Gioco d’azzardo di Stato. Lettera di un giocatore del passato – minuta per una archeologia culturale
introduzione
Questo testo fu pubblicato per la prima volta sul quadrimestrale INCHIOSTRI n 1 Sett/Dic 1999 diretto da Aldo Rosselli con il titolo “Lettera da un giocatore all’azzardo di Stato“, e mi fu commissionato da Aldo Rosselli in persona, che avendo osservato l’inizio di una fase altamente espansiva del gioco d’azzardo in Italia, mi suggerì di provare a scrivere qualcosa sul gioco. Inchiostri era la rivista quadrimestrale che avevamo appena fondato, da lui diretta e finanziata. Una rivista da 170 pagine distribuita in tutta Italia e all’estero. Rosselli forte di una tradizione familiare che, in questo senso, affondava le sue radici nel foglio clandestino Non mollare, redatto da suo padre e suo zio insieme a Salvemini e ad altri intellettuali, pensava che la cultura dovesse essere il laboratorio principe del politico. Gli intellettuali e gli artisti dovevano affiancare nella nostra visione i politici, in virtù della propria libertà dal potere.
Il politico interamente immerso nella macchina del potere, pensavamo, non è completamente libero di spingere il pensiero fino ai limiti delle questioni perchè come il nocchiero di una nave è condizionato materialisticamente dalle prassi del potere stesso, che lo determinano a prescindere dalle sue ideologie, non può materialmente lasciare il timone e deve fidarsi di qualcuno libero di scandagliare il fondale che lo istruisca sui pericoli invisibili sotto il pelo dell’acqua.
Che Il Buon governo non possa fare a meno del buon consiglio è questione che ha attraversato la storia politica occidentale fin dai suoi albori, e noi volevamo con il varo di INCHIOSTRI navigare proprio nella tradizione di questa millenaria rotta costituita dal rapporto e dal dialogo tra cultura e potere, con la cultura come fonte della moderazione dell’orgoglio del potere, che spesso si trasforma in orgogliosa cecità. I 18 anni trascorsi dalla prima pubblicazione di questo testo e la ripubblicazione oggi sulle colonne di YOUng permettono una misurazione : ovvero permettono di misurare le conseguenze catastrofiche prodotte dalla sordità del potere alla voce della cultura che 18 anni fa lanciava questo monito sul gioco d’azzardo di Stato. Oggi la Ludopatia è una malattia nazionale conclamata e probabilmente irreversibile.
Il giro di affari tra gioco ufficiale e gioco nero sfiora i 200 miliardi di euro, ovvero circa il 10 per cento del PIL, e certamente in questa voragine patologica viene inghiottito quello che potrebbe essere una immensa fetta di consumo dal valore del 10 per cento del PIL sul mercato. La diffusione endemica del Gioco D’Azzardo di Stato ( oggi persino allegato anche a San Remo come si è potuto evincere da alcune pubblicità che invitano a scomettere persino sulla kermesse musicale) , di cui i governi di tutti colori fino ad oggi e l’Industria culturale – usurpatrice della Cultura nella società- sono stati i massimi agenti, è il quadro clinico di una corruzione morale, di una vera e propria perversione antropologica che ha imputridito la base sociale del paese.
Oggi il problema del gioco d’azzardo letteralmente travolge la nostra società tanto che la politica non può più fare a meno ormai di dedicargli qualche buon proposito. Certamente questi decenni di vacche grasse hanno pompato immensi capitali al crimine e alle zone grigie oltre che rendere la popolazione una popolazione turpemente scivolata nel vizio e quindi abdicatrice di quella innocenza che sempre ha rappresentato la sorgente della autorità del diritto rivoluzionario popolare.
Oggi il popolo è stato degradato e reso ludopatico, e quel declassamento registrato dalla Arendt in origini del totalitarismo, da popolo a plebe ha subito ormai un ulteriore sprofondamento da plebe a sordida feccia, vero crudo fatto alla base della recrudescenza di una antropologia pronta a ripetere gli orrori del 900 in modo molto più cruento: non tanto la quantità, ma la qualità della violenza registra questo deterioramento morale che si può osservare anche nel come si esprime il crimine, nella esasperazione di crudeltà gratuita persino in delinquenti giovanissimi o meglio nella diffusione di caratteristiche delinquenziali moralmente imbecilli, conditio sine qua non della efferatezza e crudeltà, in fasce di età sempre più giovani.
