Paraparaparapà – Powered by Franco Losvizzero.
INTRO
Il 6 aprile 2017 ha aperto una nuova galleria a Trastevere. In quello che sembra essere il nuovo triangolo d’oro della ricerca contemporanea. A poche centinaia di metri dalla Enterprise di Gavin Brown, a due passi dalla Galleria Pio Monti e Lorcan O’Neill, l’Hybris Art Gallery vuole essere uno snodo per una contemporaneità dinamica e un punto di incontro per tutti quei registi, attori, scrittori e artisti che da tempo si scontrano nelle vie della città perduta.
Dopo le prime due collettive, Uncorrect e Limitless, la galleria presenta la prima personale.
Una mostra invadente, scorretta e gustosa come il gioco d’un bambino. Gustosa perché il sapore di gomma da masticare, oltre all’odore, proietta le opere oltre un confine da cui non vogliamo più fare ritorno. I sensi tutti vengono coinvolti. Il rosa acceso della big-bubble ci accarezza la memoria da una parte e ci schiaffeggia dall’altra con i rimandi all’ultima cena di Pierpaolo Pasolini e alla Poesia di Beckett. Un citazionismo, quello di Savini che con la memoria fonde il masticare spensierato del bambino che ci abita. Invadente perché irrompe con i suoi flou e l’odore di Big Bubble nei muri antichi del 1200; scorretta perché abdica dal bianco glaciale e formale di una galleria al caos della condivisione di una visione popolare, tutt’altro che rassicurante.
Disegni, pittura, collage, sculture e un video realizzato a quattro mani con l’artista Riikka Vainio vanno a completare un viaggio nel “fantastico” mondo di Savini… in un bosco domestico dove lo spettatore sarà avvolto dalla “natura” semplice dei sogni, in un giardino, quello di Rikka e della tradizione finlandese, fatto di fili d’erba da indossare, da suonare a fil di labbra prima ancora che con un motivetto che suona in testa e non ci lascia… Che fa:-Paraparaparapà!
La mostra resta aperta dal 24/11/2017 al 26/01/2018 tutti i giorni dalla Mattina alle 10.00 fino alla sera alle 2 di notte con ingresso gratuito.
Un progetto che mette un ponte tra il ‘Moma Hostel – Museo Abitabile’ e ‘Hybris Art Gallery’ attraverso l’ideatore di entrambe: Franco Losvizzero. Supportata dagli allestimenti dello scenografo-designer Giacomo Gonnella e dalle performance dei tanti musicisti e sperimentatori. Ogni primo venerdì o giovedì del mese un evento, ogni due mesi una nuova inaugurazione.
Immagini dall’Opening del 24 Novembre 2017 all’Hybris Art Gallery; Via della Lungaretta, 164 a Roma.
intro by Piero Gagliardi & Francesco Caruso Litrico
(Uff.stampa Francesco Caruso Litrico fralit@alice.it)
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PARAPARAPARAPA’
di Ludovica Palmieri
Giocoso, irriverente, dissacrante, ma anche ossessivo, politicamente impegnato, rigoroso. Queste alcune delle caratteristiche che hanno portato Franco Losvizzero, art director della Hybris Art Gallery, ad entrare in immediata sintonia con Maurizio Savini, anche lui romano, classe 1962, tanto da dedicargli una personale nella giovane galleria trasteverina, la prima per questo spazio. In realtà, le affinità tra i due artisti sono talmente tante e complesse, che meriterebbero un capitolo a parte, dalle questioni pratiche, come la passione per i materiali a quelle concettuali, come l’elemento ludico, la memoria, e lo scardinamento della realtà.
In effetti l’opera di Maurizio Savini, popolata di animali immaginari e dominata dal colore rosa, ci scaraventa, senza
mezzi termini, in una dimensione surreale, come si evince anche dall’onomatopeico titolo della mostra Paraparaparapà. Eppure, in questa occasione lo fa in modo insolito, perché accanto alle sculture in gomma da masticare, caratteristiche dell’artista, trovano posto una serie di opere su carta. Disegni e collage abitano le pareti della galleria, per dare vita ad una mostra articolata sul segno e sul disegno che mette in luce questo aspetto forse meno conosciuto dell’artista. Frammenti di realtà galleggiano su superfici astratte, cercando la loro dimensione, ponendosi domande irrisolte, in un vagare beckettiano che sembra non avere fine.
