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In Italia c’è tanto lavoro, ma forse non conviene dirlo

Postato il Novembre 6, 2016 Germano Milite 0

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So già di aver titolato questo mio editoriale in maniera provocatoria, ma ci tengo fin da subito a precisare un dettaglio fondamentale: credo fermamente in ciò che ho scritto, che vale almeno per il settore nel quale opero oramai da oltre 10 anni, ovvero quello del giornalismo e della comunicazione online.

Ho 30 anni da poco compiuti, un’abilitazione come “giornalista professionista” (che ovviamente non fa di me in automatico un giornalista), due università frequentate con media del 28 e nessuna laurea conseguita. Faccio un lavoro che amo, senza essere stato costretto ad emigrare e a raccontare l’ennesima storia da (presunto?) “cervello in fuga”. Vivo da solo già da qualche anno, guadagno bene e le mie prospettive di crescita professionale sono esaltanti. Mi occupo, tra le altre cose, di selezione e formazione del personale: un’attività che mi piace moltissimo.

Il motivo? Mi permette di capire le discrepanze talvolta clamorose tra mondo reale e mondo percepito dai più giovani che si approcciano al mio settore. Un settore relativamente florido persino in Italia, in perenne crescita e che necessita ogni giorno di nuove figure qualificate che, udite udite, per essere ritenute tali non hanno bisogno di titoli, pezzi di carta, abilitazioni, costosi master e via discorrendo. Vi ho raccontato una piccola parte di ciò che sono e faccio, infatti, non certo per una patetica vanteria (anche perché non vi sta scrivendo il nuovo Mark Zuckerberg), ma esclusivamente per tentare di spezzare la retorica lamentosa e provincialotta che sta rovinando le vite di troppi “studenti e stagisti eterni”, relegati alla frustrazione perpetua da un mondo che per ragioni di business è rimasto incagliato negli anni 70 e che dice loro una cosa semplice, martellante e fuorviante: se studiate in maniera acritica e teleguidata fino a 22-23 anni almeno, investendo anni e migliaia di euro in “formazione”, farete contenti i vostri genitori e avrete automaticamente diritto/accesso ad un posto di lavoro dignitoso.

CHI SI LAUREA, IN MEDIA GUADAGNA DI PIU’ MA…

Del resto i dati parlano chiaro: sebbene il prestigio della laurea sia drammaticamente calato con l’inflazione accademica ed i titoli siano stati regalati anche ad autentici inetti, chi finisce l’università con successo in media guadagna di più di un semplice diplomato. E verrebbe anche da dire:“Ci mancherebbe”, dati i sacrifici economici e personali che si fanno per conseguire un titolo accademico, tra libri malscritti, esami “clonati” alla specialistica e nei master, docenti talvolta mediocri e sadici ecc. Tuttavia, anche se ovviamente è sempre consigliabile avere una laurea, soprattutto nel mio settore di riferimento, tale pezzo di carta non è che la ciliegina su una torta che dovrete preparare, cuocere e servire da soli. Perché una torta senza ciliegina è sempre una torta da poter gustare fino ad essere sazi, mentre una ciliegina senza una torta ed in mezzo a migliaia di altre ciliegine è, appunto, solo una ciliegina che non potrà mai appagare l’appetito. Nella mia esperienza, avendo tra l’altro anche tenuto lezioni in università italiane e straniere, non ho mai avuto bisogno di vantare un titolo. Ciò che mi accreditava e mi portava costantemente lavoro era la mia esperienza pregressa, il mio portfolio, il mio “personal branding” e le mie competenze verificabili. Insomma: quello che avevo fatto, sapevo fare ed il modo in cui mi proponevo al mondo del lavoro. Non serviva altro ed altro non mi veniva mai neppure richiesto.

QUANDO LO STUDIO DIVENTA UN ALIBI…

Chiariti questi aspetti cruciali, c’è da affrontare un altro tasto dolente che i retorici acritici dello studio in accademia omettono sistematicamente di citare: per molte persone, studiare all’università fino a 26-28 o anche 30 anni senza collezionare mai significative (e difficili) esperienze professionali, è prima di tutto un alibi per non affrontare il complicato e talvolta selvaggio mondo del lavoro, ovvero la vita vera. Mamma e papà sono comunque sereni e tanto fieri di vedere i loro figli con la corona d’alloro in testa, fanno loro una bella festa per il 92 in “Scienze delle Comunicazione” preso con 2 anni di fuori corso e pace. Qualche mese dopo, finiti i festeggiamenti e sfumate le vacue aspettative, iniziano le lamentele post-risveglio: quel titolo, costato migliaia di euro e tanto tempo libero, non mantiene le promesse fatte e mandare un cv in formato europeo “stranamente” non basta per ottenere un lavoro da 2000 euro al mese netti di paga base. “Eh ma in Italia vanno avanti solo i raccomandati ed i figli di”, comincia così ad essere intonato come mantra di auto-esclusione da ogni responsabilità e scelta sbagliata, da ogni temporeggiamento eccessivo e da ogni clamorosa e ripetuta miopia; da ogni mediocrità esistenziale ed anche formativa. Se fai ciò che fanno tutti e diventi solo uno dei tanti ingranaggi agevolmente sostituibili, non puoi aspettarti di essere trattato come eccellenza, solo perché lo sei per i tuoi genitori. E’ una realtà che a me non piace, visto che per quanto mi riguarda darei un lavoro ed una paga dignitosa anche ai non eccelsi e poco talentuosi/ambiziosi, che sono la maggioranza e che rappresentano la colonna portante della nostra società, dando poi ancor di più agli eccelsi/talentuosi ed ambiziosi. Purtroppo, però, non sono io a decidere la politica mondiale del lavoro (e neppure quella italiana) e quindi funziona tutto diversamente: se non impari ad eccellere almeno in qualche pratica/qualità, sei destinato alla miseria ed alla precarietà eterna. Tanto vale quindi smettere di frignare e di dare la colpa di ogni nostra sventura al “sistema”, darsi da fare e capire come diventare poco sostituibili e molto necessari nel più breve tempo possibile.