Eppure Rosselli avrebbe dovuto rappresentare una certa indicazione di una qualche sostanza intorno alla sua rivista. Invece la società in cui ci trovammo a scrivere cercando di trovare un canale di comunicazione con la dimensione del politico rappresentato dai temi politici che affrontavamo nella rivista e che speravamo potessero segnalare alla politica delle problematiche importanti era già diventata sorda e autoreferenziale, e veniva invasa da personaggi sempre più rappresentativi di una società illetterata, analfabeta funzionale, tanto ignorante quanto saccente.
Chiunque leggendo questo testo sul gioco d’azzardo di circa 20 anni fa dovrebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscere l’urgenza e la validità delle preoccupazioni che esprimevamo sul gioco d’azzardo e che se recepite in tempo dalla politica avrebbero potuto evitare che il paese desse di se stesso, tanto per dare una immagine pittoresca, uno spettacolo osceno e miserabile bruciando ogni anno circa 200 miliardi di euro nel gioco d’azzardo – con cui potremmo saldare il nostro debito in soli dieci anni, per dire-.
Si capisce bene allora come un popolo rovinato cosi in basso nella corruzione abbia ben poche chance di avere una qualche credibilità su qualsiasi rivendicazione politica intendesse presentare al potere, il quale potrebbe, mettendolo davanti allo specchio della sua viziosa corruzione, ridergli in faccia: un popolo che va a bruciare ogni anno 200 miliardi al gioco d’azzardo difficilmente potra recriminare sui tagli alla Sanità o sui costanti incrementi delle spese militari, tanto per fare un esempio, senza coprirsi di ridicolo. Ecco perchè tout court è cosa buona che un popolo cada in questa corruzione dal punto di vista di chi altrimenti al popolo dovrebbe politicamente rispondere dei propri atti nel governare.
Ma ormai “Pompei” è distrutta e questo testo è solo uno sbiadito affresco di un tentativo fallito di dialogo con il potere, appunto mera archeologia il cui valore è ormai solo quello di una estetica del fallimento di questo paese.
LETTERA DA UN GIOCATORE ALL’AZZARDO DI STATO – 1999-
“Il cristianesimo formulò sul piano religioso questo paradosso: l’accesso al sacro è il male; in pari tempo, il male è il profano” (Georges Bataille)
Ebbene lo ammetto!
Sono un giocatore, un giovane scommettitore ai giochi d’azzardo di Stato, che, si sa, son permessi. Ho circa 1.728 estrazioni di età, e capirete cosa intendo.
Qualcosa ha insinuato nella mia coscienza che non sarà certo con il mio valore che potrò misurarmi in questa vita. Se ne sta nascosto il mio valore dentro Se stesso, appena si mostra di tanto in tanto con qualcuno che conosce e di cui è sicuro. Serve a niente il valore quaggiù. Qualcosa mi ha corrotto.
Non è forse “Ho cominciato per gioco” un eufemismo per dire che si è stati trascinati nella vita da circostanze ineluttabili verso un qualcosa? Non è con questa frase che spesso cominciano i racconti degli sciagurati o degli uomini di straordinario successo?
La prima volta è stato qualche anno fa, avrò avuto circa venticinque anni. Prima di allora mi era sempre capitato di incontrare le lunghe e agitate file di giocatori, dentro i tabacchi dove c’erano delle ricevitorie, e di guardarle con una lenta carrellata, quelle consunte facce di vecchi dagli occhi umidi, giallognoli, con gli iridi rosi ai contorni dal grigio della morte immanente.
Ebbene a quei tempi ero ancora convinto, e forte in me stesso, che sarebbe giunto il momento in cui avrei vissuto della mia appassionante attività, lo scrivere, lo studiare, il pensare.
Uno scrittore viene su leggendo storie di altri scrittori e da quelle vite realizzate trae la necessaria linfa per far vivere il proprio germoglio.
Perciò mi dicevo che nulla mi avrebbe fermato.
A quell’epoca vivevo col sistema sessagesimale e nel calendario gregoriano, il tempo era scandito in secondi, minuti e ore, in giorni, settimane, mesi e anni. Era entro questi segni che mi aspettavo gli eventi vitali, in questi segni che incontravo il disvelarsi del futuro.
