L’inconsapevole trinità : Ottava Puntata del romanzo di Marcello Lippi. Qui il link della prima puntata, seconda puntata, terza puntata e quarta puntata, quinta puntata , sesta puntata e settima puntata
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PREFAZIONE
Scritto durante gli anni di permanenza in Cile dell’autore, questo romanzo racconta una storia affascinante e piena di colpi di scena, in cui agiscono fianco a fianco, secondo quella che è l’assoluta normalità nei paesi del Sudamerica uomini e spiriti, ninfe e personaggi letterari, tutti vivi di un’unica vita che da queste pagine prende corpo e significato. La vera protagonista è una donna, o meglio una creatura leggendaria della letteratura cilena, Osilas, la ninfa che oscilla (donde il nome) tra due mondi e che coinvolge, guida, illumina la vita dei protagonisti maschili. La sua voce è talmente potente e meravigliosa da muovere le onde del mare, il suo operare è benefico e potente per la vita di chi la incontra, siano esseri umani o personaggi letterari resi immortali dalla loro condizione e desiderosi invece di umanità. Il simbolo, il segno, le dimensioni dell’essere. La cattedrale nell’oceano è il racconto di tre vite, o non-vite, alla ricerca del significato del mondo: la prima attraverso la negazione della casualità e l’interpretazione estrema del reale come segno, la seconda attraverso la conflittualità dell’amore non corrisposto, la terza attraverso l’abbandono confidente ad un reale che supera i confini della normalità e ragionevolezza. Tre vite che si intersecano: quella di Pierre de Craon protagonista della pièce di Paul Claudel L’annonce faite à Marie , condannato per un gesto maldestro di violenza ai danni della giovane Violaine a peregrinare in eterno per il mondo con una lieve, ma contagiosa, forma di lebbra in corpo. Immortale perché personaggio di teatro, ma reale, più reale di altri personaggi, nella sua avventura fascinosa e ricca di sorprese, nel suo girovagare attraverso i secoli, maledicendo Dio per la punizione che gli ha inflitto, negandogli anche la redenzione, perché un reale tanto evidente nega la possibilità salvifica della fede; quella di un critico teatrale che, alle prese con un evento imprevisto e destabilizzante, il ritrovamento di una ragazza morente per overdose, si lascia coinvolgere, pensando a questo incontro come ad uno squarcio che deve spezzare la sua vita di prima e creare i presupposti per una nuova, nella quale gli si possibile intuire la ragione del suo esistere, operare ed amare; quella di un pensionato vedovo e solo che incontra uno spirito su una scogliera ed accetta di seguirne le indicazioni fino ad avere una nuova meravigliosa vita in Sudamerica accanto ad una giovane fanciulla. Cos’hanno in comune? Forse nulla, forse un mondo di sensazioni e verità che appartiene solo a loro e del quale Osilas, la creatura del mito andino che oscilla tra le due dimensioni e si coinvolge con l’esistenza di tutti e tre, possiede le chiavi. Il lettore è chiamato ad accettare in questa opera non solo l’operare congiunto di creature terrene, di esseri intermedi tra la dimensione della materia e quella dello spirito e di personaggi di teatro umanizzati, ma anche che i personaggi di una storia corrispondano a quelli dell’altra, che un personaggio possa essere nel contempo morto e vivo in uno sdoppiamento che trova le sue ragioni nel suo essere fortemente angelico e nel contempo simbolico.
Redazione Cultura
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L’inconsapevole trinità
o
La cattedrale nell’ Oceano
ROMANZO di MARCELLO LIPPI
Ottava Puntata
14
Il cambiamento di Carlos era di giorno in giorno più evidente, anche se nessuno, nemmeno le ragazze, osava farvi anche il più piccolo accenno. Era perfino giunto da Köln un duplicato del suo documento di identità, il cui originale egli aveva bruciato quando aveva fatto la sua radicale scelta di vita; era stato richiesto da Pierre tramite l’ambasciata e avuto in un battibaleno come succede solo ai potenti, ai quali non devono essere imposte code, né richieste formalità. Prima di parlarne a Carlos, Pierre si era consultato a lungo con le ragazze sul da farsi, perché temeva una reazione dell’amico che potesse rovinare tutti i progressi fatti da costui sulla strada della “civilizzazione”. Fu convenuto che l’incombenza spettasse a Greta e, dopo qualche giorno, lei gli si avvicinò timidamente precedendo di pochi passi gli altri due compagni e disse:
– “Carlos, cioè Hans, noi pensiamo che potresti cominciare ad uscire un poco, ora, se le ferite non ti fanno troppo male, e per questo motivo ci siamo permessi, (scusa se non te ne abbiamo parlato prima!), di rivolgerci all’ambasciata, grazie alle conoscenze di Pierre, per avere un documento che renda legale la tua presenza qui; grazie alle amicizie del maestro è stato tutto semplice e così abbiamo fatto arrivare questo.”
Gli porse con mano incerta il documento nuovo di zecca.
Carlos la guardò solo per un attimo, con uno strano sorriso ironico; sembrava fosse disorientato; come se non sapesse lui per primo come reagire e cercasse qualche battuta del suo repertorio, poi sembrò rinunciarvi e disse semplicemente:
– “Ah, grazie! Avete fatto bene!”
Quindi se lo mise in tasca fingendo d’ignorare le espressioni stupite degli amici e disse subito a Pierre, quasi per impedire qualsiasi commento:
– “Maestro, senti un po’: quando sei arrabbiato con qualcuno tu lo paragoni sempre alla sabbia, perché dici che è un materiale inutile su cui non si può costruire nulla, ma questa città è proprio costruita sulla sabbia!” – e gli mostrò un’illustrazione d’un libro d’architettura. – “Come la mettiamo? Questo ti contraddice!”
Pierre prese sorridendo il libro tra le mani e colse finalmente l’occasione per spiegare ai suoi tre allievi le tecniche di costruzione tipiche della città e la sua particolare concezione, che la rendeva effettivamente eccezionale: le lezioni si articolarono in diverse fasi, secondo uno schema didattico molto chiaro, e si protrassero per giorni, riempiendo ogni spazio che il lavoro lasciava loro e arricchendosi via via di esempi, perché a poco a poco Pierre abbandonò anche l’ultima delle sue vecchie abitudini, la passeggiata serale in solitudine, e la sostituì con un giro della città in compagnia dei tre ragazzi alla ricerca di tutte le bellezze ( e bruttezze) architettoniche.
Carlos, la prima volta che varcò di nuovo il portone di casa e sentì l’aria frizzante sferzargli il viso, provò una gioia infantile che non fece nulla per reprimere: sentì la vita scorrergli potentemente nelle vene ed avvertì il bisogno di stringersi alle ragazze, di tenerne una per mano, di godere un po’ di quella fisicità che si era abbondantemente negata negli ultimi tempi e con la quale ora aveva modo di ringraziare, come avrebbe potuto fare un bambino, quel manipolo di amici che tanto aveva fatto per lui. La sua allegria infantile contagiò subito tutto il gruppo e così la breve escursione fu talmente piacevole da essere trasformata in una consuetudine anche quando, dopo qualche giorno, Carlos prese ad accompagnarli sul lavoro. Sapeva bene di essere l’unico fuori posto nel gruppo, il solo a non saper nulla di architettura né di ingegneria, così si sistemava accanto al maestro, il quale, proprio per questo motivo, aveva preso la buffa abitudine sul lavoro di dire ad alta voce tutto ciò che stava facendo o che avrebbe fatto di lì a poco, usando uno strano plurale “majestatis” che divertiva un po’ i suoi collaboratori estranei alla “famiglia”.
Carlos prendeva così voracemente degli appunti che poi rileggeva a casa, la notte, in cucina o nello studiolo al piano terra che era stato nel frattempo attrezzato a camera da letto, perché le ragazze potessero avere un po’ più di spazio nel salone. Non era infrequente però che lui, forte di un’abitudine che legittimava l’illecito, si fermasse a dormire in mezzo a loro, magari assopendosi nel bel mezzo d’una discussione di architettura, e al mattino Pierre li trovasse tutti e tre addormentati e avvolti in un tenerissimo abbraccio. Facevano anche l’amore? Pierre se lo era chiesto con una punta di sofferenza che gli era sembrata ingiustificata, ma che nasceva inesorabilmente dall’invidia verso quel ragazzo al quale era ormai legatissimo: invidia della sua normalità, della sua genialità ancora non manifesta ma evidente ai suoi occhi di padre, della sua possibilità di amare ed essere amato. Pierre aveva in cuor suo già deciso: avrebbe fatto di Carlos, che lo volesse o no, un grande costruttore di cattedrali!
Per questo non lo perdeva mai di vista, né sul lavoro, né nelle loro passeggiate serali, e indovinava ormai ogni suo dubbio, ogni sua incomprensione di una spiegazione, giacché a volte lui, senza volere, usava uno di quei termini tecnici per lui normalissimi, ma incomprensibili ad un profano come Carlos. Con riguardo paterno allora, voltandosi verso di lui, lo pregava di scrivere quel termine sul quadernetto e gli dettava la spiegazione del significato, in modo che potesse in futuro servire per il libro di testo da utilizzare con gli studenti dell’accademia. Carlos comprendeva benissimo che era un modo per non far capire a nessuno la sua impreparazione, e, sorridendo, coltivava in cuor suo una sempre maggior gratitudine per l’amico.
Della città, ciò che più incuriosiva i tre giovani erano i metodi di costruzione generati dalla fantasia degli abitanti di Amsterdam per edificare su un terreno così soffice: a questo riguardo essi riempivano di domande il maestro perfino a tavola. Egli, che condivideva appieno la loro ammirazione per la fantasia creatrice, rispondeva sempre, lieto della loro curiosità, e alle spiegazioni teoriche faceva seguire visite mirate a luoghi precisi della città che egli conosceva bene; inoltre, non appena avevano notizie di lavori per la pavimentazione di qualche strada o per la ristrutturazione di qualche vecchio palazzo, accorrevano in gruppo per scrutare nel terreno aperto dagli scavi la genialità delle “fondamenta a pali” tipiche della città. Più che dalle moderne fondamenta con i pali di calcestruzzo, impiegate nelle zone più periferiche e supportanti palazzoni di molti piani, i ragazzi erano incuriositi dalle vecchie fondamenta, quelle che erano state fatte all’inizio a mano piantando pali di legno paralleli nel terreno. Come erano arrivati a questa soluzione? Pierre spiegò loro che i primi tentativi furono assolutamente empirici, edificando casette lignee prive di fondamenta che, dopo un po’ di tempo, affondavano miseramente nella torba. Erano casette assolutamente provvisorie, che, quando affondavano, venivano riedificate allo stesso modo. L’idea delle “fondamenta a pali” arrivò negli anni, ma inizialmente questi pali erano posti nel terreno umido, per cui marcivano in poco tempo. Quando si capì che occorreva raggiungere il primo strato della sabbia, cioè il terreno solido, la lunghezza dei pali aumentò e le fondamenta furono edificate utilizzando un’ingegnosissima macchina nella quale un peso di circa 400 Kg. era issato da una squadra di circa 40 persone e poi lasciato cadere sul palo più volte fino a conficcarlo nel terreno. Siccome il palo doveva entrare verticalmente, si doveva cambiare la posizione di tutto il gigantesco macchinario ad ogni nuovo palo. Questi pali dovevano essere lunghi almeno tredici metri, in modo da raggiungere il primo strato della sabbia, quello più profondo, impenetrabile al palo di legno che quindi vi si conficcava. In caso contrario, e non era infrequente, specialmente nelle costruzioni più antiche, il palo poteva rompersi, o non far presa e cedere. Inoltre era fondamentale, essendoci uno strato d’acqua da attraversare, che la testa superiore del palo fosse (ed era legge) infissa nella sabbia almeno 15 centimetri, altrimenti il fondale si sarebbe potuto nel tempo abbassare ed il legno venire a contatto con l’acqua stessa e quindi marcire, con inevitabili conseguenze sulla stabilità dell’edificio. Sui pali verticali, poi, solo dopo il seicento segati in cima e resi tutti alla stessa altezza, venivano posati altri pali orizzontali di quercia, pino e betulla e assi di vario spessore e formato, con un sistema di incroci che forniva la base per la costruzione e dava alle fondamenta lignee la capacità di sopportare il peso di una costruzione in mattoni.
