasciata un po’ prendere la mano. Del resto, a livello europeo, c’è chi fa molto peggio e millanta senza mezzi termini l’utilizzo di tecnologie AI in realtà del tutto inesistenti. Nel report di The Verge parliamo addirittura di un 40% di “fake AI Startups“.
LE MODIFICHE AL CHATBOT SU CODERBLOCK
Proseguendo, sempre a seguito della nostra inchiesta, il chatbot presente su Coderblock ha iniziato a rispondere correttamente proprio alle query specifiche che avevamo inserito. Anche le risposte alla FAQ, alla data del 10 luglio 2019, funzionano quasi tutte (le ultime in elenco davano ancora risposte di non intendimento, come abbiamo registrato anche con screencast). L’impressione abbastanza chiara, comunque, è che il sistema presente su quel sito funzionasse con un semplice flusso di bottoni (come sosteneva il Comune di Sesto Fiorentino a suo tempo), tramite un database di domande e risposte pre-configurate, molto semplice e rapido da configurare. Basta un “buona notte” ed il chatbot non risponde(va?) correttamente. Paoletti e Giarrusso, però, al telefono hanno assicurato che il sistema che avevamo testato non era ancora stato correttamente “addestrato” e che solo per questo, di conseguenza, non era riuscito a restituire risposte anche molto semplici. Nessun semplice flusso di bottoni, quindi, ma un vero sistema di AI solo non ancora opportunamente configurato.
PERCHÈ PARTECIPARE CODERBLOCK?
Inoltre, proprio Coderblock, ha di recente annunciato sulla sua pagina fan di Facebook l’ingresso di Userbot nel suo capitale sociale. Più di un lettore ci ha segnalato la cosa, ritenendola abbastanza anomala per due motivi principali: in primis, nel business plan non sembrano esserci riferimenti a potenziali investimenti nell’aquisizione quote di altre società. In seconda istanza, non è ben chiaro quale sarebbe il valore aggiunto fondamentale che, un’altra startup come Coderblock, potrebbe assicurare ad un progetto che nel 2019 “promette” un fatturato di appena 200.000 euro. Insomma: era un’investimento necessario, in questa fase? A quanto ammonta? Sono informazioni che si sarebbero dovute fornire aleno sulla landing dedicata alla campagna crowdfunding? Giarrusso via mail ci spiega volentieri che “non c’è stato nessun investimento da parte di Userbot, la cessione quote è avvenuta in maniera totalmente gratuita e di questo ovviamente i nostri soci ne sono al corrente. Il valore che può portarci Coderblock è relativo a un veloce accesso a risorse tecniche altamente qualificate che ad oggi per noi risultano spesso difficili da trovare dato che vengono acquisite da grandi aziende. Essendo un’azienda a stampo profondamente tecnico e di prodotto, come si può immaginare siamo sempre alla ricerca di sviluppatori e Data Scientist in gamba“.
RISPOSTA DA PIRELLI:”NON AUTORIZZATI AD UTILIZZO DEL LOGO”
Dall’ufficio Corporate and Institutional Media Relations, intanto, Pirelli ci ha precisato di aver avuto lo scorso autunno contatti per un test con Userbot e con altri potenziali fornitori, ma che “questi – oltre a essere coperti da accordi di riservatezza circa la loro esistenza e contenuti – non hanno mai assunto natura commerciale”. Di conseguenza, si legge ancora nella mail di chiarimenti:”La società ha quindi diffidato Userbot dall’associare il proprio logo alla sua attività“.
RICAPITOLANDO E CONCLUDENDO (SCALEUP O NON SCALEUP)
E dunque, facendo una sintesi in punti di quanto sin qui evidenziato e dimostrato, possiamo riassumere così la situazione connessa ad Userbot:
- La società si definisce da tempo come “la più grande scaleup italiana di sviluppo di tecnologie di Intelligenza Artificiale”, anche se non fattura né a suo tempo aveva raccolto un milione di euro di investimenti. Inoltre, almeno stando ai documenti presenti su Mamacrowd e quindi all’anno 2018, non risulta presente su mercati esteri in termini di fatturato generato e non pare aver avuto crescite rapide ed esponenziali dalla sua fondazione ad oggi . Sulla definizione di scaleup non esistono infatti norme e vincoli legali, ma sono presenti delle linee guida collettivamente riconosciute e ben indicate qui. Stando a tali linee, Userbot non possiede le caratteristiche per definirsi scaleup, neppure con i 200k di fatturato minimo previsto per l’anno in corso.