L’artista dunque, utilizzando diversi linguaggi ci propone una visione “altra” della realtà, come se, attraverso il suo lavoro, ci chiedesse di aprire gli occhi, di pensare e vivere più attivamente ogni aspetto della nostra quotidianità. Come se ci chiedesse di lasciar perdere, almeno per un attimo, la visione razionale, positivistica del mondo, per dare spazio ad un io più profondo. Nei suoi lavori viene fuori un segno primitivo, infantile per certi aspetti, che deriva proprio da un processo di regressione che lo ha portato a “disimparare” l’educato e convenzionale disegno classico, per recuperare la memoria dell’infanzia e dunque un segno che metaforicamente rappresenta più uno schiaffo che una carezza. Questo tratto crudo e netto emerge, in maniera particolarmente evidente nell’opera “Karuna”, un’installazione costituita da sette pezzi, realizzata in collaborazione con Riikka Vainio, sua compagna d’arte con cui firma performance, video e opere pittoriche appunto. Qui, l’immagine interna dell’artista disincantato si contrappone a quella della scrittrice, attraverso il confronto di due mondi opposti e paralleli che coabitando sulla stessa superficie. Immagini e parole. Accanto ai disegni di Savini compare la scrittura della Vainio, parole di fiaba, popolate da personaggi fantastici che entrano in “dialogo” con immagini dal tratto veloce, drammatico, anti-estetico.
In effetti, la ricerca artistica di Maurizio Savini non è mai stata diretta al raggiungimento di un’ideale astratto di “bellezza”, quanto piuttosto al disvelamento della realtà. Obiettivo da lui perseguito anche attraverso la scelta dei materiali, che lo ha portato, a partire dal 1996, ad utilizzare la gomma americana per realizzare le sue opere.
Atipico e inedito per la scultura, questo materiale, si rivela intriso di riferimenti e aperto a molteplici letture, anche se, paradossalmente, nella pratica artistica, richiede una lavorazione non distante da quella delle cere tradizionali. Le connessioni con il mondo industriale, e con la storia sociale del nostro Paese generano una serie di rimandi al consumismo, alla pop art, all’influenza americana, basti ricordare che il chewing gum ha fatto il suo ingresso nel nostro Paese subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.
In più, l’assordante colore rosa, che si accompagna al tipico dolciastro profumo, ne aumenta il carico simbolico, diventando un denominatore comune delle opere dell’artista. Anche in questo caso, non si tratta di una scelta casuale, ma di una consapevole presa di posizione, una dichiarazione di poetica nei confronti di un sistema basato sull’ipocrisia, per cui l’artista sceglie di adottare il colore che da sempre connota ciò che è artificiale, artefatto, falso per eccellenza.
L’arte che svela e disvela la realtà, in un gioco leggero, ma nello stesso tempo rigoroso e serio, partendo dal vissuto personale dell’artista per
allargarsi ad una visione più ampia, che abbraccia la storia, si manifesta forte in opere come “Destiny for nothing” in cui un asinello, bendato come nelle peggiori tradizioni – simbolo dello sfruttamento fino alla morte – reca sul corpo l’immagine distorta di un planisfero, in cui l’Antartide, rappresentato sull’addome della bestiola, risulta visibile solo perché riflesso dallo specchio su cui stanzia, circolare, come l’inutile movimento cui è costretto e che lo porterà alla morte, sfinendolo senza condurlo fisicamente da nessuna parte. E a sugello dell’opera un cartiglio impietoso, con una poesia di Samuel Beckett, una delle poche in francese: “sans cette onde ou à la fin corps et ombre ensemble s’engloutissent // senza questa onda dove alla fine corpo e ombra cadono insieme”, che trasforma definitivamente il lavoro in una sorta di contemporaneo memento mori, che invita ad aprire gli occhi per liberarci dal giogo cui inevitabilmente siamo imbrigliati.
Esortazione implicita anche nel lavoro intitolato “I maestri sono fatti per essere mangiati in salsa piccante” omaggio a Pasolini, e forse alla
Roma del secondo dopo guerra, piena di sogni e speranze, disilluse sul nascere, come dimostra il titolo tratto da una frase di Ennio Flaiano pronunciata all’uscita della prima del suo film co Totò e Ninetto Davoli intenti a dialogare col Corvo-Gramsci. Per il maestro del neorealismo “assassinato dallo Stato”, per usare le parole dell’artista, la gomma americana diventa nera, in riferimento ad Uccellacci e Uccellini, di cui rimane anche il corvo per un estremo saluto al poeta scomparso, in questo tabernacolo che ostenta anche l’ultimo assegno, emesso per pagare la cena al suo boia.
