In Venezuela va avanti da mesi ormai il braccio di ferro tra il governo del presidente Nicolás Maduro e l’autoproclamatosi presidente alternativo e ad interim Juan Guaidó, giovane ingegnere e co-fondatore del partito di destra Voluntad Popular, tradizionalmente forte oppositore del chavismo.
L’ultimo risvolto di questa contesa è il ritorno in patria di Guaidó, che, andando contro il divieto di uscire dal paese emesso dal Tribunale Supremo di Giustizia, ha fatto un tour promozionale della sua causa in diversi paesi latino americani (Brasile, Paraguay, Argentina, Ecuador) sotto la vigile regia di Kimberly Breier, sottosegretaria di Stato USA per gli affari dell’emisfero occidentale.
L’aspetto delicato di questo ritorno da parte di Guaidó è quello che farà il governo Maduro dal punto legale: il quesito è se arrestarlo o lasciarlo a piede libero quindi permettendogli di continuare a perorare la sua causa in patria a furia di comizi e dimostrazioni, come quella già pianificata per i prossimi giorni.
Guaidó sperava di scalzare Maduro in tempi più brevi, soprattutto grazie al chiaro appoggio del presidente americano Trump, che aveva ventilato addirittura un intervento militare. Ma due importanti operazioni non sono andate in porto: il tentativo di far entrare in Venezuela aiuti umanitari attraverso la frontiera colombiana è stato bloccato, mentre i paesi del Gruppo di Lima non hanno trovato un accordo per un intervento militare.
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Comunque ora la patata bollente è nelle mani del governo Maduro, perché stanno arrivando a raffica delle minacce da paesi esterni, a cominciare dagli USA nel caso s’intraprendesse qualche azione, seppur teoricamente legale, contro Guaidó.
Il vice-presidente americano Mike Pence ha twittato:” Qualsiasi minaccia, violenza o intimidazione contro di lui non sarà tollerata e avrà una risposta rapida.” Questo dopo che il Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton aveva annunciato a CNN la creazione di una coalizione “più ampia possibile” per rovesciare il governo legittimo. Parole simili a quelle di Pence, anche se un po’ meno minacciose sono state dette da Federica Mogherini, Alta Rappresentante UE per gli Affari Esteri, secondo la quale qualsiasi azione contro Guaidó “darebbe il via ad un’escalation di tensione e meriterebbe la ferma condanna della comunità internazionale.”
Parla di quest’intricata situazione con YOUng Antonio Moscato, storico specializzato nelle vicende dell’America Latina.
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L’INTERVISTA
Il potenziale arresto di Guaidó appena rientrato in Venezuela sembra essere piuttosto problematico…
Bisogna ricordare che dopo la sua autoproclamazione a presidente ad interim una volta una pattuglia della polizia politica l’aveva fermato e c’è stato l’ordine di rilasciarlo immediatamente. Ma il problema vero non sono solo le minacce che vengono da fuori, come dagli USA.
Qual è quindi?
E’ che la situazione è assolutamente di stallo tra due forze equivalenti le quali entrambi hanno paura di arrivare ad una prova di forza.
Qual è in particolare la debolezza di Guaidó?
E’ che ha fatto un po’ lo sbruffone preannunciando per esempio l’iniziativa di un concerto al confine con la Colombia, tutte cose che si sono sgonfiate. Però, ripeto, questo è uno scontro tra forze equivalenti, con manifestazioni da una parte contro manifestazioni dall’altra. Ecco perché un cospicuo numero di ex-ministri e consiglieri del precedente governo Chavez dicono che bisogna arrivare ad un tavolo di trattativa, per avviare, per esempio, la rielezione contemporanea di tutte le cariche, perché nessuna delle due parti, in realtà, ha le carte in regola.
Una delle voci che circolano è che l’elezione di Maduro non sia stata regolare. C’è qualcosa di vero in questo?
Bisogna vedere cosa s’intende per regolare. I voti espressi a suo favore sono stati regolari, anche se ce n’è stato un milione e mezzo in meno rispetto alla volta precedente. Ma al tempo stesso c’erano dei candidati finiti in galera appena si candidavano, e l’unico candidato credibile era Falcon un ex di Chavez che aveva rotto con Chavez poco dopo l’inizio del suo governo, visti anche i limiti della sua prima fase. Ma a parte questo nelle elezioni ci fu un vero trucco.
Ossia?
Tutte le rielezioni, compresa quella dei governatori, è stata rinviata di un anno e poi anticipata bruscamente, con un minimo indispensabile di tempo previsto dalla costituzione. Questo in modo da rendere difficile l’identificazione di un candidato convincente. Quindi, anche se le elezioni si sono svolte regolarmente, non bisogna sottovalutare l’interferenza nell’attività dell’opposizione che non ha avuto la possibilità di identificare un candidato comune.
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In ogni caso il partito co-fondato da Guaidó, Voluntad Popular, si dice sia un partito praticamente di estrema destra.
Inizialmente il partito faceva parte dell’Internazionale Socialista, ciò non toglie che possa essere diventato di destra. Però tutta la biografia pubblicizzata su Guaidó ci dice che prima andò all’accademia militare a Paname e poi fu inviato a Kiev, in Ucraina, ad imparare varie tecniche, tra cui quella del lancio di barattoli di merda.
In realtà nessuno conosceva Guaidó.
