Diario da Osaka 3. Ai lettori di Young è arrivata, dopo la prima e la seconda, la terza corrispondenza dal Giappone del nostro ormai grande amico il baritono e regista, direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa, Marcello Lippi, che per chi non lo sapesse e volato ad Osaka per un mese ingaggiato dall’ Opera Kansai Nikikai per la regia del “Trittico” di Puccini –Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi- che debutterà ad Osaka tra appena una settimana, il prossimo 25 giugno 2016 con una compagnia di 48 attori Giapponesi che egli è andato a formare ad interpretare l’anima italiana prima ancora di dirigere. Noi di Young siamo felicissimi di leggerle e grati di esserne i destinatari , e in queste talentuose lettere giapponesi in cui vediamo il Giappone attraverso la lente anche dello sguardo interiore dell’artista scorgiamo nitidamente anche la poliedrica impronta di una personalità rinascimentale che si muove a proprio agio tra canto, regia e letteratura.
David Colantoni
DIARIO DA OSAKA 3 -WAKARI MASHITA : HO CAPITO !-
Di Marcello Lippi
Ho letto ieri un commento su un Social in cui uno stupido affermava, in risposta ad un “post” di una persona molto colta, che le parole non hanno più significato e valgono per il senso con cui le si usa. E’ il relativismo di oggi, contro il quale invano ci mise in guardia papa Benedetto XIV: nulla è più assoluto, né i valori, né tanto meno le parole.
Mi viene in mente, in questo inizio di stagione delle piogge che mi obbliga a stare chiuso nel mio albergo di Osaka per non inzupparmi, un detto degli antichi “ogni parola ha un’eco lassù in Cielo”. Quanta saggezza in questa affermazione! Se ognuno pensasse che quello che dice ha importanza ed ha “un’eco in Cielo” (e mi ostino a mettere l’apostrofo davanti ad eco anche se i dizionari ormai si sono arresi all’ignoranza imperante ed accettano anche il genere maschile per la parola) quanta più Bellezza ci sarebbe al mondo!
La musica è ancora una parola definitiva sull’uomo, come lo sono i testi che hanno forgiato ed esaltato lo splendore della nostra civiltà, come lo è tutta l’arte riconoscibile come tale. Ma oggi tutto è diventato relativo, mancano le coordinate, in questo imbarbarimento generale, per distinguere il vero dal falso (basta vedere le “bufale” terribili che girano sui social, accompagnate dai commenti scandalizzati di persone dal cervello sconnesso per il divertimento degli autori, o le affermazioni di alcuni politici) e tutto ciò improvvisamente esaltato in un anelito di assolutismo vuoto di significato per cui non c’è vittoria sportiva di un/a connazionale che non sia un trionfo. Ci sono parole bellissime come “compagnia” (spezzare il pane insieme, profonda condivisione, nel significato etimologico) usate oramai totalmente a sproposito e parole violentate e snaturate.
Tutto questo sproloquio iniziale è motivato da una semplice considerazione: oggi mi sento soddisfatto! La prova di ieri in teatro è stata di un livello eccezionale, considerato il punto di partenza del percorso iniziato con la compagnia giapponese. Durante la prova i cantanti, finalmente anche attori, si muovevano come italiani, recitavano con la stessa intensità emotiva, si abbracciavano con passione, avevano il volto turbato dalla commozione, la voce era passata in secondo piano, dietro quel fuoco violentissimo e illimitabile del lasciarsi guidare dal cuore. Mi sono girato ed ho detto al direttore di orchestra: “Hai visto che piange davvero?”. Suor Angelica cantava del bimbo morto con il viso solcato da splendide, autentiche, lacrime. Ha terminato svuotata, spenta e felice nello stesso tempo perché la sua commozione si era trasmessa a tutti noi. Era stato un momento di Bellezza al quale era stato impossibile sottrarsi: tutti erano rimasti colpiti. E quando Michele nel Tabarro ha cantato la sua disperazione sul barcone per il tradimento della giovane moglie aveva lo stesso fuoco, perché questa fiamma si propaga, incendia, genera, stravolge e cambia. Alla fine della prova non ho potuto trattenermi dall’abbracciare il baritono senza dirgli una parola, sapendo che qui non si usa il contatto fisico, ma ci si limita all’inchino. L’ho stretto e lui, che ora ha capito cosa vuol dire essere italiani nel cuore, mi ha ricambiato facendo di sì con la testa -“wakari mashita: ho capito!” è quello che è riuscito a dire, prima di girarsi perché io non vedessi le sue lacrime.