Dovetti punto constatare che mentre altri, valorosi quanto meno non più di me, procedevano spediti verso la meta, io, come prigioniero di non so quale tenace mota, mi attardavo in un barcollio inutile; nonostante gli sforzi restavano mute e ben saldamente chiuse certe porte. (Chi la manda?)
Improvvisamente mi resi conto che qualcosa di profondamente radicale era cambiato, nella mia tenacia. Cosa potevo mai aspettarmi dal tempo comune se non il ripetersi tautologico e ossessivo dell’evidenza che dovevo abituarmi all’idea di relegare la mia ragione d’essere o meglio il modo d’essere di questa ragione e seppellirmi per sempre in un’altra forma d’esistenza da cui avrei a tratti sortito delle segrete fughe nella mia origine?
Mi dissi che di quel passo avrei perduto la vita in attesa di avere i mezzi per realizzarla.
Così entrai in un tabacchi, chiesi un modulo del lotto e compilai un terno sulla ruota di Roma.
Dal momento in cui uscii dalla ricevitoria non potei non constatare che per me non aveva più nessun senso il fatto che sarebbe scoccata una nuova ora, che questo non significava più nulla, che l’evento fondamentale per me non era più la traccia impalpabile delle esperienze ma soltanto quello della vincita o della perdita. Come se il tempo da quel momento in poi avesse trovato la sua fondamentale unità di misura nello scoccare dell’estrazione dei numeri.
Tra una estrazione e l’altra il tempo significa soltanto attesa, non aderenza alla realtà.
Certamente si continua a far quello che si faceva prima come, ad esempio, andare a prendere un caffè nel bar di sempre, ma si sa che in quel momento si sta tradendo la propria vita, che non si aspetta che l’occasione in cui si potrà abbandonarla. Negli occhi prende luogo uno strano abisso sul cui fondo si agitano visioni di una malsana speranza. Certo è che chi gioca è povero. O ha denaro appena sufficiente a non esserlo (pur tuttavia faticando quanto uno che è ricco e che lavora per mantenere la propria ricchezza). Forse se fossi stato uno di quegli intellettuali che per diverse vicende sono magari nati e cresciuti senza sapere mai cosa significhi non potersi permettere un libro, un cinema o un teatro, cose vitali per essi e di fondamento a quella loro attività che è il pensare non solo entro le esperienze della vita ma anche entro i prodotti di una cultura, non avrei mai avuto l’idea di giocare , no, avrei piuttosto continuato trovandomi vicino ad una fila di giocatori, immersi nel loro silenziosi recitativi di speranza, a nutrire per essi un certo pietoso disprezzo.
Che Dostoevski fosse braccato dalla necessità di denaro lo sappiamo anche dalla sua tremenda consunzione davanti ai tavoli della roulette.
Insomma non ci vuole molto- chi vive di speranza muore disperato.
Fatto sta che non vinsi. Presi a riflettere sui numeri, cosa questa comune a chi sappia di cosa sto parlando, rendendomi conto che pur non essendo usciti essi avrebbero potuto farlo, che non esiste nessuna regola che possa indicare con certezza la sortita di alcuni di quei simpatici amici. Giocai per l’esattezza 19 26 60 ed invece sulla ruota di Roma uscì il 19 26 61. Se avessi còlto il 61 nelle mie tasche, svuotate dal gioco di quel poco che contenevano (giocai diecimila lire su tutte le ruote dicendomi che certamente così era facilissimo vincere), avrei avuto quattro milioni e mezzo di lire sonanti.
Alla prossima estrazione mancavano sei giorni. Volevo certamente ritentare. Per un paio di giorni continuai a far di certi strani calcoli, tralasciando gli studi, fondati sulla superstizione e valutavo come ora camminando per una strada non potessi far a meno di soffermarmi sobbalzando davanti a certe targhe di macchine, come fossero voci spirituali che mi soffiavano all’orecchio i tre magici numeri che senza meno sarebbero usciti il sabato prossimo. Mi si svelava un mondo arcano, una filigrana invisibile sulle cui tracce era un intero popolo dedito a elucubrare e vergare in ogni momento la probabile combinazione capace di scassinare i forzieri del destino. Timbrature di biglietti dei mezzi pubblici, date di nascita di amici e parenti, numeri di telefono, eventi storici, ora e date di morte, incidenti, sinistri. Una sottile follia mi aveva invaso.