Praticamente nessuno, e non si può descrivere come un gigante del pensiero politico. L’unica cosa certa è stata la sua richiesta d’intervento da parte di USA ed Europa. In pratica voleva che qualcuno lo aiutasse a togliere le castagne dal fuoco, ma quando perfino il Brasile di Bolsonaro ha rifiutato un intervento militare.
Qual è il pericolo dietro un intervento militare esterno?
Un intervento militare innescherebbe una reazione per cui anche gli scontenti di Maduro reagirebbero ad un’eventuale invasione, perché c’è una sensibilità nazionalistica positiva, di difesa della propria indipendenza, che risale a tempi lontani. Per esempio, l gesto che ha fatto la Gran Bretagna di bloccare le riserve di oro che Maduro aveva collocare in questo paese è un gesto particolarmente irritante.
Perché?
Perché prima di scontrarsi con gli Stati Uniti il Venezuela si era scontrato con la Gran Bretagna che nel 1902 aveva inviato una spedizione alla quale partecipò anche l’Italia con due navi.
Ma, indipendentemente dalle intromissioni stranieri, se, ipoteticamente, Guaidó diventasse presidente che tipo di politiche sociali introdurrebbe rispetto a Maduro?
La posta in gioco non sono le politiche sociali, ma l’uso delle risorse del paese. Chavez, come altri leader latino americani, Lula e Correa, per esempio, aveva usato le risorse del paese per dare una specie di reddito di cittadinanza, una forma di tranquillante sociale. Politica continuata con Maduro. Però ciò non intacca la natura capitalista del paese: questo tipo di elargizioni non è una forma di socialismo, ma sono semplicemente delle elemosine. Il problema è un altro.
Quale?
Entrambi gli schieramenti in gioco ora accusano gli altri di crimini vari. Maduro accusa i suoi oppositori per i cosiddetti garimbas, ossia i cavi posti sulle strade per impedire il passaggio dei gruppi motorizzati. Gli altri replicano: “Ma loro ci sparavano”. Basta poi andare a vedere il sito del numero due del governo Maduro, Diosdado Cabello, dove viene raffigurato un grosso bastone. Ma in pratica, la questione di base è la spartizione del “bottino”, bottino che si è sensibilmente ridotto, anche perché usato malamente, già negli ultimi anni del governo Chavez, quando era cominciata una fase di penuria.
Qual è la pecca principale della politica sociale-economica di Maduro?
E’ legata alla corruzione, la quale corruzione è legata ai regali immensi fatti al settore capitalistico per le importazioni. Avendo deciso di lasciare andare in malora l’industria e l’agricoltura, tutto deve essere importato. Per incentivare l’importazione si è introdotto un sistema di cambi agevolati per gli importatori. Uno sperpero enorme. Poi in una banca privata di Andorra hanno trovato fondi depositati da ex ministri venezuelani, fino a 26 milioni di dollari. Insomma, esiste una forte classe sociale che si avvantaggia del sistema, nota come “boliborghesia”.
Ciò nonostante una buona parte del popolo è dalla parte di Maduro.
Non sono sicuro, perché alle urne Maduro ha perso tre milioni di voti rispetto a Chavez. Lui ha in pratica eliminato gli oppositori, e poi ha creato questa Assemblea Costituente. Ho sentito il discorso di Maduro a proposito di questa: una pagliacciata.
In che senso?
Annunciava una specie di riscoperta dei soviet. I rappresentanti da un lato erano scelti su base territoriale, ma da un altro di categorie: operai, contadini, professionisti, ma anche direttori di banca. Alla fin fine quest’assemblea, che doveva riformare la costituzione, in realtà non ne ha cambiato neanche un articolo.
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Ora come ora si dice che la migliore via d’uscita dall’impasse Maduro-Guaidó sarebbe avviare una qualche forma di trattativa. Se ciò avvenisse quale sarebbe il migliore risultato auspicabile?
La cosa migliore è comunque evitare un molto possibile una guerra civile, con un bagno di sangue. La proposta che nasce dall’Associazione per la Difesa della Costituzione, composta da chavisti che però hanno rotto con Maduro è di approfittare della mediazione offerta da Messico ed Uruguay – quest’ultimo con Mujica come esponente morale. Il problema è che Maduro ed altri esponenti della sua cerchia definiscono gli oppositori come “nazisti”, e quindi poi non puoi andare a trattare coi nazisti. E poi bisogna tener conto di un altro aspetto piuttosto importante, che non viene mai nominato.
Quale?
Mi riferisco a due organismi sempre menzionati da Maduro per sostenere che tutto è in regola. Sono il Tribunale Superiore di Giustizia ed il Consiglio Nazionale Elettorale nominati ed usati da Maduro stesso. Quando c’è stato un tentativo di scioglimento delle camere un’esponente del Tribunale Superiore di Giustizia, Luisa Ortega, ha detto che non era possibile farlo ed è stata dichiarata malata di mente e traditrice, e se n’è dovuta andare.
Quindi stai dicendo che un risultato importante di una trattativa sarebbe un cambiamento delle istituzioni, tanto per cominciare…
Formalmente, la Costituzione bolivariana non è contestata nemmeno da Guaidó, anche se la sua autoproclamazione di presidente ad interim per un mese, per poi preparare le elezioni non ha senso perché un mese non sarebbe un periodo sufficiente per prepararle. E’ comunque impossibile predeterminare le cose. E quindi l’unica alternativa rimane quella di trovare una qualche forma di accordo, perché, ripeto, un passo falso da una parte o dall’altra porterebbe ad un bagno di sangue, visto che entrambi i fronti sono a modo loro oltranzisti.