Una mattina, nel bel mezzo di queste lezioni, ebbero la fortunata occasione, a causa di alcuni lavori in corso nel manto stradale dell’Oudezijs Voorburgwal per l’inserimento di cavi di telefonia, di vedere, grazie agli scavi, i robusti pali posti di traverso a sostegno della loro stessa casa. L’importante, come spiegava ogni volta Pierre agli allievi durante le loro visite, era che fossero i mattoni ad essere a contatto con l’acqua o il terreno impregnato e non il legno stesso, se no, questo sarebbe inevitabilmente marcito.
– “E queste sono le conseguenze!”
Erano appena giunti di fronte ad una piccola casetta al numero 191 della loro stessa via e rimasero sbalorditi:
– “Come fa a stare in piedi?”
La casetta, a quattro piani, larga non più di sei metri, aveva il muro di destra che era notevolmente sceso rispetto al sinistro, cosicché era inclinata di circa 30° verso destra, ma l’inclinazione non era omogenea per cui tutta la costruzione era un prodigio d’instabilità e probabilmente stava in piedi solo perché appoggiata alle due case confinanti. La cosa che parve più assurda ai ragazzi era che questa folle casetta, che sembrava il parto d’un architetto demente e si chiamava curiosamente “Lilliput”, non solo ospitasse al piano terra un’officina di riparazione di biciclette (e fin qui niente da dire se si vuol lavorare con l’orecchio attento al primo scricchiolio sospetto….) ma era anche abitata ai tre piani superiori, come si vedeva chiaramente dalle finestre.
– “Chi può abitare in una casa così?”
– “D’accordo, le finestre non si potranno chiudere perché le intelaiature sono deformi, ma i mobili? Dovranno tutti avere i piedi segati per pareggiarli all’inclinazione del terreno! “
– “E chi ci vive dovrà camminare sempre inclinato verso la parte destra!”
Lo stupore aveva già lasciato il posto all’ilarità.
Proseguirono visitando la “casa dell’orologiaio”, vicino alla biblioteca in fondo alla strada: anche questa presentava gli stessi problemi di cedimento, ma in modo ancor meno organico: era storta un po’ dappertutto; non c’era in tutta la facciata una sola linea retta e questo era sicuramente dovuto al fatto che la casa stessa, che ospitava la bottega di un orologiaio e la sua abitazione, era di legno e che quindi, al cedimento di qualche palo delle fondamenta, aveva fatto seguito anche la rottura di qualche asse orizzontale o qualche incurvatura della struttura. Anch’essa era un prodigio quasi soprannaturale: sembrava un manifesto all’istinto di sopravvivenza di una casa che resisteva alla forza di gravità sfidando ogni logica.
Per continuare le sue lezioni, ora che la maggior parte della giornata lavorativa veniva trascorsa in S.Nicholas, perché i lavori alla Oude Kerk si potevano dire quasi conclusi, Pierre trovava ugualmente il tempo di passare sempre un’oretta verso sera nella vecchia chiesa per insegnare agli allievi le forme ed i vari stili che si erano succeduti nel tempo creando grandi differenze tra una zona e l’altra della costruzione. Poté spiegare loro come, anche nel caso di fondamenta costruite a regola d’arte, potevano verificarsi squilibri e pendenze, qualora una parte della costruzione dovesse supportare un peso maggiore di un’altra. Mostrando piani e disegni anche dell’epoca, illustrò ai ragazzi, infatti, i lavori di rafforzamento della torre campanaria che era, nei primi secoli dopo la costruzione, sprofondata lentamente sul lato nord proprio a causa del peso eccessivo per le fondamenta di fascine, tanto da costringere la comunità nel 1738 ad un primo intervento d’inserimento di pali all’interno ed all’esterno, quasi per creare nuove fondamenta rivestite di mattoni. Poi la torre era stata imbrigliata da mura esterne tolte definitivamente nel 1960. Nonostante gli interventi, però, richiedeva sempre nuove cure perché continuava lentissimamente a sprofondare. I tre “assistenti” seguivano ogni parola, prendendo appunti e ponendo questioni ogni giorno più pertinenti: Pierre era enormemente orgoglioso della loro attenzione che lo ricompensava di tanta solitudine sofferta in passato; godeva nel vedere il proprio sapere passare a queste giovani menti. Ora aveva, se pur per poco tempo ancora, una famiglia ed il suo ruolo era quello del padre e del maestro: ciò gli dava una responsabilità ed una dignità nuova.
Fu l’unico periodo che egli trascorse senza desiderare più la liberazione della morte: l’Assente, secondo un disegno umanamente folle, gli aveva donato un ragione valida per alzarsi dal letto alla mattina fischiettando spensierato.
Così, tutto procedette per giorni nel migliore dei modi secondo i ritmi e le abitudini che si erano andate creando nel gruppo: le giornate si assomigliavano molto, è vero, ma nessuno dei quattro pareva ricercare particolari emozioni, dopo l’esperienza di Köln. Greta aveva ritelefonato più volte al poliziotto, che continuava ad avere solo dei dubbi su di lei, ma nessuna prova di un suo coinvolgimento, ed ai suoi genitori, le cui ansie, dovute a questa inaspettata partenza con un uomo che non si era certo comportato nei loro confronti nel più elegante dei modi, tardavano però a calmarsi, anche per l’alone di mistero che Greta voleva fosse conservato per non esporsi alle vendette di qualche fanatico.
Catherine, che aveva da più tempo abituato i propri genitori al distacco, li chiamava invece con il contagocce ed ancor più centellinava le notizie, preoccupandosi solo di rassicurarli sulla propria salute e felicità. Per quanto riguarda Carlos, il mistero regnava assoluto sul suo passato, la sua famiglia, i suoi compagni; egli non aveva mai lasciato trapelare alcunché, né alcuno di loro aveva osato affrontare l’argomento, specialmente Pierre, che aveva intuito di rischiare, giocandosi troppo nell’amicizia con il giovane, di fare egli stesso confidenze pericolose.
Questo stato di cose si protrasse fino ad un giorno preciso ed importantissimo: il giorno in cui l’ “Assenza più forte della Presenza” lo costrinse a confrontarsi con un’arcana profezia, trascinandolo con forza ineluttabile verso il suo ultimo destino. Avevano aperto da pochi giorni la scuola ed assunto il personale ed alcuni docenti: le due ragazze se ne occupavano ormai quasi a tempo pieno, mentre il solo Carlos seguiva quotidianamente Pierre nei suoi ultimi giorni di lavoro in S.Nicholas. Pierre avrebbe dovuto partire a giorni per un altro impegno ed era divenuto triste, perché presagiva l’avvicinarsi del momento del distacco con un dolore immenso ed un gelo nell’anima: non riusciva più a pensarsi, a concepirsi da solo.
Per la prima volta aveva vissuto a contatto con altri essere umani per un periodo ragionevolmente lungo, tanto da legarsi e da conoscersi intimamente. Cosa avrebbe dovuto fare? Partire e fingere una morte improvvisa per sparire nel nulla? I tre ragazzi lo conoscevano così bene che se lo avessero incontrato di nuovo, cosa non impossibile visto che svolgevano la stessa attività, non avrebbe potuto ingannarli: lo avrebbero senz’altro riconosciuto. Confessare la verità era impossibile: non lo avrebbero creduto oppure, in caso contrario, avrebbe sconvolto le loro esistenze e tolto anche a loro la speranza nella fede salvifica. Anche l’idea d’inventarsi un fratello più giovane gli era sembrata una stupidaggine! Occorreva trovare una soluzione. Ora aveva ancora un po’ di tempo: avrebbe potuto onorare il prossimo contratto e tornare ad Amsterdam, ma quanto avrebbe potuto vivere accanto a loro senza che si accorgessero che lui, semplicemente, non invecchiava? Qualche anno, certamente, ma poi? Sarebbe stato certamente meglio troncare i rapporti subito, prima che la consuetudine alla felicità si impadronisse ancor più stabilmente della sua vita e gli trasformasse poi il futuro in una lunga sopravvivenza nel dolore e nella nostalgia.
Ma cosa diavolo gli era saltato in mente di contravvenire a tutte le regole che si era dato e che aveva fino ad allora rispettato? Il mistero era stato la caratteristica predominante di tutti gli architetti che lui era stato; un nome famoso, ma un volto noto a pochi, senza biografia, protetto dalla fama di orso intrattabile: per lui, per ogni uomo che era stato, parlavano solo le opere, fatte più per l’Assente che per i suoi poveri simili disorientati.
Ora era diverso, e quelle ragazze che entravano nel bagno senza bussare e lo sorprendevano, senza peraltro farci caso, in mutande nell’atto di radersi la barba, erano in grado di riconoscerlo da una quantità enorme di particolari! Conoscevano ogni suo modo di atteggiare il viso, ogni suo gesto fatto quando pensava di non essere visto, avevano studiato il suo modo di aiutare la concentrazione nella lettura muovendo lievemente le labbra, conoscevano i suoi gusti a tavola, perfino il suo russare sonoro e compiaciuto.
E Carlos? Pierre era convinto che il ragazzo intuisse su di lui ben di più di quanto desse a vedere, tanta era la sua vivacità intellettuale; a volte lo scrutava con uno sguardo particolare, con un lieve sorriso, come se gli potesse leggere dentro. Avrebbe mai potuto mentir loro? Ma del resto non era quello che stava già facendo, nascondendo la verità su di sé ed esponendoli al prossimo dolore dell’abbandono?
Avvertì l’esigenza di brevi momenti di distacco, di qualcosa che lo allontanasse per poco tempo dalla situazione, in modo da permettergli di vederla un poco dall’esterno, come se non fosse “sua”. Riprese così a passeggiare da solo, la sera, spesso fermandosi a lungo su una panchina a guardare le piccole processioni delle anatre e dei cigni nei grachten, incurante delle solite, poche e fastidiosissime gocce di pioggia che bagnavano le falde del suo cappello e scivolavano a terra silenziose. La scuola era ormai avviata: gli incarichi ben stabiliti, la struttura di tipo seminaristico, cioè di perfezionamento del lavoro delle scuole “ufficiali” della città, era ben formata e prevedeva un’intensa collaborazione tra le varie istituzioni; c’era già un gruppo di una trentina di studenti iscritti, alcuni molto promettenti. Aveva fornito alle ragazze un attestato di perfezionamento del massimo livello che era per loro una garanzia di impiego per il futuro se avessero voluto tentare la libera professione ed a nome di ognuno dei tre assistenti aveva aperto segretamente un conto bancario. Egli non era più necessario: aveva assicurato ai suoi ragazzi un roseo avvenire. Ora doveva sparire!
Forse sarebbe bastato fare come sempre, cioè cambiare continente per una decina di anni, fare qualche piccolo cambiamento nell’aspetto e non avrebbe dovuto neanche raccontar loro bugie, bastava non vederli più; avrebbe potuto scrivere loro per tenersi informato, firmandosi ancora col suo vecchio nome, mentre per il mondo poteva rinascere per l’ennesima volta come successore di se stesso, con un altro nome di fantasia.
Per ora doveva andare a Parigi ed onorare il contratto che aveva accettato, poi si sarebbe ritirato ufficialmente in pensione in Australia o in America. Del resto, poteva ben permetterselo: aveva guadagnato tanto da non saper che farsene del denaro ed aveva dato in beneficenza nel corso degli anni somme incalcolabili! Ora doveva trovare un piccolo villaggio, dove nemmeno la più piccola notizia su di lui potesse circolare. Ma sarebbe riuscito a star lontano dal suo lavoro? E sarebbe riuscito a non vedere più i suoi ragazzi?
Rientrò a casa soddisfatto per la soluzione trovata, che non era priva di incognite ed era appena abbozzata, senza il conforto dei dettagli, ma era già un consistente passo in avanti.
Entrò come sempre, scuotendo dal cappello le gocce di pioggia ed esclamando ad alta voce “Sono io!”.
I ragazzi erano di sopra ed egli li raggiunse, salendo la scala con fatica: si prese il consueto bacio sulla guancia da parte delle ragazze e ricambiò il sorriso di Carlos con un piccolo cenno della mano, poi si diresse alla cucina, desideroso di farsi un caffè. Solo quando fu seduto a tavola con la tazza fumante nelle mani realizzò di aver visto qualcosa di strano in ciò che i ragazzi stavano facendo e rifece, curioso, il tragitto fino alla sala.
– “Ma che state facendo?”
