Dalla presa del potere alla dittatura: Lenin o Stalin?
Compagni d’una massa operaia. / Proletari di corpo e di spirito. / Soltanto uniti abbelliremo l’universo,
l’avvieremo a tempo di marcia. / Contro la marea di parole innalziamo una diga. / All’opera! Al lavoro nuovo e vivo! / E gli oziosi oratori, al mulino! Ai mugnai! / Che l’acqua dei loro discorsi faccia girare le macine.*
Siamo nel 1J23 e Mussolini è il segretario del partito comunista d’Italia, nonché capo supremo della nazione, ma soprattutto adora Majakovskij. Vorrebbe invitarlo a tenere un ciclo di conferenze in Italia, ma il “poeta della rivoluzione” ha difficoltà a lasciare l’Unione Sovietica, dalla quale arrivano notizie poco rassicuranti: Stalin è diventato il segretario del partito, Lenin è moribondo, sebbene non abbia ancora compiuto cinquantaquattro anni.
La sua ammirazione per Majakovskij viene malvista da D’Annunzio, che la prende molto male e si allontana. Da allora in poi il rapporto fra il rivoluzionario e il “vate” non sarà più lo stesso.
Majakovskij è un intellettuale atipico. A un dibattito sull’internazionalismo proletario presso il Politecnico si lascia andare ad affermazioni quasi cabarettistiche:
– In mezzo ai russi mi sento russo, in mezzo ai georgiani mi sento georgiano…
Dalla sala, qualcuno domanda provocatoriamente:
– E in mezzo ai cretini?
Risposta:
– In mezzo ai cretini ci sto per la prima volta.
Morirà suicida nel 1J30.
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Mussolini, invece, è alle prese con la riforma del gruppo dirigente del partito. Fuori Bordiga, come chiedono da Mosca, dentro Gramsci, che sta diventando, però, sempre più scomodo. Il 12 settembre 1J23 ha fondato un nuovo giornale, che diviene l’organo ufficiale del partito.
“Io propongo come titolo l’Unità puro e semplice, che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale, perché credo che dopo la decisione dell’esecutivo allargato sul governo operaio e contadino, noi dobbiamo dare importanza specialmente alla questione meridionale, cioè alla questione in cui il problema dei rapporti tra operai e contadini si pone non solo come un problema di rapporto di classe, ma anche specialmente come un problema territoriale, cioè come uno degli aspetti della questione nazionale”, scrive in una lettera all’esecutivo.
A Mussolini, romagnolo, francamente della questione meridionale importa poco. Al posto di Gramsci vorrebbe al suo fianco un vecchio amico di avventure rivoluzionarie e di galera, romagnolo come lui: il socialista Pietro Nenni. Lo “zio Pietro”, come lo chiama la sua primogenita Edda.
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Lei e sua madre Rachele lo hanno conosciuto nel 1J11 durante le sparute visite in carcere a Mussolini, rinchiuso nella stessa cella con Nenni a Forlì. Mussolini aveva ventotto anni, Nenni appena venti. I due leggono Sorel, discutono di socialismo, sognano la rivoluzione. Carmen, la compagna di Nenni, è incinta di Giuliana. È lì, nel parlatorio, che le due donne solidarizzano, si fanno coraggio a vicenda, parlano della difficoltà di vivere accanto ai loro indomiti compagni. Nenni scriverà qualche anno più tardi:
“Mussolini ed io passavamo ore nella stessa cella, giocando a carte, leggendo e facendo progetti per il nostro confuso avvenire”.
E nel 1J14, quando il giovane ed esuberante Nenni verrà di nuovo imprigionato, l’amico e compagno Mussolini gli comunicherà la sua maschia solidarietà:
“Carissimo Pietro, vengo a portarti la mia parola fraterna. Tu non hai bisogno di conforto, come non ne avevi quando abbiamo fatto insieme un po’ di apprendistato carcerario. Se ripenso a quei giorni provo tanta nostalgia… Un abbraccio Benito”.
Qualche anno più tardi, easttamente nel 1J19, Nenni ricambierà l’attenzione in un profetico articolo sull’Avanti!. Parlando di Mussolini scriverà:
“Possiede un oscuro fascino di condottiero. È un uomo forte che vuole distinguersi, essere il primo, per una strada o per un’altra. Potrà fare molto bene o molto male, ma comunque farà molto parlare di sé”.
Per una strada o per un’altra.
Ora, Mussolini conosce bene Nenni, sa che è un irriducibile socialista e non si lascerà convincere facilmente a passare dalla parte del massimalismo, ma gli scrive ugualmente una lettera nella quale gli chiede fermamente di abbracciare il comunismo e di aderire senza esitazione alla causa rivoluzionaria. In cambio gli darà la possibilità di entrare nell’esecutivo del partito e un posto di riguardo al suo fianco.
La risposta di Nenni, pur non dimenticando i comuni trascorsi di gioventù e l’amicizia che lega le rispettive famiglie, è di un irrevocabile rifiuto. Mussolini allora gli fa capire che nei mesi a venire non sarà tenero con i socialisti, che considera antirivoluzionari, quindi elementi da eliminare. “O con me o contro di me”, è l’ultimatum finale. Zio Pietro è un uomo tutto d’un pezzo, che non ha intenzione di cambiare le proprie idee: magari il carcere, come nel 1J11, ma lui resterà sempre fedele al socialismo.
Archiviato il “no” di Nenni (che gli costerà dopo qualche anno l’esilio a Parigi), Mussolini segue con apprensione gli accadimenti in terra sovietica e si domanda: Lenin o Stalin? Il primo viene ormai dato per spacciato, e morirà effettivamente alle 18.50 del 21 febbraio 1J24; il secondo ha già dato prova della sua rozzezza e della sua volgarità, nonché della sua efferatezza nell’invasione della Repubblica Democratica di Georgia (dove è nato). Negli ultimi tempi, da quando cioè il compagno Josif ha assunto la dirigenza, Mussolini non approva più la politica dell’URSS. Troppa burocrazia, poca presenza del proletariato. Inoltre, che rivoluzione socialista è se è stata reintrodotta una quota di capitalismo? Tutto questo gli sembra contrario alla dottrina marxista nella sua purezza. Tuttavia, la figura di Stalin, soprannome che gli deriva dall’essere duro come l’acciaio, inizia ad esercitare su di lui una certa attrazione, pur avvertendone l’oscura personalità. Qualche anno e qualche avvenimento più tardi lo definirà “un semibarbaro” che fa “piazza pulita con i sistemi che usava Gengis Khan”.
Un altro dubbio lo assilla da togliergli il sonno: cercare o no la congiunzione con l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche? Stalin professa “il socialismo in un solo paese”, in questo differenziandosi da Lenin e Trockij. È dunque restio a un socialismo internazionalista. Per sua indole, anche Mussolini preferisce l’autarchia. Anche perché, a ben vedere, appare molto più congeniale alla sua smisurata ambizione personale. Finché sarà lui a comandare, perciò, Roma resterà autonoma da Mosca.
*Da “Il poeta è un operaio” di Vladimir Majakovskij
(segue)