“Domestic forest”, video istallazione che documenta una performance dell’artista, realizzata in collaborazione con la Vainio, rappresenta una considerazione sull’architettura. I due, agghindati a festa, si muovono all’interno di uno spazio immaginario, l’uno “costruendolo” sul momento solo con una planimetria di gesso sul prato, l’altra preparando una cena reale con stoviglie e cibi preziosissimi. Troppo spesso l’architettura diventa invasiva e monumentale, mentre invece l’artista mette in evidenza come invece siano le persone a rendere abitabile uno spazio.
Ma c’è di più perché Paraparaparapà apre le porte alla performance, con un’azione di Riikka Vainio in cui l’artista crea installazioni floreali con cui vestire i visitatori. L’azione unisce due riferimenti culturali forti, da una parte l’arte giapponese dell’Ikebana, dall’altra la tradizione Finlandese, estremamente legata alla natura. In entrambi i casi l’elemento floreale diventa un mezzo per elevarsi, per lasciar emergere il proprio spirito.
Diverse opere in mostra offrono ad un occhio attento la possibilità di cogliere le corrispondenze tra le poetiche di Savini e Losvizzero e, forse, una più delle altre contiene notevoli spunti di riflessione. Si tratta di “Resurrection”, in cui un coniglio rosa, sdraiato sopra e davanti uno specchio, ci fissa. Seppur involontari qui i tratti comuni sono davvero evidenti, a partire dal coniglio (rosa anche per Franco nel 2011), ricorrente nel lavoro dei due artisti, passando per il colore e arrivando alle superfici specchiate. Il valore simbolico dell’opera rappresenta in Savini un tributo alla storia dell’arte, in particolare a Durer e Beuys, fondamentali per la sua ricerca, mentre per Losvizzero il coniglio rappresenta la possibilità di scivolare nei meandri dell’inconscio.
Con Paraparaparapà, dunque, ci immergiamo in una mostra che gioca, come tutta la ricerca di Savini, in sintonia con l’arte di Franco Losvizzero, sull’ossimoro e il paradosso, creando accostamenti inaspettati e una sensazione costante di spaesamento tra l’apparenza e significato, tra significante e procedimento di realizzazione. Perché l’arte è un gioco serio, in cui tutti però, in quanto esseri umani, siamo invitati a partecipare.
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Maurizio Savini (Roma, 1962, vive e lavora a Roma) Dopo aver studiato architettura all’università “La Sapienza” di Roma, a partire dal 1989 inizia a frequentare l’atelier di Gianni Dessì e nel 1992 tiene la sua prima mostra personale a Dusseldorf. Successivamente partecipa a numerose collettive, esponendo all’estero – a Londra, Parigi, Taipei, Havana, Lione ed Edimburgo – e in Italia, diventando assai noto grazie alle sculture di chewing gum, che realizza mediante un lungo processo che parte da un calco in gesso rivestito di poliuretano espanso, e giunge alla fase finale dell’essiccazione ottenuta con tre diversi fissativi: l’antibiotico, la, il paraloid. Nel 2002 per il Maggio Musicale Fiorentino realizza la scenografia del balletto “La fin du jour” di Schubert con la coreografia di Fabrizio Monteverde, rappresentato a Firenze e a Bologna. L’anno seguente progetta due mostre personali a Roma: “Bassa fedeltà” per Volume! e “Tabula Casa”, per il Museo Arte Contemporanea. In questi anni prende parte a numerose mostre personali e collettive e a progetti di livello nazionale e internazionale, tra cui “Arte per i bambini di Beslan” nell’ospedale pediatrico di Vladikavkaz (2005). Tra le mostre personali più recenti si ricordano: “Il Canto della terra” prodotta dall’azienda agricola ICARIO di Montepulciano, con Pietro Ruffo (2010) e “Potenza della delusione” a cura di Giulia Abate, nel Complesso Monumentale del Vittoriano a Roma (2013). Nell’aprile del 2010 ha creato a Roma per la Sala Stampa di Palazzo Valentini un’installazione inaugurata da Nicola Zingaretti, il Presidente della Provincia di Roma.
Hybris Art Gallery. Via Della Lungaretta, 164 Roma.