Pierre aveva troppo vissuto e troppo conosciuto gli esseri umani per illudersi ancora della possibilità di pianificare la loro esistenza o di ricondurla a modelli precisi: qualche elemento imponderabile e imprevisto giungeva sempre a scardinare il progetto elaborato. Sapeva ormai bene che l’unica via era il non far progetti, accettare l’altro per quello che era, firmare una cambiale in bianco e non chiedere di più. Ma questo nuovo sentimento di paternità che sperimentava in quei giorni lo aveva trasformato e indotto a nutrire nuove illusioni di poter in qualche modo, se non determinare, almeno indirizzare il cammino dei suoi “figli” e ogni segnale non positivo sulla strada di questa inconscia pianificazione lo turbava e gli dava un profondo dolore. Era stato così quando si era accorto che Carlos aveva introdotto in casa un poco di quell’erba “magica” che alimenta il commercio del quartiere e aveva sfidato il suo divieto di fumare in casa, forse addirittura facendo fumare le ragazze.
Non aveva detto nulla, allora; non ne aveva avuto bisogno perché Carlos aveva compreso dal suo sguardo di averlo ferito e se, sul momento, nello stato di visibile eccitazione dato dalla sostanza, aveva ostentato un atteggiamento di disinteresse e sfida, il giorno seguente aveva avvertito un acuto rimorso ed era giunto, sia pur in modo scherzoso, a scusarsene con Pierre.
Pierre aveva in quell’occasione meditato molto sull’accaduto e si era ripetuto che non doveva esigere troppo dai ragazzi: la sua allergia verso ogni forma d’idiozia e di decadenza spirituale non poteva trasformarsi in una pretesa sugli altri, specialmente su chi aveva un passato come quello di Carlos. Stava imparando solo allora ad essere padre e rifletteva a fondo, disteso sul letto, la notte, su come essere un “buon” padre, per quel tempo in cui gli era ancora concesso esserlo. E’ vero: lui non tollerava il fumo nemmeno delle sigarette, lo riteneva un’aggressione al proprio corpo, un farsi del male, irretiti dalla pubblicità insinuante delle multinazionali del tabacco che proponevano modelli di vita secondo i quali avere in bocca un rotolino di foglie di tabacco incendiato e profondamente tossico dava un look da persona di successo ed era prova di maturità e di forza. Ma ora aveva sorpreso suo “figlio” nell’atto di fumare qualcosa di ancora più pericoloso, qualcosa che gli danneggiava non solo il corpo, ma anche la mente, se non altro perché era una fuga dalla vita, era qualcosa che i giovani assumevano “per dimenticare”. Egli si era trovato davanti alla scelta se reagire duramente o cercare di accettare o minimizzare il fatto. Era eccessivamente rigido, eccessivamente attaccato ai suoi principi morali? Stava subendo una condanna durissima da parte di quel padre Assente che verso lui solo non aveva usato alcuna misericordia. Doveva lui per primo dimostrarsi capace di misericordia? Così fece e quando Carlos si avvicinò scherzando, ma seriamente intenzionato a scusarsi, sorvolò sulla cosa, come su un incidente di lieve entità che non doveva certo ripetersi, ma non aveva cambiato in alcun modo le cose tra di loro.
Perché questa volta Pierre non poté fare lo stesso? Giocò probabilmente un ruolo determinante l’orrore suscitato da una cosa stupida, ma che lui riteneva offensiva della divinità e quindi caricava di un valore idolatrico insopprimibile. Carlos stava facendo “i tarocchi” a Greta, seduto sul divano, e Catherine assisteva in silenzio al fianco, attenta a non perdere una parola delle profezie pronunciate dall’amico. Pierre reagì come un piccolo Mosè davanti al vitello d’oro: rovesciò le carte al suolo e, incurante delle sue ferite, colpì Carlos con un potente manrovescio che lo fece cadere pesantemente sul divano. Poi, con voce roca, fuori di controllo, gridò che non si sarebbe mai aspettato un tradimento del genere, una simile degradazione in persone che amava e stimava.
Le due ragazze l’ascoltavano mute, rannicchiate sul pavimento, come temendo percosse, mentre Carlos era rimasto immobile, così come era caduto, e la sua espressione tradiva tutto il suo stupore per la reazione sproporzionata del maestro. Pierre gridò tutto il suo dolore per quella offesa al Mistero perpetrata dai suoi cari, in casa sua, e allargò il discorso anche a condannare l’astrologia, la chiromanzia e tutte le forme di superstizione popolare, dai telesmi alle statuine piangenti, dalle immagini miracolose alle preghiere infallibili.
Citò, sempre in modo furibondo, l’ “Adversus astrologos” di Pico della Mirandola e domandò loro, retoricamente, se dopo più di 600 anni dalla sua pubblicazione il mondo non avesse progredito di un centimetro e si cercasse sempre di interpretare gli eventi a partire dagli auspici, dal movimento degli astri o dalla casualità delle carte. No, era troppo umiliante! Urlò le sue ragioni con tutta la forza, incurante che lo potessero sentire dalla strada, poi, quando il fiato non lo sostenne più e cominciò a sentirsi esausto, riprese il cappotto ed uscì sbattendo violentemente la porta. Camminò come una furia per una mezz’ora senza avere una meta precisa, poi si appoggiò alla balaustra di uno dei tanti piccoli ponti e si abbandonò ad un pianto violento, liberatorio ma non consolatorio, che gli tolse anche le ultime energie. Rimase a lungo così, guardando i bagliori delle luci delle case rifrangersi nelle acque del gracht, infastidito dai rumori di una città sempre troppo gaudente e falsamente spensierata. Mentre l’umidità penetrava nelle sue ossa come un coltello, pensò ai “suoi” ragazzi e lo invase una profonda vergogna per averli aggrediti in modo tanto violento: per la prima volta si era lasciato andare all’ira in loro presenza e forse essi si erano sentiti delusi da un tale abuso d’autorità ed autorevolezza da parte del maestro. Si rese conto inoltre solo in quel momento di aver colpito un ragazzo da poco uscito dall’ospedale e ciò lo addolorò ed aumentò il suo disagio.
Non sapeva più come comportarsi: la sua ira di un tempo lo aveva ghermito e portato ad agire da collerico, non da padre. Le stesse parole che aveva detto, avrebbe potuto pronunciarle pacatamente, dopo aver ascoltato le loro ragioni. Già, ma quali erano queste ragioni? La furia si riaccese. Passava in un istante dal pentimento all’ira e viceversa e muoveva alcuni passi verso casa, altri nella direzione opposta, a seconda di quale stato d’animo prevalesse sul momento. Il ritorno a casa fu per lui un vero strazio e quando arrivò finalmente al portone, l’alternanza umorale non era cessata ed aprì la porta senza avere alcuna idea di come comportarsi, pronto a ricominciare la scenata se solo i ragazzi avessero fatto la più piccola allusione all’argomento.
Entrò dunque e, con i sensi all’erta, riappese il cappotto in ingresso: la casa era silenziosa. Senza dire una parola risalì la scala diretto al salone. Se li trovò di fronte (dovevano averne spiato il suo arrivo alla finestra) all’in piedi e muti. Li guardò senza dire nulla, ma solo per un istante, perché improvvisamente, mentre scrutava gli occhi di Catherine, due braccia lo strinsero con forza e quel ragazzo che aveva poco prima percosso lo abbracciò posando il capo sulla sua spalla. Piangeva. Pierre fu talmente sorpreso da rimanere impietrito: mai Carlos si era lasciato andare prima di allora ad un gesto d’affetto nei suoi confronti, mai lo aveva neppure toccato ed ora, con tutto il bisogno d’amore che gli sgorgava dal petto, lo stringeva a sé, incurante del dolore al braccio, e gli si abbandonava senza ritegno in un grande gesto di devozione.
Pierre tardò a rispondere a quell’abbraccio: era rimasto totalmente sorpreso e spiazzato dall’immediatezza di un gesto che valeva più di mille parole; cercò di nuovo lo sguardo delle ragazze, come per avervi un’indicazione o un sostegno e l’incontrò pieno di tenerezza e d’amore. Allora strinse anche lui Carlos, stando attento a non fargli male, e pianse come lui, senza ritegno, senza timore di essere visto dalle ragazze, accarezzandogli i capelli con tutto il dolore di chi questi gesti non aveva conosciuto da tempo incalcolabile. Le due amiche si scambiarono un piccolo cenno d’intesa e si unirono anch’esse all’abbraccio prendendo i due uomini in mezzo a loro e creando un gruppo unito, che un po’ piangeva e un po’ rideva, come se i sentimenti si fossero liberati di colpo dalla stretta della ragione e della convenienza. Rimasero così a lungo, quasi nessuno trovasse il coraggio di rompere questo momento nel quale per la prima volta si stavano dicendo il proprio reciproco amore. Il primo fu Pierre a cercare di staccarsi, prendendo il capo di Carlos tra le mani e dicendogli in preda ad una commozione irrefrenabile: ” Perdonami, figlio mio”.
Per Carlos fu come un colpo al cuore e tornò a cercare la spalla di Pierre per stringersi a lui, come facendosi piccolo, come recuperando momenti dell’infanzia mai vissuti.
Disse solo: “Ti ho cercato tanto!” e pianse nuovamente.
Ora fu Pierre ad essere colpito a fondo dalla frase del ragazzo: si erano appena detti il loro amore, la paternità dell’uno aveva trovato riscontro nell’affetto filiale dell’altro, ma egli sapeva che avrebbe presto dovuto lasciare questo figlio appena concepito e questo dette alle sue mani una disperazione intensa e fu un abbraccio d’abbandono e non di ritrovamento.
Ancora una volta fu Catherine a spezzare la commozione collettiva con un richiamo alla quotidianità:
– “Qui ci vuole un caffè!”
– “Dello champagne, ci vorrebbe!”- soggiunse Greta che aveva compreso molto bene quello che era passato tra i due uomini: ora erano veramente una famiglia!
Passarono giorni lieti, senza che nessuno facesse più menzione dell’accaduto. Le ragazze, un giorno, rifecero perfino il gioco dello spogliarello alla finestra, ridendo entrambe dell’espressione altrettanto giocosa di Pierre e dovevano aver raccontato la cosa a Carlos, perché Pierre se lo vide comparire alla finestra accanto alle due ragazze nude, col chiaro proposito di partecipare allo strip collettivo. Per un po’ Pierre stette al gioco, invidiando in cuor suo l’amico che poteva vedersi lo spettacolo da una posizione assolutamente privilegiata, ma, appena questi cominciò a spogliarsi, prima ancora che avesse finito di slacciare la camicia, chiuse la tenda ridendo, con l’aria di dire: “Questo proprio no, non lo posso sopportare!”
Solo una settimana più tardi, dopo aver sicuramente cercato a lungo l’occasione migliore ed aver soppesato le parole da dire, Carlos approfittò di un momento di solitudine col maestro e riaffrontò l’accaduto:
– “Pierre, volevo dirti, se me lo permetti, che condivido tutto quello che hai detto sulla cartomanzia e che per noi era solo un gioco e nulla più.”
– “Gioco pericoloso, non trovi?”
– “E perché mai? Se uno non ci crede….”
– “E tu perché fai qualcosa in cui non credi? Non lo trovi sciocco?
– “Tutte le cose divertenti sono sciocche!”
– “Su questo ti do ragione! Allora, spiegami: in cosa consiste il divertimento in questo caso? Nel farsi determinare il futuro da folli previsioni dettate dalla casualità?”
– “Ma no! Il gioco, e avevo chiarito alle ragazze che si trattava d’un gioco e nulla più, si chiama il “gioco della memoria dimenticata” e consiste nel richiamare alla mente fatti e sentimenti del passato che apparentemente sono stati dimenticati, ma che sono, invece, sopravvissuti nel subcosciente in forma di “personaggi interiori” ed influiscono sul presente della persona.”
– “In che senso “personaggi interiori”?”
– “Sono pensieri che hanno preso forma per essere stati molto tempo nutriti dalla persona, finché si sono trasformati in “corpo mentale”.
– ” Qui ci siamo: la teoria dei corpi mentali mi è nota, anche se non la condivido e trovo che mortifichi eccessivamente la libertà dell’individuo. Tu vuoi dire, per essere semplici, che in un ubriacone si forma col tempo la “forma mentis” dell’ubriacone, ossia la dipendenza da un’idea solo autosuggestiva, ma realmente capace di determinare il comportamento del soggetto anche contro la sua stessa volontà. Ma questa è psicologia: cosa c’entrano le carte?”