Un uomo normale, che non sia stato corrotto nel suo modo di pensare, sa che la vita è un cammino verso un fine in cui ci si costruisce man mano la strada, ma un uomo a cui sia stato sobillata la possibilità che la sua vita possa cambiare da un momento all’altro con un colpo di fortuna, non appena sarà vittima delle prime avversità, non attenderà intimamente che questo rovescio. E di certo a me, come a molti, esse non mancarono.
Avvenne un fatto poi che mi sembrò premonitore dell’accanimento con cui lo Stato, di lì a poco, si sarebbe messo a sfruttare questo immenso giacimento di insoddisfazione che sono le anime dei giocatori d’azzardo.
Durante una puntata di “domenica in” , che ebbi modo di vedere da un amico , dal momento che non possiedo una televisione , abbonata alla Lotteria Italia e condotta da Magalli , decisero di mostrare , quelli in alto , qualcosa che avrebbe inferto un colpo mortale a quel doloroso dubbio e rimorso che provano tutti i giocatori d’azzardo , quello ciò di far male e di comportarsi da veri idioti a tutto vantaggio del guadagno altrui : venne annunciato che sarebbe stato mostrato in diretta l’intero montepremi della lotteria pari ad oltre sette miliardi di lire (per il fatto, mi par di ricordare , cosa che dedussi da alcuni articoli letti qualche giorno prima ,che le vendite dei biglietti avessero avuto una flessione negativa e che bisognava invogliare la gente con una qualche trovata). Dunque il presentatore disse che stavano aspettando che dalla Banca d’Italia giungesse a momenti ,una piccola percentuale dei soldi accumulati dalla vendita dei biglietti , il tesoro posto in palio. Quindi dalle quinte cominciarono a sfilare due ali di gendarmi , da un lato agenti di pubblica sicurezza e dall’altro carabinieri e tutti ovviamente in alta uniforme , finché non apparve al centro dello schieramento un cubo di grosse proporzioni coperto da un principesco drappo di seta rosa , vennero abbassate le luci e in una atmosfera elettrica , come in un sacrificio umano atzeco, Magalli tolse lentamente il drappo dal cubo di plexiglas trasparente . Apparve una immensa massa di denaro , oltre un metro cubo di acuminate banconote da centomila lire . Sette miliardi di lire scintillanti sotto gli occhi del popolo dei precari , dei disoccupati , degli immigrati , dei diseredati , dei cassaintegrati (Di cui alcuni ,ahinoi , già da tempo suicidi) per i quali non esisteva altro rimedio ,almeno per uno di loro, se non quello di vincere quella piccola parte posta in palio del denaro raccolto dalle scommesse. Si percepiva l’atmosfera di stordimento del pubblico , come il silenzio prima della catastrofe. Sotto gli occhi di milioni di italiani c’era ora tanto denaro quanto mai ne avrebbero potuto guadagnare lavorando per tre o quattro vite. Aurea polvere dragata dai fondali delle miserie .
In quello stesso momento in cui si celebrava il trionfo del dio denaro ,ebbi a pensare, stavano avvenendo in suo nome omicidi , furti , rapine , massacri e stermini ; cose che poi lo stato , vicario sulla terra dell’esercizio della giustizia , perseguiva pittorescamente con repressioni e processi spettacolo o con l’invio di clamorosi battaglioni coi copricapi azzurri nelle fallaci schiere delle “restaurazioni di pace”; denaro che lo stesso Stato giustiziere , primo pomeriggio di domenica , mostrava ora ai giovani della nazione , con un atto osceno in luogo pubblico , quale il più alto fine da ottenere nella vita , in questo caso con il gioco .
Ricordo che Magalli , ognuno potrà rivederlo in una registrazione di quella puntata , prese in mano una mazzetta “signori…” esclamò visibilmente commosso agitandolo davanti alle telecamere , “questi sono cento milioni , cento mi-li-oni…” , visibilmente straziato da quella sinistra potenza in atto, balbettando come solo si può balbettare davanti all’avvento del vero dio , infine non trovò di meglio che fingere di rubarla facendola sparire per un attimo sotto la giacca . Fu un momento di pubblico imbarazzo , una gaffe certo non gradita in alto , correvano gli anni di mani pulite . In quanti luoghi di questo paese sta avvenendo sul serio questo gesto, mi domandai , da quanti forzieri ricolmi di milioni e milioni di denaro Repubblicano una mano sta impunemente sottraendo una mazzetta che vale dieci anni di vita di un lavoratore ? (o dieci anni di lavoro di un vivente?)