- La società ha indicato in particolare sulla piattaforma Mamacrowd di avere tra i clienti attivi importanti realtà Repower, Agos, Fendi, Pirelli ed Open Fiber. Da Repower ci hanno detto di non essere mai stati clienti di Userbot, precisando però di essere in fase “molto avanzata” per “integrare la loro attività su un nuovo progetto di vendita”; da Agos ci hanno confermato di non essere più clienti da Marzo 2019, con Userbot che ci tiene però a precisare di aver lavorato con la realtà “per più di un anno”. Da Pirelli ci hanno informato di non aver intrapreso alcuna attività commerciale concreta con Userbot in passato, inviando tra l’altro diffida alla startup per l’utilizzo improprio del logo che è stato riscontrato sulla sezione “investi” di Userbot e sulla pagina di raccolta attiva su Mamacrowd (dove il logo Pirelli è però ancora presente).
- Da Fendi ed Open Fiber invece non sono ancora arrivate conferme o smentite, ma Userbot assicura di avere già accordi commerciali con questi brand, tutti però coperti da accordi di riservatezza (conferma arrivata anche durante la telefonata con Giarrusso e Paoletti).
- Userbot ha chiesto informazioni per ottenere una sorta di “certificazione di qualità” da AIxIA, senza però essersi poi associata. Ha poi inserito il logo dell’associazione sul portale, senza autorizzazione, con dicitura “associates” poi modificata in “ecosystem”. AIxIA ci ha inviato una mail dove spiega con chiarezza tutte le dinamiche.
- Userbot ha inserito impropriamente anche il logo dell’agenzia AGID sul portale e sulla pagina di Mamacrowd (dove è ancora presente alla data 11 luglio 2019), sempre con dicitura “associates”, poi modificata in “ecosystem”. AGID ci ha tenuto a precisare che non ha mai certificato la startup (anche perché non ne ha l’autorità) e che non ha mai avuto alcun rapporto con quest’ultima, aggiungendo altresì che Userbot aveva annunciato un percorso in Open Innovation, non dandone poi seguito.
- Userbot ha corretto il chatbot presente su “Coderblock”, inserendo risposte sensate a tutte le query specifiche da noi utilizzate in data 8 luglio per dimostrare che il sistema non era in grado di comprendere neppure domande molto semplici ed in topic (in particolare “cos’è userbot”, “salve”, “ciao”, “sei un umano o un AI?” ecc). Allo scorso 10 luglio, però, diverse domande dalle FAQ restituivano ancora risposte di non comprensione.
- Userbot ha preso atto dell’errore commesso nel volersi chiudere dietro “no comment” e diffide, mostrando apertura e volontà di trasparenza; ha dichiarato di voler abbandonare ogni velleità di azione legale contro YOUng e l’autore dell’inchiesta e si è detta pronta a ricevere direttamente in sede chiunque voglia testare il suo sistema di AI.
- Userbot ha ammesso di aver utilizzato un po’ troppa enfasi nella campagna marketing portata avanti prima e durante la raccolta, rassicurando però sulla reale esistenza e validità del proprio prodotto, del brevetto depositato e di una tecnologia di reale AI che ha già interessato diversi clienti, tra cui alcuni big brand.
- Userbot ha seccamente smentito il contenuto dell’intervista a Mirco Peragine, sostenendo di non aver mai avuto contatti con l’imprenditore e di non aver mai avuto personale addetto alle telefonate per raccogliere investimenti durante la campagna su Crowdfundme.
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IN ATTESA DI MAMACROWD, DICHIARATI OLTRE 200 CLIENTI
In ogni caso, anche dando seguito alle numerose richieste pervenute dai nostri lettori, siamo a questo punto in attesa di una comunicazione ufficiale anche da Mamacrowd, che di certo a seguito dell’inchiesta pubblicata e dopo questo ulteriore aggiornamento, starà operando le opportune verifiche tecniche e generali per tutelare i propri investitori e la propria reputazione. Per esempio, la piattaforma avrà verificato che Userbot ha attualmente oltre 200 clienti e funziona in 72 lingue diverse come si evince in questo video condiviso da Coderblock su Linkedin, dove addirittura si parla di “primo polo italiano di intelligenza artificiale per le aziende“, utilizzando ancora una volta definizioni alquanto ambiziose.