– “Le carte aiutano solo il soggetto ad osare d’entrare nella propria mente, più di quanto oserebbe fare in presenza di un terapeuta o di un sacerdote: sono solo uno strumento.”
– “Quindi non c’è evocazione di spiriti o forze soprannaturali?”
– “No, certo! Il soggetto mischia le carte ed il “terapeuta” ne estrae 10: ognuna di esse risponde ad un determinato archetipo e si suppone che sia il soggetto stesso, con la propria volontà, a far uscire una carta o l’altra. A questo punto il terapeuta azzarda l’ interpretazione analitica a partire dallo spunto dato dalle carte, cerca di individuare il problema e ciò che occorre fare per risolverlo.
Poi il soggetto è invitato a porre domande ed, in pratica, ad autoanalizzarsi, per vedere se gli elementi forniti dall’analista sono più o meno rispondenti alla propria interiorità, e a dare spessore alle intuizioni del terapeuta collegandole a fatti precisi della propria esperienza. Nessuna evocazione di spiriti; niente a che fare con astrologia, chiromanzia o cartomanzia strettamente intesa: non c’è nessun intervento del soprannaturale. E’ un mezzo per autoanalizzarsi.”
Pierre annuì, interessato.
– “A proposito, maestro, posso farti notare che nell’ira, quella sera famosa, hai fatto una citazione che era un vero boomerang contro quello che stavi dicendo?”
– “Oh, questa poi! E sarebbe?”
La gioia della disputa intellettuale sagace li stava riprendendo.
– “E’ verissimo che Pico scrisse una celebre confutazione dell’astrologia, ma dimentichi che egli stesso aveva una fede pressoché cieca nella cabala e nella magia!”
– “Questa è bella! E da dove tiri fuori questa convinzione?”
– “Non saprò nulla d’architettura, ma, via!, di letteratura qualcosina conosco! Esiste un bellissimo trattato scritto dal Massetani che analizza questa contraddizione in Pico: non lo conosci? ( G.Massetani “La filosofia cabbalistica di G.Pico della Mirandola”1897)
– “Mi costa orribilmente confessarlo, ma è così!”
– “E in quell’epoca, non c’erano solo i discepoli di Guido Bonatti ad occuparsi d’astrologia, bensì anche persone molto timorate di Dio!”
– “Sì, le vecchiette superstiziose.”
– “E qualche papa!”
– “Che stai dicendo?”- Pierre si avvicinò ancor più interessato.
– “Si dice che Paolo III riempisse d’oro l’astrologo Luca Gaurico e non facesse nessun concistoro senza che costui gliene avesse indicato il momento. E del resto Leone X stesso si vantò del fiorire dell’astrologia sotto il suo pontificato!”
– “Non stiamo parlando dell’epoca d’oro del cristianesimo!”
– “No, tutt’altro, visto che di lì a poco ci sarebbe stata la Bolla di Innocenzo VIII che scatenò, dieci anni prima della scoperta dell’America, la più grande caccia alle streghe che la storia ricordi!”
– “Sto prendendo lezioni di storia della Chiesa da te!”
– “Solo cultura libresca: nulla di cui vantarmi, però potrei citartene tanti di creduloni di quei secoli e non soltanto tiranni e dittatorucoli locali, ma uomini di cultura rispettatissimi dalle generazioni future fino ai nostri giorni.”
– “Ammetto l’improvvida citazione, ma questo non cambia ovviamente il mio giudizio sulla questione.”
– “D’accordissimo! Però queste mie carte “speciali”, concepite come un punto di partenza per un’auto-analisi del “paziente”, ti consentono di dirgli cose che pensi di lui e che altrimenti non potresti dirgli: e lui stesso, dopo, estrae dal suo subconscio segni di realtà sommerse che salgono così alla luce della conoscenza e cessano di fargli paura.”
– “Benissimo, allora credo proprio di doverti delle scuse e di avere molto esagerato nella mia reazione”
– “Credo dovesse accadere e che questo malinteso ci sia servito molto per chiarire i rapporti all’interno del nostro team.”
Disse proprio così: “team”, “squadra”, e Pierre ne provò una certa delusione, ma notò che forse era solo pudore nel riconoscere una condizione familiare da parte di un uomo che per scelta l’aveva abbandonata e ripudiata.
– “Hai ragione, penso anch’io lo stesso. E da una sofferenza è nata una gioia più grande ed una crescita spirituale in ognuno di noi. Ma, se è un gioco così innocuo come dici, oseresti farlo anche con me?”
– “Beh, mi metti in imbarazzo. Non so se mi sentirei libero di “suggerirti” delle zone d’indagine. Il terapeuta dev’essere nella “seduta” in una posizione di docenza e mi dici con che coraggio potrei ritenermi, anche solo per pochi minuti, superiore al mio stesso maestro? Sarebbe una finzione che rischiereb be di inficiare tutto l’esito!”
– “Strano pudore il tuo: ti sei appena permesso di correggermi su Pico non è vero? E quante volte mi hai parlato dall’alto della tua grande esperienza per criticarmi? Che succede, ora? Hai di colpo smarrito tutta la prosopopea?”
– “Mi stai sfidando?”
– “Bravo, questo è il Carlos che conosco, non il pavido ragazzino che indietreggia davanti al proprio limite!”
– “D’accordo, allora, ma senza condizioni: potrò dire tutto quello che vorrò!”
– “Ed io anche, visto che toccherà a me fare il grosso del lavoro! Sarà la prima volta che mi autoanalizzo in vita mia!”
– “C’è sempre una prima volta! Vedrai, scoprirai di te stesso cose molto interessanti!”
– “Ne dubito, ma mi piacerebbe davvero! A quando?”
– “Facciamo stasera?”
– “E…..le ragazze?”
– “Se non temi di sbilanciarti troppo, possiamo farle assistere!”
– “Perché no, non credo proprio che dirò cose molto riservate ma, se dovesse succedere, meglio che siano tutti presenti.”
Si strinsero la mano come due ragazzini per suggellare l’accordo intercorso ed ognuno tornò alle proprie occupazioni.
Pierre stava leggendo un testo astruso sull’uso del supporto cibernetico in ingegneria, ma non riuscì più a concentrarsi sul libro: che cosa gli era passato per la testa di chiedere di fare quel gioco stupido e pericoloso con Carlos? Se gli fosse scappato qualcosa della propria condizione? Avrebbe potuto dannarli alla sua stessa pena, sottraendo loro la libertà dell’elezione e dell’adesione “per fede” alla verità. Li avrebbe schiacciati con il peso di un’evidenza tale da essere insopportabile per le loro giovani menti. Respinse quasi con autoderisione queste supposizioni: ma di cosa si stava preoccupando? Si trattava di una gara di intelligenze in cui sarebbe stato di fronte all’amico solo al fine di ridicolizzare quel suo stupido gioco e le sue altrettanto stupide pretese analitiche. Chi avrebbe mai potuto scoprire il suo mistero? Chi avrebbe mai potuto indurlo a parlarne?
Su questo punto ristette un istante in riflessione: lui era davvero un uomo così sicuro? “Je ne suis pas un homme tellement sûr “: queste parole gli tornavano alla mente ora in tutt’altro contesto.
Molto tempo era passato, ma lui era veramente cambiato o se ne era soltanto illuso? E quelle volte che aveva sentito quella spinta interna a confidarsi con qualcuno? Erano solo momenti di particolare cedimento, o egli aveva una reale necessità di solidarietà e di compartecipazione? Ed a che prezzo? Non a quello di nuocere ancora alle persone più care! Mai! Piuttosto la fuga e la solitudine!
Era un gioco pericoloso, ma un gioco! Il Pierre “burlador” di un tempo stava tornando in vita, scappando tra le maglie strette della responsabilità paterna, e lo invitava al cimento, ben più lieve del resto dello scherzo fatto a Köln al papà di Greta o della sfida a se stesso di Lyon quando era a pochi passi dal corpo di Catherine nuda, soli, in casa della ragazza. In quell’occasione aveva corso davvero il rischio dell’infamia! Finora aveva sempre vinto ogni battaglia, ma sarebbe stato sempre così? Una sola sconfitta e sarebbe stata la fine! Era come un guerriero che combattesse per diletto, senza necessità, duelli rischiosissimi e godesse del rischio, perché, e di questo era sicuro, l’unica cosa che ormai gli desse piacere era quella sensazione di trionfo che seguiva ad ogni vittoria, quel suo guardarsi soddisfatto allo specchio, conscio del proprio valore. Solo la divinità sembrava non accorgersi dei suoi sforzi e non dargliene alcun merito: pagava ancora il prezzo di quell’unica volta, a Combernon, con Violaine……
Scacciò il pensiero dell’amata fanciulla con un gesto ampio del braccio, come se allontanasse un insetto in volo sopra la sua testa e decise di uscire a fare due passi. Gridò uno sbrigativo:
– “Esco!” diretto a chi fosse stato in ascolto e uscì per la strada.
Aveva una meta precisa! Era lui per primo stupito del riaccendersi dell’energia burlesca e vitale, che credeva sepolta dall’omicidio di Köln, e voleva approfittarne.
Ancora una volta aveva colto un’ispirazione al volo, sapendo che ogni buona idea dura lo spazio di un attimo: o la si sviluppa o muore. Incurante del fatto che l’ultima ispirazione avuta, sebbene gli avesse procurato un grande divertimento, era stata gravida di conseguenze nefaste, dal quasi infarto del povero Herr Fuchs alla tragedia compiutasi sotto quel maledetto ponte, si diresse al primo negozio di fotografia e comprò una macchina fotografica digitale, poi rientrò in casa frettolosamente.
Qui si chiuse in camera per alcuni minuti per studiare le istruzioni d’uso, quindi uscì nuovamente alla ricerca di soggetti da fotografare. Aveva sempre odiato la fotografia, perché, diceva, dà un’immagine artefatta e statica di ciò che è per sua natura in movimento ed è pertanto in se stessa una contraddizione: pretende di rappresentare la vita e le dà morte, sottraendole il movimento, come una collezione di farfalle che è in realtà una collezione di cadaveri. Ora, che cosa aveva in mente? Questa volta lo sapeva perfettamente! Fotografò di tutto, dai cigni alle anatre, ai gruppi di turisti, alle vetrine dei pub, ai ponti, alla stessa Chiesa Vecchia. Poi corse a casa e scaricò le fotografie sul computer. Non fu molto soddisfatto della qualità di definizione delle immagini, ma non importava! Ora era pronto per giocare! Sentiva un’eccitazione immensa ed era un’eccitazione tipicamente virile nel suo esprimersi fisico.
Cercò di calmare il respiro troppo agitato e poi salì in camera delle ragazze: bussò già aprendo la porta e le trovò sul letto, intente l’una a sfogliare una rivista, l’altra a guardare la televisione. Gli occhi di Pierre brillavano della luce misteriosa e trionfante del don Giovanni. Si era preparato la frase ad effetto; questa volta era lui ad imporre quel gioco che altre volte gli era stato imposto, lui a dominarlo, lui a sfruttare l’altrui imbarazzo, vendicandosi gioiosamente dei vari spettacoli alla finestra del bagno.
– “Ragazze, ho voglia di vedervi nude!”
La frase ebbe l’effetto di una bomba. Egli gioì moltissimo nel vedere il loro imbarazzo, il loro spiazzamento di fronte a colui che avevano appena imparato a riconoscere come un padre ed un’autorità morale e che aveva appena pronunciato parole che nulla avevano a che fare con il suo “ruolo”. Da sempre egli si era divertito a comportarsi improvvisamente in modo opposto a quello che la gente si aspettava da lui; era il suo modo di affermare la propria libertà da ogni schema e di far capire al prossimo che non era possibile classificarlo in alcuna maniera.
Adorava scandalizzare, ma se un tempo questo atteggiamento era generato da un profondo disprezzo verso i propri simili, immersi nel fango della stupidità, ora era completamente benevolo, un giocoso vendicarsi dell’impudicizia delle ragazze che molte volte aveva messo i suoi nervi a dura prova.
– “Mi hanno proposto una nuova costruzione e devo fare un affresco sull’amor sacro e l’amor profano. Ho bisogno di modelli femminili.”
– “E ti sei dimenticato come siamo fatte?” azzardò Greta.
– “No, ma vorrei prendere appunti precisi in varie pose, per potervi poi rappresentare nel dipinto. Sempre che a voi non dispiaccia!”