Ma oltre a questi pensieri in me vi era anche uno stordimento ancestrale , mi sentivo sottoposto ad una violenza da cui non riuscivo a sottrarmi , i miei occhi traducevano quel cubo in sfrenate orge di deliri , come un condannato all’ergastolo , come un rinchiuso in una profonda segreta , quale doveva essere stata quella del Benvenuto Cellini , in cui entri appena un lieve raggio di pallida luce , io vedevo nella mia mente giorni che non mi sarebbero mai appartenuti . Cose che non avrei mai immaginato senza esserne stimolato da quella visione . Questo , mi dissi , era fare cultura sul serio .
Ero affascinato, ammaliato , incantato . Vedere quei poliziotti e quei carabinieri accanto a quel bottino mi fece l’impressione per un attimo di vedere dei feroci predoni . Mi sembrava tutta quella solenne scenografia una cosa di tempi lontani e il denaro per un momento mi parve essere una persona vivente, mi fece come l’impressione che in quel drappo rosa fosse stato avvolto un giovane e sanguinario imperatore che accoglieva su di Se gli scintillanti sguardi di cupidigia del proprio famelico e miserabile popolo.
Questo denaro sarà vinto da uno di voi perciò non risparmiatevi nell’acquisto dei biglietti , toglietevi pure le scarpe dai piedi , il pane di bocca, evitate cinema e teatri, librerie , viaggi , date ai vostri figli il minimo indispensabile , non fategli fare costose lezioni di musica con il denaro con cui potreste acquistare i biglietti perché in verità io vi dico: “ questo denaro sarà di uno di voi”.
Ecco quello che non disse il presentatore .
Mi sembrava che fossimo giunti alla degenerazione totale . Ma i giorni a venire dovevano riservare alla povera anima di un giocatore prove e tempi ben più duri .
Che lo Stato si appropri del monopolio del gioco d’azzardo , che invece persegue con dure pene qualora non si svolga sotto il suo ombrello protettivo , passi . Che lo Stato derubi (mai vista una tale sproporzione tra ciò che tiene il banco e ciò che viene rimesso in premio) i propri cittadini con l’inganno giocando sul malintendimento del presunto libero arbitrio dell’uomo (non dovremmo discutere forse delle condizioni di possibilità che uno abbia un suo vero libero arbitrio il quale necessiterebbe di condizioni uguali per tutti , condizioni che sono ad esempio la cultura di un individuo e la garanzia per tutti della soddisfazione dei bisogni fisiologici dai quali nessun libero arbitrio , tranne il suicidio , può liberare l’essere umano, et. , può avere libero arbitrio un affamato davanti ad una pietanza sapendo che ha solo quella opportunità di mangiare e sarà il suo libero arbitrio uguale a quello di un altro individuo che abbia invece modo di mangiare a suo piacimento e in ogni momento ? et. ) , passi anche questo . Che esso crei la condizione della speranza di aver la vita liberata con un colpo di fortuna dalla schiavitù del lavoro , e non con l’impegno politico (la riappropriazione della sfera pubblica ) , e implicitamente riconosca che appunto il lavoro non sia che una condizione di infelicità , che faccia questo lo Stato di una repubblica il cui primo articolo dice di essere essa stessa fondata sul lavoro , che esso abbia istituito in tutto il territorio una rete capillare di bische legali , le ricevitorie , infierendo sulla infelicità dell’uomo nato schiavo su questa terra della sua propria fame , inducendolo a credere che tramite il gioco potrà esserne definitivamente redento , che passi pure , passi nel nome della pigra impotenza davanti ai dati di fatto.