Ma non abbiamo solo pianto di commozione; “Gianni Schicchi” è stato un fuoco di divertimento e vivacità toscana, si muovevano come italiani, pensavano come italiani, nessuna maschera, nessun atteggiamento, un gioco vorticoso di effetti e di comicità in un’opera tra le più difficili da mettere in scena. Sono dunque soddisfatto, ma nel senso vero della parola: ho coscienza di aver fatto abbastanza (satis facere) che non vuol dire aver fatto tutto; mi viene da ridere a pensare che una persona “soddisfatta”, come si intende oggi la parola, abbia conseguito il traguardo definitivo, possa sedersi in panciolle a godersi il passato rinunciando al presente. “Ho fatto abbastanza”, non ho fatto tutto. Ogni Bellezza è generativa, contrariamente ad ogni stupidaggine che è mortifera: un gesto di bontà gratuitafatto verso una persona, sappiamo che ha la forza di provocare imitazione e cambiamento.
Ne è esempio il gesto più piccolo in assoluto: un sorriso! Un sorriso ad una persona sconosciuta che incrociamo, se visto e riconosciuto da costei, illumina automaticamente il suo viso: può pensare che siamo stupidi ad aver sorriso, ma deve pensare che per quell’attimo, quella frazione di secondo, lei è stata importante per noi. Qui in Giappone c’è l’inchino, unito al sorriso di chi incontri sul pianerottolo, gesto bello, ma a volte formale. Abbiamo avuto troppi cattivi maestri ed oggi sui Social imperversano e trovano voce coloro che dovrebbero tacere per pudore: ci è stato spiegato che non esiste l’Assoluto, comunque lo si pensi, ed è stato esaltato il concetto di casualità.
Il Fato, il Destino, il Caso, divinità assolute per tanti filosofi e tantissimi pensatori e non pensatori nemmeno per sbaglio di oggi. Si incontra una persona per caso, succede una cosa per caso, ci si trova in un posto in quel momento per caso. La responsabilità della vita è elusa, svuotata, e con essa noi perdiamo la nostra identità. Proviamo invece, come molto spesso mi diverto a fare, a ritenere tutto importante. Che succede? Sono in strada, cammino ed incontro una persona, la guardo (cosa che non si fa più), penso che non sia un caso che io la stia incrociando in quel momento e proprio lì, mi chiedo chi sia, come viva, che faccia, che cosa deve succedere nella mia o sua vita dopo quell’incontro, la guardo come se per me fosse importante e le sorrido, svegliando il suo stesso cervello ed invitandola a guardare con il mio sguardo che si fa sempre più acuto: noto una persona che soffre e mi fermo per chiederle se va tutto bene, vedo quel bellissimo palazzo che pur passando di lì ogni mattina non avevo mai visto, vedo nella vetrina un oggetto e penso che lo abbiano messo lì per me, che tutto sia segno, tutto sia rimando ad un mondo vero, dove tutto è importante ed ogni persona è un bene assoluto. Leggo e penso che non sia un caso che io stia leggendo quelle righe in quel momento e che sarebbe tempo perso se io le leggessi e loro non mi comunicassero niente. Il tempo diventa importante, voglio gustarlo, assaporarlo con lentezza davanti “alle finestre del buon Dio” (cfr diario n°2). Il risultato è la crescita oggettiva e profonda di un’umanità soffocata che viene ridestata alla Bellezza. Cosa hanno visto gli artisti in questi giorni, appassionandosi tanto alla nostra musica, se non il fatto che per me ognuno di loro era importantissimo, che per ognuno di loro avevo tempo sempre per spiegare, guidare, incoraggiare, costruire insieme? E perché ciò è tanto raro che desta stupore? Io non ho mai pensato “sono giapponesi, cosa vuoi che capiscano della nostra musica”, ma ho aiutato ognuno di loro a capirla, perché per me è importante, perché loro per me sono importanti. Hanno imparato ad esprimere il proprio cuore, a perdere pudore, ad essere “veri”. Non ho dunque perso tempo, mi sono arricchito moltissimo conoscendo il loro mondo e la loro umanità e mi sento soddisfatto: ho fatto abbastanza! Ora possiamo incominciare.
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