Non gli interessava realmente vedere le ragazze nude, ma era la sfida che lo affascinava: “Vediamo se lo fanno!”
– “Ma, non sapevo che dipingessi!” -provò a dire Catherine.
– “Certo”- mentì deliberatamente Pierre- “capita raramente, di solito affido ad altri l’incombenza, ma questa volta vorrei farlo io stesso.”
– “E chi di noi sarebbe l’amor sacro e chi il profano?”-riprese Greta, sempre senza accennare a togliersi i vestiti, cercando il modo per uscirne senza perdere la sfida, con umorismo ed intelligenza.
– “Voi sarete entrambi gli amori: nell’amor profano voglio rappresentare un’orgia, ovviamente senza particolari osceni; nell’amor sacro, una bellezza statuaria in contemplazione estatica. Ma non vi sentirete mica imbarazzate, vero?” –ora le stava provocando apertamente.
– “Quando mi avete regalato il vostro strip-tease alla finestra del bagno non lo eravate, né quando giravate semi-nude per casa mostrandovi senza pudore; perché dovreste esserlo adesso? Suvvia, non vi sto chiedendo qualcosa di sessuale, ma una collaborazione professionale, come modelle per un quadro.”
Le ragazze cercavano aiuto ognuna negli occhi dell’altra: non avrebbero saputo dire il perché del proprio imbarazzo. Forse perché l’iniziativa non era stata loro, perché non era un gesto che seguisse un loro desiderio, ma era imposto dalle circostanze e dalla volontà altrui? Pierre aveva ragione: gli si erano mostrate moltissime volte nella loro nudità, godendo dei suoi sguardi, sentendo il fremere del suo corpo e l’affanno del suo respiro. Greta, per esempio, ricordava benissimo quella mattina quando, uscendo dalla doccia, lo aveva incontrato nello strettissimo corridoio che conduce al bagno e, nel passare, scherzosamente aveva strofinato il suo corpo coperto solo da un asciugamano contro quello, vestito, di lui, avendo la prova materiale della sua eccitazione. Ora era lui a comandare il gioco. Che fare? Fare le vergognose adesso non aveva senso, ma quale scusa trovare per rifiutarsi?
Non venne loro in mente nulla e Catherine, che delle due era la più fragile, cominciò a togliersi la camicetta.
– “Non ci farai posare per ore, vero?”
– “Ma no, non si fa più! Solo pochi pittori costringono le modelle a stare immobili per ore! Farò alcune foto e poi sceglieremo insieme le migliori.”
Fotografie? Il gioco si faceva pesante: significava donare a Pierre la possibilità di mostrare il loro corpo a chiunque volesse, magari anche di trasmetterle a sconosciuti per via informatica. Se avessero accettato si sarebbero messe in una condizione di totale inferiorità. Questo voleva Pierre, ma non la loro sofferenza, per cui precisò subito:
– “Naturalmente voi sarete padrone di cancellare tutto ciò che non vi piace; io farò le stampe delle fotografie migliori, con la carta velina le ricalcherò facendo i modelli-base disegnati su carta, poi elimineremo le immagini, perché non pensiate che io possa farne un uso diverso.”
Alla parola “fotografie”, Catherine aveva di colpo smesso di spogliarsi: il cuore le batteva forte e cercava disperatamente conforto nello sguardo dell’amica. Greta invece ebbe la reazione contraria: riprese il dominio della situazione. Da sempre aveva desiderato posare nuda per un fotografo, ma non era così semplice perché avrebbe dovuto vincere la vergogna di denudarsi davanti ad un estraneo ed il timore che egli potesse usare le foto per fini suoi personali. Ma con Pierre era diverso: non solo non si vergognava più di lui, ma non chiedeva che di donarsi interamente a lui, fidandosi ed affidandosi ciecamente.
Questo era il momento: lui le chiedeva questa fiducia incondizionata e lei aveva l’occasione di testimoniarla con un gesto concreto. Iniziò a spogliarsi mantenendo lo sguardo il più possibile su Pierre, che, estratta la macchina fotografica, iniziò a scattare. Dapprima furono nudi immobili e statuari: le ragazze erano all’in piedi sul letto e lui, a pochi centimetri dai loro corpi, ma protetto dal filtro della macchina fotografica, ansimava leggermente e coglieva le migliori inquadrature della loro disinibita bellezza.
– “Ma che razza di macchina stai usando? Sembra un giocattolo!”-osservò Greta ridendo dell’apparecchio arancione, davvero poco professionale, che Pierre stava usando.
– “Portale rispetto; è una I-cam d’ultima generazione: trasmette direttamente al computer!”
Greta poneva il proprio corpo in pose classiche, molto studiate, orgogliosa della propria fisicità ed eccitata dallo sguardo di lui, mai così impudicamente vicino alle sue membra; Catherine, invece, che questo sguardo già aveva sopportato in altra occasione, non riusciva ad essere a proprio agio ed una volta di più sfigurava nel confronto con l’amica, dato che l’imbarazzo le impediva la spontaneità necessaria ad esaltarne le forme e la gioventù.
– “Bene, per l’amor sacro ho abbastanza materiale. Passiamo a quello profano.”
– “Cioè all’orgia?” – disse Catherine sempre più ansiosa.
– “Ma dai, ti stai preoccupando? Non l’hai capito che non c’è nessun affresco in programma e che il nostro Pierre ha solo voglia di guardarci indifese da vicino per mettersi ancor più alla prova e dimostrare una volta di più la sua superiorità ed il suo dominio di sé? Vedrai che alla fine ci darà l’apparecchio e non si terrà nemmeno le foto!”
Greta lo guardava furbescamente per cogliere il suo imbarazzo nel vedersi scoperto, ma Pierre sorrise misterioso:
– “Chissà! Può darsi tu abbia ragione come torto! La vita è mistero al quale aderire incondizionatamente! Dunque?”
– “Cosa dobbiamo fare?”- disse Catherine rinfrancata dalle parole dell’amica.
– “Mi affido a voi: assumete le posizioni più erotiche di cui siete capaci; penserò poi io a nascondere con foglie e piante le parti più intime nell’affresco.”
Si misero a giocare per i suoi occhi, senza pudore né malizia, in preda ad un ilarità infantile come quella di Catherine la prima volta che questo gioco pericoloso aveva avuto inizio. Pierre si difendeva celando il suo occhio dietro la macchina, senza saper bene cosa avrebbe fatto di lì ad un minuto, divertendosi ed esplorando l’anatomia di coloro che non trattava più come “figlie”, ma nuovamente come “amiche”. La nuova idea venne d’improvviso come sempre: chiamò Carlos e, nonostante le proteste poco sincere delle ragazze, lo coinvolse nelle fotografie chiedendogli di posare anch’egli, ma non nudo, di volta in volta come coppiere delle dee, come fauno o qualsivoglia personaggio mitologico.
Solo quando, per gioco, gli chiese di fare il puttino alato, scoppiarono tutti in una risata liberatoria che pose fine al trastullo. Fu allora che Greta si avvicinò a Pierre e fece un piccolo gesto, come per accarezzargli il capo, ma egli si ritrasse come un animale diffidente ed, esclamando: “andiamo a sviluppare!”, tornò in camera sua. Qui fu raggiunto da tutto il “team”: le foto vennero “scaricate” sul computer ed iniziò un gioco divertentissimo, grazie al programma che permetteva di ritoccare le immagini. Giocarono a cambiare i connotati, a trasferire il seno di Greta sul torace di Carlos, a deformare i contorni dei volti e delle membra, a cambiarsi il colore dei capelli e così via. Solo dopo più di un’ora Pierre disse di sentirsi stanco e di aver bisogno di un poco di aria fresca.
Uscì lasciando le foto in balìa dei ragazzi e dei loro giochi, come Greta aveva ben previsto, e cercò ristoro in una breve passeggiata verso la biblioteca. La sua mente ripercorreva ogni centimetro del corpo delle due assistenti e si sentiva eccitatissimo; aveva rischiato scioccamente ancora una volta di perdere il controllo, ma aveva nuovamente vinto e poteva guardare il proprio viso riflesso nelle vetrine e scoprirvi quell’aria di trionfo che tanto amava.
Ora avrebbe avuto un bellissimo ricordo per compagnia nelle notte solitarie che lo attendevano. Entrò in una agenzia di viaggi e prese un biglietto per Parigi per l’indomani.
“Mi credevo un eroe, lo giuro, ero fiero di me, della mia capacità di dominarmi, di controllare l’istinto che mi spingeva all’assalto, allo sfogo bestiale di una sessualità da sempre repressa. Ero vergine e condannato ad esserlo per sempre!
Eppure l’Assente non si impietosiva, non dava valore al mio sforzo, alle prove che gli davo di essere cambiato. Ogni rischio che correvo era per Lui, per attirare la sua attenzione sulla mia redenzione, sulla mia radicale trasformazione. Ora ero veramente un uomo “sicuro” per qualunque donna sotto la volta del cielo. Ma una cosa non avevo calcolato: non mi stavo misurando con donne mie pari; la mia verginità sarebbe stata messa alla prova solo dal confronto con un’altra verginità, con un’esistenza consacrata, come quella di Violaine.
“Qui êtes-vous, jeune fille, et quelle est donc cette part que Dieu en vous s’est réservée, pour que la main qui vous touche avec désir et la chair même soit ainsi flétrie, comme si elle avait approché le mystère de sa résidence?” (“Chi siete, ragazza, e qual è dunque questa parte che Dio in voi si è riservata, perché la mano che vi tocca con desiderio e la carne stessa siano tanto imputridite, come se essa avesse avvicinato il mistero della sua residenza?” P.Claudel- “L’annonce faite à Marie” prologo Ed.Gallimard)
Recitavo questi versi della mia condanna sempre più stancamente, rassegnato a non comprendere fino in fondo l’urgenza che li aveva generati in quella notte e li aveva portati sulle mie labbra. Cosa mi aveva messo in cuore il mio creatore? Perché non mi bastò il perdono della mia vittima? Perché la sua santità mi bruciò la carne e mi ottenebrò la mente?”
Pierre tornò a casa solo per cena e, dopo mangiato, si dispose alla solita lettura preparatoria al sonno. Si era dimenticato dell’impegno preso con Carlos o la sua vena burlesca si era esaurita ed egli deliberatamente intendeva sottrarvisi?
In ogni caso l’amico bussò timidamente alla porta e gli chiese se avesse cambiato idea, dicendogli che tutto era pronto e che sarebbe stata un’esperienza molto bella.
– “Ne dubito davvero! Comunque, ti ho dato la mia parola. Eccomi!”
Si alzò con fatica e raggiunse i tre ragazzi in sala. Il mazzo delle carte faceva già bella mostra di sé sul tavolo e l’impianto stereo rimandava una musica di sapore orientale, molto soporifera.
Sedettero l’uno in fronte all’altro, con le ragazze alla spalle di Pierre. Il maestro sembrava stanco e un poco annoiato: si vedeva che stava ubbidendo a un dovere, senza quell’ilare giocosità che l’aveva portato ad accettare, anzi a provocare la sfida con Carlos su un terreno a lui sconosciuto. Era sicuramente irrazionale mettersi in cimento lasciando all’avversario il vantaggio della scelta dell’arma e del campo e andando al duello per di più totalmente disarmato, ma era tanta la coscienza della propria superiorità che Pierre non pensò neppure per un istante che avrebbe potuto trovarsi in imbarazzo o, peggio, in condizione d’inferiorità, costretto a subire le “menzogne” dell’amico senza potersi difendere. Pensò unicamente a fare in fretta per tornare alla lettura, convinto che l’esperienza che stava per vivere non fosse altro che una stupidaggine indegna di considerazione. Scherzò con le ragazze, al fine di ritrovare la sua vena burlesca necessaria per divertirsi nella sfida, ma si sentiva stanco, come se l’eccitazione del pomeriggio avesse lasciato il posto ad una greve soddisfazione che necessitasse riposo e non nuove avventure.
– “Bene, l’allievo è pronto ad apprendere tutti i misteri che si celano nel suo inconscio. Dimmi cosa devo fare!”
– “Questo è il mazzo di carte di cui ci serviremo.”- disse Carlos indicando il mazzo sul tavolo.
– “Lo vedo, ma l’avrai già preparato con le carte migliori al posto giusto!”