Che inseguendo l’estrazione di un numero, un solo numero ( oh quale magnifica sensazione di possibilità da al giocatore inseguire un solo piccolo numero su una stessa ruota che da cento estrazioni non esce , un numero che paga dieci volte la posta giocata ) vi siano persone che cadano in rovina totale , perché cosi funziona , che dalla centesima settimana di ritardo di un numero migliaia di persone iniziano a scommettere su di esso cinquantamila lire e poi il numero non esce ed essi ne puntano il doppio , per il fatto che le probabilità diventano sempre maggiori man mano che aumentano le estrazioni , poi il triplo , il quadruplo, il quintuplo ,et., e visto il lieve moltiplicando della vincita , soltanto dieci volte la cifra , per questo la cifra deve essere notevole da subito , un giocatore può arrivare nel giro di dieci estrazioni , dalla prima puntata di cinquanta mila, a giocarsi due milioni e settecentocinquantamila ; persone che chiedono prestiti in banca ipotecando la propria casa e che nel giro di due settimane abbiano giocato duecento milioni e che giunto il momento della prossima estrazione non abbiano più nemmeno mille lire ,ed ecco che il numero esce ed essi sono rovinati (per simili somme, affatto rare , le ricevitorie lavorano di notte . C’è si un limite di gioco , così da salvare certe apparenze di temperanza diurna , per cui una giocata non può superare le cinquantamila lire , ma a questo , appunto , si ovvia elaborando in automatico duemila ricevute di giocata da cinquantamila lire per lo stesso giocatore , cosa del tutto legale , che abbia scommesso cento milioni sul 63 ,mettiamo , ritardatario da centocinquanta settimane) I giornali poi scrivendo che il tal numero , qualora uscirà , pagherà millecinquecento miliardi , con piglio sensazionalistico annunceranno il miracolo per cui molti avranno trovato l’inferno sulla terra . Passi! Passi ! Sia lecito anche questo !
Ma tutto ciò evidentemente non bastava allo Stato , ed accadde che un giorno annunciarono il raddoppio delle estrazioni , oltre al sabato anche il mercoledì .
Ha forse qualcuno raccontato lo sguardo di costernazione , quasi un incesto tra disperazione più cupa e orgasmo di gioia , dei giocatori in quei giorni , di fronte al fatto che le loro chance erano raddoppiate ma pure insieme ad esse la loro schiavitù morale ed economica? qualche nostro scrittore , qualche nostro pittore , ne ha carpito il momento per eternarlo nella nostra storia patria ?
Si sappia che tra il giocatore e il suo fine , vincere , corre un tenace filo di tensione , una storia segreta che in quanto storia non può conoscere interruzione , discontinuità .
Chi da anni insegue vanamente una vincita, (quale giocatore dopo infiniti denari perduti non si è disprezzato per non essere capace di smettere di giocare ? , Ricordate il giovane nel racconto –Ventiquattro ore nella vita di una donna- di Stefan Zwaig ?) , chi da anni e così compromesso dai propri fallimenti , non aspetterà che vincere non più per quella manciata di milioni o di poche centinaia di migliaia di lire, che egli sa benissimo non essere più che una goccia nel mare dei soldi da lui giocati durante la sua vita , ma per una cosa più importante : egli attenderà di vincere come avvento di un simbolo che gli mostri che tutta la sua vita non fu esattamente un errore, come una redenzione ; egli è come quel vecchio nel romanzo di Balzac , la ricerca dell’assoluto , qualcuno che cerca una conferma ormai all’interno di una via cieca , qualcuno che si ostina contro tutte le evidenze a dimostrarsi che sta camminando nel verso giusto .
Ora immaginatevi un uomo che abbia passato venti anni aspettando questo momento , io ne conosco che aspettano questo attimo di “perdono” da sessanta anni , può quest’uomo non giocare anche per una sola estrazione , può rischiare dopo averci speso tutta la sua vita , avendo duramente sostenuto la vergogna del suo vizio davanti a tutti , di mancare quell’unica occasione in cui la fortuna finalmente gli concederà di dire “avete visto?” . Può scommettere sulla sua stessa scommessa ?
Ricordo un mio intimissimo conoscente , un uomo di 89 anni ,che per distrazione mancò una sola volta di giocare un terno su una ruota ; era un numero che inseguiva da anni , quasi con religioso zelo. Quell’unica volta usci il numero .
Avete mai visto un vecchio svegliatosi nel cuore della notte piangere per aver mancato di un soffio il suo riscatto, un vecchio che ha perduto scommettendo gran parte dei suoi scarni denari per tutta una vita , sotto gli sguardi della longeva moglie , pudicamente pietosi della sua mancanza di carattere , e perciò ancora più duri da sostenere?, per mesi e mesi , ridotto a uno straccio senza dignità ,provare un dolore tanto più insostenibile quanto agli altri pare ridicolo , infantile e spregevole , totalmente metafisico , indivisibile con chicchessia ?
