Ha suscitato grande clamore la lettera, firmata da Benedetto XVI e diffusa dai principali quotidiani europei, nella quale il Papa emerito affronta lo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa. In particolare, un passaggio ha generato accese discussioni: «Tra le libertà che la Rivoluzione del 1968 voleva conquistare c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma… […] Dalla fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente». Tralasciando le guerre interne alla Chiesa fra progressisti e conservatori e le questioni dottrinali legate al mondo cattolico – nonché l’eterna disputa fra atei e credenti –, vorrei qui spiegare brevemente perché Ratzinger ha toccato il nervo scoperto della società odierna e perché le sue affermazioni, in particolare la prima, possono essere accettate anche da una prospettiva strettamente politologica.
Nel 2018 è uscito uno dei migliori libri degli ultimi anni: “La democrazia del narcisismo”, del professor Giovanni Orsina. Questo libro ha un pregio indiscutibile: adotta una prospettiva olistica nell’analizzare un fenomeno, la cosiddetta anti-politica, che spesso viene semplicemente associata al Movimento 5 Stelle. In realtà, come spiega molto bene l’autore, il populismo ha radici molto più lontane e non è una malattia, ma un sintomo che ha cause ben precise. Dopo aver delineato, richiamando gli studi di Tocqueville, le caratteristiche e le tensioni insite nella natura stessa di un regime democratico, Orsina traccia il profilo psicologico del narcisista che si afferma con prepotenza negli anni Sessanta e contribuisce, in modo decisivo, a far appassire l’agire politico. Il terzo capitolo, infine, è dedicato alla degenerazione della politica e in particolare a Tangentopoli, che ha portato ad un collasso sistemico del quale, ancora oggi, si sentono gli effetti. È il secondo capitolo, come è facilmente intuibile, quello che meglio si lega alle parole di Benedetto XVI.
Negli anni Sessanta i marxisti videro andare in frantumi impianto filosofico e speranze: l’atteso collasso del capitalismo e l’avvento del socialismo rimasero utopie dissolte dall’affermazione della società del benessere. Serviva, dunque, una miccia rivoluzionaria alternativa, che venne individuata nella liberazione degli istinti individuali e nella totale, illimitata autodeterminazione del sé. Non è un caso che proprio in quegli anni alcuni studiosi americani, come Tom Wolfe e Richard Sennet, delinearono un nuovo ideai-tipo che andava ad affiancarsi all’egoista e all’individualista: il narcisista. Il narcisista assomma i già pessimi tratti dell’”uomo-massa” delineato da Johan Huizinga nel suo libro “La crisi della civiltà” a quelli del “signorino soddisfatto” presentato da Ortega y Gasset ne “La ribellione delle masse” e, ancor prima, a quelli del “democratico illimitato” di Tocqueville. L’uomo-massa è egocentrico e egoista, preoccupato solo di dover soddisfare i propri istinti e i propri appetiti, indolente a qualsiasi forma di disciplina e di autorità, indifferente nel preservare il mondo nel quale vive: sta chiuso nella propria bolla come un primitivo nella caverna. Il “signorino soddisfatto” di Ortega è, di fatto, una sorta di bambino viziato che pretende solo diritti ma non vuol sentire parlare di doveri. Sennet ne prosegue l’evoluzione – o meglio, l’involuzione –: «il narcisismo trova il suo modello nella psicologizzazione del sociale, del politico, della scena pubblica in generale, nella soggettivizzazione di tutte le attività un tempo impersonali o oggettive». Il narcisista può fare tutto quello che vuole, ma non sa davvero cosa desiderare. Nessuno può imporgli un vincolo esterno, ma è proprio verso l’esterno che cerca costantemente il riconoscimento e la stima sociale che tanto brama. In sostanza, finisce col sopravvivere all’interno del suo misero sè.
Il Sessantotto, come scrive Augusto Del Noce, è l’epoca in cui si afferma “l’io voglio indeterminato”. Orsina completa questo ragionamento: «Svuotato di valori, privo di una prospettiva rivoluzionaria, immerso in una cultura scientifica tutta orientata alla razionalità strumentale e al materialismo, l’individuo della società tecnologica non troverà altra guida che la propria energia vitale, ossia la soddisfazione degli istinti primari – a cominciare da quello sessuale». Cosa c’è, dunque, di sbagliato nelle parole di Benedetto XVI e nella sua descrizione del collasso spirituale avvenuto negli anni Sessanta? Nulla, ma hanno un grande difetto: impongono delle riflessioni.
Una società di individui trasformati in mendicanti di like, preoccupati solo di scegliere il filtro più adatto per la propria maschera virtuale, che hanno minuziosamente rimosso ogni limite spirituale e materiale al proprio ego, ha ancora voglia di pensare e, sopratutto, di mettersi in discussione?
(Foto Lapresse)
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