– “Che fatica fai a fidarti! Rilassati: è solo un gioco! Sembri spaventato!”
– “Spaventato io? Ma se sono calmissimo!”
– “Ti sforzi di sembrarlo, ma il tuo disagio traspare evidentissimo.”
– “Questo non lo nego! Tutto ciò a cui non sappiamo rapportarci crea disagio, e questa “cosa” mi dà una sensazione di stupidità che non riesco a sopprimere.”
– “Ascolta, in qualunque momento tu possa desiderarlo, sospenderemo l’analisi! D’accordo?”
Questo ragazzino borioso lo stava sfidando: come poteva mettere in dubbio il suo coraggio senza sapere niente di lui?
Si rianimò e un sorriso ironico si stampò sul suo viso per rimanerci a lungo. Le ragazze assistevano in silenzio senza osare intervenire: sapevano che sarebbe stato un duello di intelligenze al quale erano chiamate ad assistere, ma non a partecipare.
– “Non ti preoccupare per me. Cosa devo fare?”
– “Spargi le carte sul tavolo con la mano sinistra.”
– “Perché proprio con la sinistra?”
– “Perché il lato sinistro è il lato dell’intuizione. La destra è il lato dell’intelletto logico, la sinistra dell’intuitivo.”
Pierre lo guardò come si guarda un pazzo, ma non disse nulla e cominciò a sparpagliare le carte, tenendo lo sguardo sull’avversario per prevenire qualsiasi possibilità di trucchi.
– “No, non così, da sinistra a destra, in senso antiorario.”
– “E questo perché?”
– “Perché il gioco ha delle regole che non ho fissato io e che occorre seguire: hai l’intenzione di continuare ad investigare su ogni particolare?”
– “Certo!” – disse Pierre sorridendo divertito.
– “Non ne dubitavo! Dai, muovi queste carte!”
Pierre lo cominciò a fare, sentendosi un po’ stupido, mentre Carlos incalzò:
– “Mentre le sparpagli, pensa alla domanda che vuoi porre.”
– “A chi?”
– “Alle carte! E a chi altro? Loro ti daranno il messaggio.”
– “Aha! Eccoci già al dunque: le carte hanno quindi intelligenza e volontà proprie e vaticineranno sul mio futuro!”- disse smettendo di spargerle sul tavolo.
– “Ti ho già detto che non è così! La mente del soggetto emana delle onde che fanno sì che vengano estratte alcune carte invece di altre.”
– “Superstizioni medievali travestite da new-age! Ma quali onde? Carlos, se vuoi che continuiamo devi rimanere nella linea di condotta che mi hai promesso: un innocuo gioco senza l’entrata in scena di forze spirituali di nessun tipo!”
– “E così è, ma devi darmi la possibilità d’operare, o hai paura?”
– “L’unica cosa di cui ho paura è la stupidità e qui ne intuisco l’inquietante incombenza!”
– “Rilassati. Pensa con intensità a ciò che vuoi chiedere!”
– “Alle carte?”
– “A te stesso! A te stesso, per tutti i diavoli! Chiedilo a chi ti pare, ma sii disponibile se no non combineremo nulla di buono.”
Carlos stava cominciando a innervosirsi e lo sguardo inquisitore e derisorio di Pierre lo poneva in evidente disagio.
Era quello che Pierre voleva: non aveva l’intenzione di ritirarsi, ma contava invece di riuscire a ottenere il ritiro dell’avversario per manifesta inferiorità. L’energia si era impadronita di lui nuovamente: era in lotta e non era disposto a tollerare nulla che non fosse razionale e chiaro, pur nella deresponsabilizzazione del gioco dichiarato.
– “Allora tutto dipende da come il soggetto sparge le carte: se lo fa in altro modo non si ripresentano le stesse! Dunque è tutto relativo e se si rifà il gioco una seconda volta alla stessa persona possono presentarsi carte totalmente diverse.”
– “Molte volte sono le stesse!” disse Carlos imprudentemente e con una certa perplessità.
Vedeva la trappola tesa dall’avversario, ma non sapeva come evitarla. Se avesse negato la possibilità di un’iterazione avrebbe automaticamente svalutato l’analisi, ammettendola si esponeva al rischio di una verifica che difficilmente avrebbe dato l’esito sperato.
– “Quante sono le carte estratte?”
– “Dieci.”
– “E tu vuoi che io creda che se ripetiamo l’esperimento mischiando in modo differente escano le stesse dieci?”
– “Può succedere!”
– “E può non succedere. Nel qual caso, cosa significa? Le carte si erano sbagliate prima o si sbagliano dopo?”
Pierre non intendeva rinunciare al vantaggio conseguito ed attaccava con tutta l’intensità possibile.
– “Possono cambiare alcune carte, ma il significato del messaggio sarebbe lo stesso!”
– “Messaggio da parte di chi?”
– “Di nuovo? Allora, vuoi o non vuoi fare il gioco?”- questa volta la voce era quella di Greta, che cominciava a mal tollerare lo sforzo di Pierre di procrastinare l’indagine.
– “D’accordo, d’accordo, sarò obbediente! Pensiamo…… Bene! Ho pensato alla domanda!”
– “Qual’ è?” chiese Carlos
– “Devo dirtela?”
– “Ovvio!”
– “E questo non ti influenzerà?”
– “No, procediamo!”
Carlos tradiva il nervosismo, quasi l’ira, in modo eccessivo, tanto che Pierre decise di dargli tregua e non gli fece notare come egli, raccogliendo nuovamente le carte in mazzo, le radunasse con le due mani vanificando pertanto la sua operazione di sparpagliamento ed imponendo alle carte un ordine diverso.
Si limitò a guardarlo con un sorriso ironico e misterioso, godendo nel segreto del suo cuore della difficoltà in cui l’aveva posto.
– “Chiedo qual è il problema che mi impedisce di conseguire ciò che desidero per la mia vita.”
– “Abbastanza enigmatico, non trovi?”
– “Cosa volevi che ti chiedessi? Quando troverò l’anima gemella?”
– “Ora taglia il mazzo!”- ordinò Carlos senza ascoltare la sua ironia ed aggiungendo subito, quasi per prevenire la domanda dell’avversario:
– “Perché lo dicono le regole….forza! Con la sinistra!”
– “Fatto!”
Questo gesto tranquillizzò Pierre: se prima, raccogliendo le carte, Carlos avrebbe potuto, riconoscendole dal dorso, individuarne alcune ponendole in posizione chiave, con questo “taglio” del mazzo i trucchi erano esclusi.
– “Allora, chiediamo qual è il problema che tiene lontano Pierre dalla felicità. Ora girerò la prima carta e d’ora in poi parlerò solo io in modo che tu non possa influenzare in nessun modo ciò che dirò: solo alla fine potrai porre domande o dire qualcosa che possa aiutare.”
Anche questo piacque molto a Pierre, che si sentì rassicurato e liberato dalla necessità di dire sempre qualcosa di furbo ed intelligente che ribadisse agli occhi delle ragazze la propria superiorità su Carlos. Il silenzio cui era costretto era una splendida opportunità di non commettere errori.
Carlos girò la prima carta del mazzo e Pierre subito trasalì non tanto per la bellezza del disegno che era rappresentato sulla carta, quanto per ciò che essa raffigurava, ovvero un uomo intento a flagellarsi.
– “La prima carta estratta è quella che indica il problema. Tu hai commesso qualcosa, e tutti noi sappiamo a cosa potrebbe riferirsi questa carta, per cui non sai e non vuoi darti pace. Ti autopunisci, sperando così di liberarti dalla memoria di quel gesto scontando una pena che tu stesso ti imponi. Ciò che ti ferisce, più ancora dell’accaduto in se stesso, è la constatazione che tu abbia potuto commettere un atto che non ritieni appartenga al tuo livello spirituale, che consideri di molto superiore a quanto espresso in questa occasione. E’ stata una caduta che ha rivelato al tuo spirito la possibilità d’una non corrispondenza tra la tua vera natura e l’immagine che ti sei fatta di essa. Tu ti incolpi di questa caduta come se fosse stata volontaria o fosse un fallimento provocato da un tuo limite invalicabile e non sai trarre da questo episodio una valenza positiva che certamente deve avere. Non ti giustifichi, guardi il fatto nella sua cruda e dura realtà e non lasci spazio alla misericordia verso te stesso. Non lo ammetti, non lo ritieni possibile e questo è la causa del tuo dolore, è il problema che stavamo cercando.”
No, non era quello il problema, non era quell’orribile omicidio che pesava sulla coscienza di Pierre come un macigno, ma questo Carlos non lo poteva sapere e Pierre fu ancor più contento del silenzio cui era costretto: fissò a lungo la carta ascoltando ciò che l’amico diceva. Questi stava inventando, era chiaro, a partire da quello che conosceva di lui; sapeva del dolore che gli aveva provocato la tragedia di Köln e riferiva ad esso la carta, ma Pierre no, Pierre la guardava con angosciato stupore, sentendo svanire ogni sua sicurezza e desiderando in cuor suo essere solo per riflettere su quale fosse il significato di quel disegno che pretendeva dire qualcosa di definitivo sulla sua esistenza.
– “La seconda carta che estraiamo indica ciò che il soggetto sente inconsciamente.”
La carta estratta aveva una coerenza innegabile con la precedente: raffigurava un tribunale. Davanti al grande banco dei giudici, che erano tre, c’era una ragazza a piedi scalzi.
Dietro ai giudici troneggiava un grande crocefisso, mentre il giudice centrale, forse il più importante, puntava il dito accusatorio contro la ragazza.
– “Questa carta riafferma il problema precedente: questa è la carta del tribunale della Santa Inquisizione. Nel tuo inconscio ti senti sotto processo per ciò che hai commesso, indifeso davanti alla potenza accusatoria della tua stessa coscienza, la quale basa la sua accusa su principi religiosi nei quali tu ti riconosci e che condividi. Pertanto non c’è via d’uscita, perché tu stesso conferisci a questo tribunale l’autorità di punirti con la più atroce delle sofferenze; tu sei allo stesso tempo il giudice e la vittima ed entrambi dipendono l’uno dall’altra in una perversa relazione di sofferenza e violenza.”
Carlos depose la carta un po’ più verso lui della prima e leggermente spostata lateralmente. Poi estrasse la terza.
– “La terza carta esprime ciò che si sente coscientemente.”
Essa raffigurava un angelo bellissimo e luminoso dietro al quale si nascondeva un angelo tenebroso.
– “Questa è la carta dell’angelo del male e del bene. Dietro allo spirito benevolo se ne nasconde uno maligno. Questo vuol dire che il male può nascondersi dietro al bene. Tu pensi di essere nel giusto e di operare secondo principi santi eppure, senza volerlo, commetti il male. Pensi di lavorare fianco a fianco con l’angelo del bene e invece lavori per il suo nemico che entra in azione in modo inaspettato. Di questo problema tu sei ben cosciente, anche se non sai cosa fare per risolverlo.”
Pierre stava facendo uno sforzo penoso per resistere alla tentazione di cominciare a dar credito alle parole dell’amico: doveva ammettere in cuor suo che finora costui, pur non conoscendo nulla della sua vita, lo stava analizzando in modo plausibile e gli stava fornendo elementi che meritavano di essere approfonditi, particolarmente quello dell’autopunizione, che Pierre non aveva mai preso seriamente in esame come qualcosa che potesse riguardarlo. Nel frattempo Carlos pose la carta al fianco della precedente ed estrasse la quarta.
– “Questa carta indica ciò che non capisci nella tua vita.”
Fu un colpo terribile per Pierre veder comparire sulla carta una fanciulla bellissima circondata da tutti gli stereotipi della purezza. “Violaine”, pensò, e un istinto irrefrenabile lo costrinse ad alzarsi per andarsene. Fu un attimo: subito sentì lo sguardo degli amici su di lui. Non dovevano scoprire niente! Si dette in cuor suo dello stupido: perché mai si era posto in una situazione tanto pericolosa, nella quale avrebbe potuto rivelare cose che solo lui ed il buon Dio, ammesso che se ne curasse, sapevano? Cercò disperatamente una scusa e l’unica che gli venne in mente nello stato in cui era, fu un’improvvisa necessità che lo obbligava ad andare in bagno. Così fece, approfittandone per bagnarsi il viso con l’acqua fredda e riprendere più energie possibili per affrontare le sette carte restanti. Quando ritornò, Carlos fece un veloce riassunto di tutto quanto aveva detto fino ad allora perché non andasse perso il senso del messaggio, ma lo sguardo di Pierre era fisso sulla carta estratta per ultima: ne era terrorizzato!