L’OBIETTIVO DI QUESTA INCHIESTA
Ci sono ancora altri punti che avremmo potuto sviscerare, come ad esempio la reale validità di una due diligence tecnica firmata da Gellify (che non ha accreditamento internazionale per perizie connesse all’AI), ma sarebbe probabilmente significato volersi focalizzare eccessivamente su una singola realtà, che come detto ha in ogni caso mostrato un deciso e concreto cambio di rotta nell’affrontare i legittimi dubbi esposti da molti addetti ai lavori. Preferiamo quindi fermarci qui e ribadire con fermezza quello che è l’intento fondamentale di questa inchiesta: scuotere l’intero ecosistema connesso alla comunicazione ed al finanziamento delle startup innovative, in particolare tramite equity crowdfounding. Consapevoli che, proprio perché ancora in stato embrionale, tale strumento ha una credibilità ancora decisamente fragile e deve puntare tutto su chiarezza, trasparenza e verifica rigorosa della bontà dei progetti presentati, nonché delle informazioni promozionali diffuse per coinvolgere gli investitori potenziali.
Chi investe qualche centinaio di euro, inutile negarlo, lo fa quasi sempre perché spinto da una comunicazione persuasiva ben fatta e non certo da studi e competenze specifiche. Per questo, quella che potremmo definire come “comunicazione finanziaria”, stando anche alle norme che la regolamentano, non può permettersi enfasi e strategie di marketing spregiudicate, volte a raccogliere risparmio pubblico come se si dovesse vendere un infoprodotto che spiega diventare ricchi tenendo webinar gratuiti.
IL MESSAGGIO SBAGLIATO CHE NON DEVE PASSARE
Le startup hanno per definizione un elevatissimo tasso di fallimento, ergo di rischio per chi decide di investirci, soprattutto se parliamo di piccoli risparmiatori privati che non hanno strumenti ed esperienze per decidere con la dovuta lucidità come investire il proprio denaro. Ambiti come l’Intelligenza Artificiale sono poi incredibilmente ampi e complessi, oltre che bisognosi di accreditamenti scientifici seri. A maggior ragione, in questi casi occorre garantire a certe forme di raccolta la massima trasparenza, per evitare che in un futuro prossimo controlli, sfiducia e nuove regole “anti-furbetti” frenino un settore che sta lentamente prendendo piede anche in Italia, tra non poche difficoltà e diffidenze.
In ultimo, sempre parlando di startup, occorre ricordarsi che per definizione queste ultime non devono avere tanti clienti (tra cui brand multinazionali) grandi fatturati, numerosi dipendenti ed in generale un business molto consolidato. Sono le aziende tradizionali che devono usare lo specchietto retrovisore, mostrando ciò che hanno realizzato negli anni. Per le nuove realtà innovative, almeno in teoria, conta molto di più il potenziale futuro e le KPI rilevanti sono ancora poche o addirittura inesistenti. Per tale motivo si parla di investimenti ad alto rischio. Per tale motivo non è necessario ed anzi può essere dannoso far divenire prassi il dovere di presentarsi come molto più “grossi” e consolidati di quanto non si sia in realtà, pena il non raccogliere abbastanza.
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UN POSSIBILE CODICE ETICO DELLA COMUNICAZIONE ED UN RAKING PER LE PIATTAFORME DI CROWDFUNDING?
Considerando come già auspicabile una maggiore attenzione della CONSOB sulle campagne di equity crowdfunding ed un maggior rigore di piattaforme come Mamacrowd almeno nelle operazioni di fact-checking (sulla campagna Userbot, per fare un altro esempio di piccola leggerezza, nella parte del team è presente ancora Danilo Rubicondo, che non lavora più per la startup da Aprile 2019, anche se Giarrusso precisa che “ha collaborato con Userbot fino ad Aprile 2019, ossia fino a pochissimi giorni dall’inizio della campagna di crowdfunding e ci sembrava giusto riconoscere il lavoro svolto con noi lasciando la sua foto, ma non è stato citato all’interno del nostro Pitch Deck o Business Plan come facente parte del team“) e verifica degli errori di comunicazione, fatti anche in buonissima fede dai proponenti.
A livello più generale, sarebbe interessante pensare ad un codice etico da condividere e rispettare quando si comunica per la propria campagna di raccolta, con l’impegno a certificare affermazioni come “i nostri clienti hanno ottenuto un ritorno del 500% sull’investimento dopo il primo anno” e prestare massima attenzione all’utilizzo di loghi, diciture e definizioni sulle landing preparate per convincere gli investitori.
In ultimo ma non per importanza, concepire un ente terzo in grado di conferire un ranking alle piattaforma di raccolta, che si basi non banalmente sul totale raccolto, ma sulla percentuale di exit registrata dalle startup finanziate. Per altre idee e proposte, potete scrivere direttamente qui nei commenti oppure ad info@young.it
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