UNA VERITA’ CHE FORSE FA MALE…

L’altra verità forse un po’ scomoda da dire è che nella comunicazione e nel Web Marketing puoi lavorare ad altissimi livelli e guadagnare tanto anche senza laurea, ma non senza talento, abnegazione, formazione e pratica continue, coraggio, vocazione, pensiero laterale, intelligenza emotiva, competenze reali e dimostrabili. Chi non possiede (o crede di non possedere) almeno alcune di queste caratteristiche, si auto-convince così che lo studio matto e disperatissimo lo porteranno comunque al successo. Il che, paradossalmente, è assolutamente vero ed al contempo totalmente falso.

Mi spiego: lo studio costante è un obbligo imprescindibile per chi fa il nostro lavoro e deve crescere costantemente dal punto di vista sia umano che professionale. Senza formazione costante e continui aggiornamenti, rimanendo comunque tutti neofiti a causa delle infinite novità quotidiane che il settore presenta, se non siamo dei geni assoluti non valiamo molto e finiamo male. In pochi altri settori, però, è altrettanto fondamentale fare pratica immediatamente dopo aver assimilato nuova teoria. Altrimenti tutto si tramuta in vuoto esercizio nozionistico. Il punto è che, praticamente tutto ciò che serve sapere nel nostro campo, se sei in gamba e portato per fare questo lavoro, puoi studiarlo ed apprenderlo da auto-didatta, senza bisogno di essere “imboccato” ed anzi traendo giovamento dall’autonomia d’apprendimento. E questo vale soprattutto se hai oramai superato i 20 anni e magari senti il bisogno di camminare da solo, dopo 13 anni circa di scuola dell’obbligo. Il resto, come detto, lo fanno cose come il talento e la vocazione. Cose che, piaccia o no, non puoi trovare all’università o frequentando un master da 20.000 euro.

QUANDO L’UNIVERSITÀ É FONDAMENTALE

Sapete quando l’università fa la differenza? Quando chi la frequenta vuole fare la differenza. Regola banale quanto ignorata dall’esercito di ragazzi e ragazze che preferiscono “studiare” senza farsi domande ed esplorare nel frattempo il mondo fuori, che è un po’ come fare l’amore rinunciando in partenza all’orgasmo. Devo ad esempio dire che, se non fosse stato per la tanto (anche giustamente) maltrattata “Scienze Politiche” della Federico II di Napoli, non avrei mai potuto conoscere docenti eccezionali, pubblicare il mio primo micro-lavoro di ricerca già nel 2008 e soprattutto conoscere il mio primo datore di lavoro, che dai 19 anni in poi mi ha riempito di legnate e soddisfazioni e come si suol dire “insegnato a campare”. E sì perché, più tardi inizi a lavorare e a gestire certe situazioni, più ti sarà difficile eccellere. Più rimandi l’appuntamento con il mondo del lavoro (non da stagista portacaffè) a certi livelli, più farai fatica ad orientarti ed organizzarti. Se invece coordini e dirigi il primo telegiornale quotidiano a 22 anni, allora arrivato ai 30 non avrai troppi problemi a gestire problematiche complesse, lavorando per grandi aziende e per grandi progetti.

SAPERSI CREARE DA SOLI LA PROPRIA “RACCOMANDAZIONE”

Il lavoro nel nostro settore c’è, vi assicuro ed è anche pagato molto meglio di tanti altri. Il punto è che c’è anche ancora enorme goffaggine nel riuscire ad attirarlo e si continua a cercarlo in maniera conformista e quindi fallimentare. Pensate sul serio che la mia azienda leggerà ognuno dei cv in “formato europeo” senza uno straccio di lettera di presentazione che arrivano ogni giorno? E pensate sul serio che, “le giuste conoscenze”, siano una mera eredità che si raccoglie dalla famiglia e che non si possono costruire da zero? Pensate veramente che il termine “raccomandazione” possa avere solo un’accezione negativa e che non possa rappresentare, ad esempio, il classico fenomeno di “endorsement” che qualifica il professionista e lo raccomanda, appunto, per le sue qualità e non per la sua discendenza?

Sfidate i luoghi comuni, spezzate i pregiudizi, abituatevi ad essere sicuri di voi stessi senza essere ossessionati dai predicozzi sulla falsa modestia che persone con qualità realmente modeste tentano di imporvi. Esigete il giusto compenso quando potete dimostrare di meritarlo, non prima; non cedete al mantra del “qui è tutto uno schifo” e del “all’estero è tutto più bello”. Ricordatevi di farvi sedurre dai desideri e non incatenare dai (falsi) bisogni e poi, se avete tempo e voglia, prendetevi anche una bella laurea e buona fortuna, anche se a quel punto non ne avrete troppo bisogno.

 

Autore

  • Germano Milite
    Germano Milite

    Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".

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#digital marketing#Formazione#lavoro in italia#unviersità

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Germano Milite

Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".


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