Dunque potrete intuire come per noi giocatori il raddoppio delle estrazioni abbia significato la fine violenta di quella minima pace che tra una giocata e l’altra riuscivamo a conquistare dimenticandoci per un giorno o due della nostra malattia . Ed ora invece una estrazione ogni tre giorni , a ritmo frenetico fino alla fine del mondo ; il doppio dei soldi da trovare , il doppio delle privazioni da imporsi, il doppio dei deliri palingenetici e cabalistici , il doppio delle furiose promesse di disertare la prossima volta il botteghino , il doppio delle umiliazioni di ritrovarcisi di nuovo ancora più inferociti e accaniti. Come un uomo che invece di avere bisogno di tre pasti al giorno improvvisamente lo abbia di sei .
Astuta mossa , crudele ingegno , profonda conoscenza della psicologia del giocatore ; raddoppiare le estrazioni !
Ma non era ancora finito il nostro calvario.
Accorgendosi che la doppia estrazione venne eroicamente sostenuta dal fronte dei giocatori, che essi non demordevano , quasi un degenerata eco del vigore risorgimentale , continuando a versare sangue nella trincea dei botteghini , la cupidigia dello Stato raggiunse livelli di guardia. Era dunque una inesauribile miniera d’oro l’infelicità della patria!
Questo dovettero pensare .
A breve distanza , dal disegno di fertili menti , nacque il superenalotto , specie di eiaculazione tremens terminale dell’immaginazione del giocodipendente italiano , il cui montepremi raggiunse presto le più alte vette di tutti i montepremi del mondo , superando gli Stati uniti d’America .
Erano lontani i tempi , eppure nemmeno sette otto anni fa , in cui potevamo giocare solo nelle ricevitorie , una volta a settimana ,dettando all’impiegato , che li vergava su tagliandi verdi , i numeri, come era stato fin dal regno di Napoli . Ora i gestori di tutti i bar si contendevano accanitamente in lotte senza quartiere le licenze per avere una macchina della SISAL. Non più piagnucolanti file , per di più di vecchie e vecchi. Allo scadere dell’ultima ora utile di gioco si riversavano adesso nei bar fanatiche legioni di transfughi da ogni classe e condizione sociale , di ogni età , con sguardi allucinati nel brusio isterico di risatine ed esorcismi . Era finita l’era politeista delle varie divinità calcistiche, ciclistiche , gran premistiche ; questo era l’avvento della religione unica e monoteista di Stato , il Gioco D’azzardo .
L’unità d’Italia poteva dirsi davvero antropologicamente compiuta .
Se fino ad allora si era vissuto per lavorare da adesso in poi si sarebbe lavorato per scommettere.
Un piccolo conto che feci a casa in un momento di relax mi disse che egli italiani , tra essi il sottoscritto , giocando mediamente a settimana circa centoquaranta-centottanta milioni di combinazioni al superenalotto , a ottocento lire l’una , versano allo Stato circa 448-576 miliardi di lire ogni mese (5.376-6.912 miliardi di lire all’anno). Esclusi , per mancanza di potenza di calcolo del processore , gli altri giochi e mi ricordai , prima di fare altro , che di questi soldi lo Stato , ampiamente pubblicizzandosi , excusatio non petita , ne devolve qualche centinaio di milioni all’anno per il restauro di alcune opere d’arte.
Di più posso soltanto dire che da quando gioco , da quando è entrata nella mia esistenza questa assurda speranza in un ribaltamento teologico dello stato delle cose , ho smesso di dedicarmi alla vita; se sono vittima dell’ingiustizia mi dico che la risolverò una volta che avrò vinto ; Se la realtà mi sembra insostenibile mi dico che vincendo ne uscirò per accedere, chissà , in un qualche paradiso ; se vedo che dovrei emanciparmi da una condizione non degna di un essere umano , mi dico che ciò avverrà per incanto non appena il mio tagliando di giocata sarà quello scandito dalla televisione . Tutto quel che di necessario e urgente c’è da fare , che un tempo mi sarei imposto di iniziare , è rimandato nell’aldilà di un terno , d’una quaderna , d’un 13 , di un totogol , di un tris ai cavalli ,e , teologica summa , infine di un sei al superenalotto .
Persino politicamente solo allora saprò dov’è che devo “porre me stesso”.
Distinti saluti.
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