– “Questa è la carta della vergine. La vergine indica la purezza femminile: vedi questi simboli?”
Li vedeva benissimo, anche se avrebbe voluto essere cieco!
– “Il giglio, il mare, tutti simboli di purezza femminile. Tu non riesci a capire cosa sia la purezza perché, come hanno detto le prime due carte, sei troppo intellettuale e rigido per poterla comprendere. Essa è un dono che viene dal divino e non dall’intelletto, le cui leggi le sono estranee. Per questo tu, quando hai incontrato la purezza, hai tentato di distruggerla: perché era la tua antitesi, l’unione perfetta di spirito e corpo. Tanto più tu sei razionale nel tuo approccio con la tua volontaria astinenza, (perdonami se scendo così tanto nel personale ma seguo le carte e nulla più) tanto più sei distante dal comprendere le ragioni della verginità assoluta, supremo ideale di fusione tra anima e corpo in una perfezione che non potrebbe nascere nel mondo se non per intervento di un miracolo soprannaturale, perché essa non è del mondo.
L’intelletto è un valore intermedio tra spirito e fisicità e per quanto si sforzi, oscillando tra i due estremi, di comprenderli e fonderli in un’unità, rimane frustrato perché non ha la potenza creatrice del gesto libero ed assoluto del divino.
Tu hai incontrato la purezza suprema ed hai cercato di possederla, però con sistemi umani, con una metodologia di approccio fisica e materiale, dettata dall’intelletto, che ti ha bruciato nell’atto stesso in cui bruciava la vittima del tuo atto distruttivo. Questo può riferirsi ad una persona, ma anche ad un’idea, a qualcosa di immensamente puro, ad un valore.
La vergine non appartiene a nessuno: è un dono, è un essere con qualità divine che non possono essere possedute da un essere umano, per molto evoluto che sia. Tu non hai potuto toccarla, perché lei era dono purissimo di Dio, aveva le qualità del divino in sé. A queste qualità l’essere umano non ha accesso.”
Chi era quest’uomo? Come poteva parlargli così, prendendo chiaramente pretesto da una lettura giocosa delle carte per analizzarlo talmente a fondo da lasciarlo senza respiro? Si era perfino permesso un riferimento alla sua castità: e lui che pensava non l’avesse notata! La sua scarsa dimestichezza con le relazioni umane fece sì che Pierre si sentisse smarrito, totalmente in balia delle parole dell’amico. Questi stava certamente approfittando della situazione per dirgli ciò che altrimenti non avrebbe mai osato dirgli ed egli era allibito constatando di non essere, come credeva, invisibile o impenetrabile alla sua “famiglia”, ma che i suoi compagni lo conoscevano ben più di quanto egli conoscesse loro e, senza dubbio alcuno, lo amavano profondamente. Gli occhi di Carlos, intanto, erano puntati sul suo viso per scrutarne ogni minima reazione che avvalorasse ciò che l’improvvisato terapeuta stava dicendo. Per questo si soffermò tanto a lungo su questa carta: aveva letto sul viso di Pierre l’emergere di un dramma sconosciuto che forse era all’origine della sua incompresa e irragionevole castità e sperava che egli si tradisse e finalmente si fidasse tanto da confidarsi con coloro che erano partiti con lui lasciando tutto per seguirlo. Pierre abbassò il capo per sottrarsi a questo sguardo penetrante come una lama di fuoco: il sorriso era scomparso dal suo viso; se avesse potuto, avrebbe voluto evitare la lettura delle carte seguenti, ma una forza potente lo teneva legato alla sedia e lo costringeva a vedere il suo volto riflesso in modo inusitato nelle parole dell’amico. Ogni dubbio era scomparso e stava dando credito a quelle parole: forse lo avrebbero potuto aiutare, forse davvero avrebbe scoperto il segreto della sua condanna.
– “La quinta carta indica qual è il tuo atteggiamento verso gli altri. Questa carta è quella della gabbia d’oro: come vedi, rappresenta un uomo che sta all’esterno di una grande gabbia dorata nella quale è rinchiusa una ragazza. Egli è il suo padrone e non le fa mancare nulla: vestiti meravigliosi, perfino un trono, a patto però che non esca dalla gabbia; lei è molto infelice perché non ha libertà. Anche lui però non è felice, perché ha le chiavi della gabbia, ma se l’aprisse perderebbe l’amata: è così costretto, per poterla guardare, a tenerla rinchiusa e a non poterla toccare. Lei dipende da lui e lui da lei ed entrambi sono infelici perché la gabbia li separa.
Tu sei entrambi i personaggi di questa carta, sono due parti di te: tu ti condanni e sei vittima della condanna, come già abbiamo visto in precedenza, e ti relazioni allo stesso modo con le persone: dai loro tutto, purché non escano dalla gabbia in cui le hai messe per poterle guardare ed amare da lontano, solo con gli occhi.”
Una mano, una piccola dolcissima mano passò lievemente tra i capelli di Pierre ed egli, per la prima volta, non si ritrasse, ma lasciò fare, senza sapere quale delle due ragazze avesse intuito il suo dramma e volesse, con un piccolo gesto dei semplici, fargli sentire la sua tenerezza ed il suo amore perché egli ne avesse conforto.
– “La sesta carta è molto importante.”- e Carlos la pose più avanti delle due precedenti. “Essa indica ciò che devi assolutamente sacrificare per ottenere ciò che chiedi. Vediamo! E’ la Fenice, che muore e rinasce sempre dalla propria cenere. Questo è quello che tutti noi vogliamo: rinascere molte volte, avere sempre un’altra possibilità. Ma, nel tuo caso, è come se tu già vivessi questa realtà e la dovessi invece abbandonare, perché essa è il supremo ostacolo al conseguimento di ciò che vuoi. Pensa a qualche occasione in cui hai dovuto cambiare tutto: un viaggio, un allontanamento radicale. Ora devi abbandonare questa possibilità.”
Perché la voce di Carlos tremava leggermente nel dire queste parole? O fu un’impressione di Pierre, che godeva commosso del contatto dolcissimo con quella piccola mano che continuava instancabilmente a passarle le dita tra i capelli? In ogni modo fu evidente che anche Carlos aveva perso molta della sua baldanza iniziale, molto del suo atteggiamento di sfida: sembrava che dal cimento stessero uscendo entrambi sconfitti. Carlos si rianimò ed estrasse la settima carta: quella che indica la situazione che si libera se si elimina l’ostacolo precedente.
– “Se rinunci a risorgere continuamente dalle tue stesse ceneri ti trasformerai in un templare, un cavaliere santo, un guerriero che combatte per qualcosa di grande e valoroso e si realizzerà ciò che indicano le ultime tre carte.”
– “Stai dicendo che puoi prevedere il mio futuro?” disse Pierre con una voce da oltretomba, che si era arrochita con il silenzio ed il tormento interiore.
– “Sì, resisti ancora un minuto!” –rispose Carlos con una tenerezza inusitata nella voce. -“Se farai quanto ti è richiesto dalle carte, si realizzerà questo!”- ed estrasse le ultime tre carte in un colpo solo.
– “Abbiamo estratto il “pazzo in libertà”, il “salto del pazzo” e “S.Francesco”. La prima significa che sarai completamente libero dalla materia e da ogni condizionamento umano e sarai salvo. Il pazzo è colui che può dire e fare ciò che vuole perché non deve più render conto a nessuno ed è totalmente indipendente dal giudizio del tribunale che abbiamo incontrato all’inizio. La seconda carta ci riporta lo stesso personaggio che però salta al di sopra di un burrone, cioè da una condizione all’altra, lasciando tutto il passato dietro a sé. Vedi infatti che in questo disegno non ha la borsa che egli porta sempre con sé nelle altre carte in cui compare. Ha lasciato tutto e salta da una roccia all’altra, senza sapere cosa troverà al di là; salta ed è felice del salto. Questa carta esprime un grande e lieto cambiamento, una trasformazione radicale e profonda, realizzata prendendosi il rischio di saltare dall’altra parte prima di sapere cosa si incontrerà.
L’ultima carta, infine, esprime l’ideale fusione tra uomo e natura che si realizzò nel grande santo di Assisi, un’armonia che si nutre di silenzio, che non ha bisogno di parole per esprimersi. La natura avvolge l’umano e l’uomo ne comprende le leggi, sperimentando, in questa immersione creaturale, la felicità dell’abbandonarsi alla verità di sé.”
Carlos, a questo punto, si rivolse all’amico che teneva il capo chino e gli occhi fissi sulle carte e sembrava meditare.
– “Bene, abbiamo finito! Ora, puoi parlare e dirci se l’analisi ti sembra pertinente e se necessiti chiarimenti sul significato del messaggio.”
Pierre prese tempo, quasi dovesse riordinare le idee, e si aiutò con un grande sospiro che preludiò alle sue parole e sgombrò la mente da tanti fastidiosi interrogativi. In un istante, si rimise la maschera dietro la quale era abituato a nascondersi e ritornò ad essere quello di prima.
– “Eh no! Se permetti, ora vorrei verificare se con una nuova estrazione escono di nuovo le stesse carte o no. Questo è molto importante perché io possa valutare tutto ciò che hai detto!”
Carlos rifece per altre due volte l’intera analisi e solo poche carte ricomparvero, in posti differenti della sequenza. Solo tre carte: la Fenice, la vergine e S.Francesco ricomparvero tutte e due le volte. Ma anche le carte differenti, alcune delle quali molto interessanti ai fini dell’autoanalisi di Pierre, come quella della Medusa che esprime una punizione da parte di una divinità cui si cerca di scappare, o quella del provocatore, così simile a lui nei momenti nei quali era colto dalla sua vena di “burlador”, o quella della marionetta i cui fili sono mossi da altri, si rivelarono perfettamente corrispondenti alle precedenti, tanto che l’analisi di Carlos non cambiò di molto. Era evidente che questi stesse cercando con tutte le risorse della propria fantasia di non svilire l’efficacia della propria analisi con il riconoscimento d’una sostanziale diversità tra le varie estrazioni e valorizzasse tutto ciò che era a favore di una conferma del precedente messaggio, censurando tutto ciò che lo contraddiceva. Pierre glielo fece notare, non tanto per infliggere una sconfitta al rivale, quanto per sottrarsi all’obbligo insidioso di commentare le sue indicazioni, e da questo sorse una discussione dalla quale Pierre riuscì ad uscire solo ricordando che il suo viaggio, previsto per il giorno seguente, esigeva un buon riposo. Salutò e, scuro in viso e raccolto nei propri pensieri, prese congedo dal gruppo per ritirarsi nella propria camera. Non si distese subito sul letto, ma sedette sulla poltrona a lungo, tanto il vortice dei pensieri gli rendeva impossibile anche solo l’idea del riposo. Aveva la chiara sensazione che quel gesto stupido, quella sua sfida al proibito e all’intelligenza “diversa” del compagno, fosse in realtà stato uno dei momenti più importanti della sua esistenza. Stava a lui, ora, trarne le conclusioni, rielaborando i contenuti dell’analisi dell’amico. Le carte erano un pretesto, ora ne era certo, visto che i contenuti non erano mutati col loro avvicendamento! Dunque il “terapeuta” ne approfittava, ne traeva spunto per dire al “paziente” ciò che intuiva o sapeva sulla sua vita interiore. Non era nulla più di questo: ma quanto si era avvicinato Carlos al suo segreto! Sembrava quasi che ne fosse a conoscenza! E quel riferimento alla castità, così penetrante ed inaspettato! Dunque i suoi ragazzi ne dovevano aver parlato tra loro, con preoccupazione e amore, vedendo in questo un’infermità laddove Pierre era convinto apprezzassero un nobile eroismo!
Pierre doveva fissare nella memoria i termini di ciò che si era trovato ad ascoltare: per la prima volta nella sua lunga sopravvivenza si era visto con gli occhi di un altro e i contorni che questi aveva in assoluta buona fede delineato non corrispondevano al quadro statico e monocorde che egli si era dipinto di se stesso. Doveva prestar fede? Si era lui stesso dunque imposto la condanna? La cosa gli parve perfino troppo stupida per essere considerata! Lui non poteva né invecchiare, né morire! La sua energia umana sarebbe stata capace di tanto? Aveva involontariamente vinto la morte? Sciocchezze! La prima carta era del tutto erronea e tutta la costruzione successiva poggiava su questo instabile piedistallo. Lui non nutriva misericordia verso di sé, certo, ma quei segni nella carne che rendevano perenne il ricordo della sua ignominia, come un marchio d’infamia, non se li era certo dati da solo! Aveva cercato di possedere il divino, e non c’era dubbio che Violaine avesse questa qualità in sé e che a lui non fosse permesso accostarvisi, ma perché Dio avrebbe dovuto accanirsi tanto contro di lui? Il suo peccato era dunque tanto grave agli occhi di Dio da non meritare misericordia?
E cosa c’era di tanto grave in un minuto di follia amorosa, in un gesto maldestro di violenza che non aveva avuto nessuna conseguenza se non quel minuscolo taglio sul braccio della ragazza, fatto con quel coltello con cui la stava minacciando di morte se non si fosse concessa? E coloro che violentano e uccidono davvero, allora? Non bastava averlo punito con la lebbra? Doveva anche prolungare all’infinito la sua pena in terra, come se già fosse all’inferno, inghiottito per quell’unico istante di follia dopo una vita trascorsa a lodare Dio con i templi che edificava? Forse era stata la santità dell’oggetto cui si era voluttuosamente accostato a perderlo, quella divina creatura capace di morire per lui, dopo averlo perdonato, baciandolo nell’istante in cui gli diceva addio e contraendo volontariamente la sua stessa malattia per poterla condividere! Quella madre santissima nel corpo di una fanciulla era proibita alla sua passione, perché Dio l’aveva riservata per sé! Ma allora, coloro che uccisero il suo Divin Figlio? Egli stesso dalla Croce aveva avuto parole di perdono e di speranza! Perché verso di lui tanto rigore? Solo perché, come aveva detto Carlos, le si era accostato in maniera intellettuale e fisica? Non poteva negare di esser intellettuale nell’approccio con la sua sopravvivenza, ma era stata questa, con la sua eccezionalità, a costringerlo a passare le giornate a riflettere per cercare di comprendere e trovare il modo di fuggire al proprio destino o di compierlo e trovare riposo. Lui, l’essere impuro, aveva osato tentare un approccio carnale con una dea?
La sua mano aveva sfiorato il Sacro Santuario?
Lo sguardo non riusciva a posarsi sul libro che si illudeva di poter leggere per trarne un preludio al sonno necessario e si fissava invece su piccoli particolari del soffitto, su un grumo di polvere in un cantuccio, sui vetri del chiostrino al di là del quale non c’erano in quel momento le ragazze, che dovevano essersi trattenute con Carlos a commentare l’esito della “seduta”. Era uno sguardo vuoto, assente, il suo; la concentrazione era tutta rivolta ai particolari di ciò che l’amico aveva voluto fargli intendere. Di colpo ebbe un’intuizione che prontamente raccolse. Non poteva Carlos essersi equivocato ed avergli attribuito qualità umane che egli in realtà non possedeva? Non era egli vergine come la fanciulla stessa? Non era egli chiamato con una predilezione particolare ad un destino assolutamente eccezionale? Perché Violaine, che non lo amava, aveva voluto morire per lui, se non avesse letto nella sua esistenza la stessa impronta che qualificava la propria?
Gli venne in mente di aver letto un libro, tempo addietro, che purtroppo ora non aveva con sé; era un testo stupido di leggende e miti senza fondamento, ma lo aveva colpito la capacità suggestiva di un breve racconto che aveva come assunto principale la dimostrazione della teoria delle anime gemelle. Sosteneva l’autore che le anime sono unite a coppie in quel mondo da cui proveniamo e divise in terra da una volontà misteriosa che le fa nascere in località a volte molto distanti: esse sono identiche e passano la loro esistenza terrena a cercare di ricongiungersi, ma se questo accade si distruggono reciprocamente, perché la loro corporeità non può sostenere l’impatto potentissimo della riunificazione. Niente più di un assunto poetico, se non altro originale, ma Pierre ora, fissando nel vuoto del chiostrino si chiedeva se lui e Violaine non fossero parti di uno stesso intero e per questo, solo per questo, lui fosse stato costretto da una forza interiore ineludibile a tentare di nuocerle e quel breve contatto tra loro avesse prodotto un incendio che li aveva bruciati entrambi.
Sinora lui aveva cercato il perdono confrontandosi con donne che non avevano le qualità del divino; per questo tutte le sue rinunce, tutte le prove di redenzione che mostrava al cielo nella speranza di una risposta non avevano alcun esito ed erano degne solo perché gli impedivano di macchiarsi di una colpa ancora più grave: quella della contaminazione di un’innocente. Non si era misurato in un campo affine, per questo era senza perdono e si aggirava come un fantasma, morto tra i vivi, vivo tra i morti! Ma quale altra creatura avrebbe potuto paragonarsi a Violaine? La chiamò col pensiero, come più volte aveva fatto senza risultato; la supplicò di ritornare per un momento solo in terra, per dargli pace, per salvarlo. Fu in quell’istante che udì bussare sommessamente alla porta. Sapeva benissimo chi veniva a disturbarlo a quell’ora tarda ed intuiva il motivo che lo spingeva.
– “Entra, Carlos!”
Carlos entrò con circospezione nella stanza semibuia e si pose a ridosso della libreria, all’in piedi, avvolto dall’oscurità.
– “Vieni a vedere gli effetti del tuo gioco?”- lo provocò Pierre- “Mi trovi pensieroso, lo ammetto: alcune cose che hai detto sono state molto interessanti, anche se lontane dal vero!”
Mentiva sapendo di non essere creduto.
L’amico non si mosse e tacque come un attore che avesse dimenticato la parte da recitare o fosse entrato in scena fuori tempo.
– “Bene, hai intenzione di rimanere in silenzio? Mi stai quasi impressionando, lì al buio, sembri un fantasma triste!”
Carlos tacque ancora per un tempo, tanto che Pierre si volse a guardare, sforzandosi di penetrare l’oscurità, poi, con voce profonda, disse:
– “Chi sei, Pierre?”
– “Come “chi sei”? Vivi con me da tempo e sai benissimo chi sono”- rispose il maestro temendo l’approssimarsi di un grande pericolo.
– “Intendo dire “in realtà”, al di là di questo personaggio che reciti per il tuo gusto e l’altrui disillusione. Chi sei, Pierre?”
– “Confesso di non saper che dire” – provò a rispondere l’altro -“mi stai imbarazzando e ponendo a disagio: non capisco cosa dici. Puoi essere un po’ più chiaro?”
– “Ciò che ho detto, di sopra, poco fa, era solo una parte di ciò che ho letto nelle carte, Pierre!”
– “Ancora queste sciocchezze, Carlos?- provò a dire Pierre combattuto tra la visione netta del pericolo e il dubbio che le cose che l’amico avrebbe potuto dirgli potessero aiutarlo ad uscire dalla sua gabbia.
– “Abbiamo fatto il gioco, ho ammesso che è stato interessante e che sei un abile mistificatore, ma adesso basta, ti prego, domani ho un viaggio da fare.”
– “Non tornerai più, vero?”
– “Ma sì che tornerò, cosa ti viene in mente?”
– “Devi scappare un’altra volta, già si avvicina il momento della morte della Fenice!”
– “Ma di che parli?”
– “Dimmi il tuo segreto, Pierre, quello che ho letto nelle carte è terribile e parla di un destino di maledizione e di santità, di una colpa imperdonabile e di un’eccezionale prossimità al divino.”
– “Hai detto cose diverse, prima!”
– “Perché non eravamo soli; ma ora dimmi, ti prego, chi sei e come ti posso aiutare, perché io ti sono devoto, Pierre, come un figlio al proprio padre, ma non c’è amore senza conoscenza e condivisione.”
– “Mi sembra d’averti già permesso di conoscermi anche troppo!”
– “Non ti fidi di me?”
– “Non è questo! Ho un segreto, questo è vero, ma deve rimanere tale e questo è tutto, perché è un segreto che porta dolore a chi ne viene a conoscenza ed io non voglio che tu soffra, non voglio che tu dia la tua vita per me.”
– “Dovresti lasciare a me la libertà di decidere!”
– “E perché mai? Cosa so di te, io? Quando mai mi hai raccontato del tuo passato, della tua famiglia, di ciò che ti ha portato a vivere sotto quel ponte, dei tuoi amori, delle tue delusioni, dei tuoi peccati? Noi ci siamo conosciuti ad un certo punto del cammino e ci siamo aiutati a fare qualche passo insieme; questo è tutto.”
– “D’accordo, non insisto! Ma così tu te ne vai e io non potrò ricambiare ciò che hai fatto per me. Tu mi hai dato una nuova possibilità nella vita, mi hai fatto vivere la tua esperienza di Fenice generando in me una speranza di un destino migliore, e tutto questo perché? Solo per poi abbandonarmi qui con le ragazze a pensare a ciò che avrei voluto dirti se avessi avuto più tempo? “
– “E cosa sarebbe?”
– “Ti fidi di me?”
– “Mi sembra di avertelo sempre dimostrato!”
– “Allora avvicinati ed ascoltami bene; farò come dici : non ci diremo niente l’uno dell’altro; se è questo che vuoi questo avrai! Saremo due misteri contigui, ma mi devi dare la tua parola che ti terrai in contatto quando sarai lontano.”
– “Ma certo, credi che non sentirò la vostra mancanza?”
– “Ora sediamoci qui ed ascolta”
Sedettero sul letto e Carlos estrasse un nuovo mazzo di carte, diverso dal precedente, e si accinse a mischiarle.
– “Ancora, Carlos?”
– “Ssst, fidati, non giudicare, non ragionare; solo ascolta: sono carte speciali che mi ha dato un’amica. Valuterai poi se quello che diranno può essere valido o no per te.”
– “Non è un gioco questa volta, vero?”
– “No!” –Carlos si raccolse in meditazione e ristette a lungo in silenzio, poi estrasse alcune carte, dai disegni fortemente enigmatici e bellissimi. Non le guardò nemmeno: chiuse gli occhi e disse con voce che non sembrò essere la sua tanto era profonda:
– “La Fenice morirà definitivamente nel mare, al tramonto, quando l’angelo del bene la condurrà alla cattedrale, a una cattedrale che non conosce e della quale non ha mai sentito parlare, la più bella che esista sulla terra perché nessun uomo l’ha costruita, ma Dio stesso l’ha edificata per sua gloria e l’ha posta tra le acque del perdono. Lì la Fenice troverà pace e riposo e l’angelo la solleverà fino al cielo, laddove si fonderà con il sole morente. Ora non le è dato sapere dove questo luogo si trovi. Il tempo però è vicino, molto vicino.”
Tacque e per alcuni istanti si udì solo il rumore del loro respiro ansimante: Carlos uscì dalla trance lentamente e solo a questo punto fissò Pierre con grandissima intensità; i suoi occhi, illuminati dal basso dall’unica lampadina accesa, sembravano emettere fasci di pura luce ai quali era impossibile nascondersi.
Pierre tremava impercettibilmente.
– “Carlos?”
– “Dimmi!”
– “Vorrei davvero poterti dire il mio mistero e vorrei così poter conoscere il tuo, ma, credimi, non mi è possibile.”
– “Lo so, non ti preoccupare!”
– “Vado a Parigi solo per pochi giorni e ritornerò, ma quello che hai detto è vero: presto vi lascerò per sempre.”
– “Baderò io alle ragazze, ma fatti vivo, ogni tanto: possiamo averne bisogno.”
– “Ho già provveduto a che abbiate il denaro necessario per la scuola e per voi: non vi mancherà nulla!”
– “Ci mancherai tu!”
– “A questo non c’è rimedio!”
– “Lo so!”
– “Carlos?”
– “Sì?”
– “Sei la prima persona che abbia veramente amato!”
Il ragazzo gli buttò le braccia al collo ed il suo pianto senza controllo gli disse più di ogni parola che questo amore era ricambiato. Stettero così a lungo, poi Carlos si riscosse e fece per uscire dalla stanza.
– “Non mi dimenticherete, vero?”
– “Mai! Mai!” – ed uscì avviandosi verso una notte insonne.
Rimasto solo, Pierre spense la luce e si buttò sul letto vestito: un sonno profondo ebbe presto ragione della sua commozione.
FINE OTTAVA PUNTATA
la prossima puntata Sabato 2 Settembre
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Marcello Lippi.
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa