DIARIO DA OSAKA N.° 1 – 5 giugno 2016
Marcello Lippi è un gigante dell’opera lirica, non solo nel senso della bravura, ma proprio nel senso vero, fisico. E’ un grande uomo, alto e possente, un titano, un ciclope il cui occhio è la bocca da cui furoreggia la sua tuonante voce, occhio che invece di essere accecato però, come nel mito omerico, qui apre alle visioni sonore delle meraviglie dell’opera la mente e l’anima del pubblico.
Quando ho saputo che è approdato a Osaka in Giappone pochi giorni fa e che vi resterà per un mese per una tournée, e sapendo che è anche un grande amante della letteratura e della scrittura, e, vi assicuro, un ottimo poeta, mi sono detto che non avevo assolutamente il diritto, avendo il privilegio di questa amicizia, di privare il lettore della ghiotta occasione di leggere almeno qualche resoconto, scritto per noi di Young di suo pugno, quello di un artista, dal lontano e misterioso oriente; e gliene siamo gratissimi. Un tempo una simile corrispondenza avrebbe rappresentato l’unica preziosissima fonte per saperne qualcosa di un luogo tanto lontano, oggi con un clik possiamo persino galleggiarci su un condominio di Osaka da una considerevole google-vicinanza. Epperò ancora più raro , paradossalmente, si presenta al lettore di vedere e percepire ciò che è solitamente ormai omologato allo stesso google-pensiero, con gli occhi interiori invece di un artista della lirica italiana che ora è li in quella grande città sotto allo stupefatto e gentile sguardo di molti artisti ed artiste giapponesi i quali sta preparando ad esordire tra qualche settimana in un’opera pucciniana: può anche darsi poi che il nostro viaggiatore finisca , dal lontano estremo oriente, per vedere dettagliatamente qualcosa che pensava invece aver temporaneamente lasciato alle spalle, qualcosa dell’attuale essenza di noi stessi italiani. Chissà.
David Colantoni
DIARIO DA OSAKA 5 giugno 2016
di Marcello Lippi
Cari amici di Young, innanzi tutto vi dico, che sono ad Osaka perché ho un contratto con il teatro dell’Opera Kansai Nikikai per la regia del “Trittico” di Puccini –Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi- che sarà messa in scena con tutti artisti giapponesi. Debutterà il 25 giugno prossimo. Mi sono occupato anche della scenografia , firmata dalla mia scenografa di fiducia Monica Bernardi e dei costumi. Una Meravigliosa esperienza quella di spiegare giorno per giorno la cultura italiana a 58 artisti giapponesi, illustrando come ci muoviamo, come recitiamo, come esprimiamo i sentimenti, come preghiamo, e il nostro modo di sentire. Loro sono interessatissimi, attenti e si divertono molto a fare “gli italiani” sulla scena, poiché il loro teatro (kabuki) è completamente diverso, basato su mosse coreutiche ed espressioni del viso tipo maschere della commedia dell’arte.E sorprendentemente meraviglioso è poi ritrovarmi a fare un viaggio dentro la mia stessa cultura, ciò che per me è naturale e non richiede un pensiero dietro, per poterla spiegare agli altri. Divertente e affascinante vederli davanti ad un rosario il cui uso è a loro sconosciuto, tentare di recitare improbabili Ave Maria durante “Suor Angelica” o “Gianni Schicchi” !
Ogni paese della terra ha un cuore particolare, una luce che gli è propria, lo contraddistingue ed identifica, al di là delle banalizzazioni “da cartolina” del leggendario letterario e popolare. In questo cuore sta’ la voce autentica di un popolo, la sua identità di fronte al mondo, ciò di cui va fiero, ciò cui non rinuncerebbe mai nemmeno per la facile contaminazione imposta dalla globalizzazione. Questo valore autentico è ciò di cui un popolo è orgoglioso e ciò che può insegnare agli altri popoli, se non sono chiusi da prevenzioni ideologiche. Mi chiedo da giorni quale sia la parola che identifichi il popolo giapponese, il valore che mi interesserebbe apprendere, ciò che il mio popolo dovrebbe imparare ed ho concluso che questo valore intrinseco frutto di un’educazione millenaria è il rispetto reciproco, sia esso sostanziale o d’apparenza.
Quanta grazia nelle delicate figure femminili aduse a parlare a bassa voce, quanta in quegli inchini con i quali attempati manager dimostrano con eleganza l’onore che è per loro la presenza dell’ospite italiano, quanta delicatezza nel non rivolgere la parola se non invitati a farlo o nel non toccarsi mai nemmeno per una stretta di mano, sostituita da un inchino a distanza. Tutto ciò sarà anche ridotto ad un vuoto formalismo dalle più recenti generazioni e proverrà di sicuro da un’educazione basata su un senso di umiltà e direi di colpa originale che tutti i giapponesi si portano dentro, ma come non desiderare di importare questo senso di rispetto nel mio paese in un momento nel quale, per l’azione costante e diseducativa della televisione di stato o privata, fanno spettacolo l’insulto e la protervia? La parola gridata esorcizza una necessaria azione politica che invece sembra sfogarsi e perdere energia con l’uso di un turpiloquio fine a se stesso e porta alla cancellazione, motivata o meno, del rispetto verso l’interlocutore. Ed allora mi godo la finezza della bellissima ragazza seduta in fronte a me che non solleva gli occhi ad incontrare i miei, mi godo l’ordinato scorrere di migliaia di persone che si sfiorano senza urtarsi per le gallerie commerciali di questa Osaka snaturata, che del suo passato conserva solo un castello e piccoli scorci, nascosti tra la prepotenza dei grattacieli e degli esercizi commerciali. Ma io di cosa sono portatore qui, in questo paese che mi insegna così efficacemente la bellezza del rispetto e dell’educazione? Che cosa mi chiedono i miei gentilissimi ospiti? Di essere latore di un valore che identifica nel mondo il mio popolo e del quale il mio popolo sia orgoglioso, ma quale? La risposta è semplice ed immediata nel vedere cinquantotto cantanti lirici professionisti impegnati nel “Trittico” di Puccini, tutti al lavoro per imparare da me l’opera lirica italiana e la mia lingua, quella lingua che un tempo, grazie proprio all’opera lirica, era lingua universale come oggi l’inglese/americano. Quanto sforzo da parte loro per assomigliarci! Quanto impegno per saper recitare come noi recitiamo, per abbracciarsi sulla scena toccandosi con la passione che richiede Puccini, per cantare con il cuore vinto dalla commozione, senza il ritegno nipponico, ma con la focosità tutta italica. Ma l’Italia è orgogliosa di questa sua identità? E’ orgogliosa di quanto il mondo ci invidia, di ciò che mette al quarto posto nel mondo la nostra lingua tra le lingue parlate, della sua cultura, del frutto musicale più alto della sua storia, che vive in tutti i teatri del mondo? Ho la bocca stretta in una smorfia mentre scrivo queste righe, pensando ad una classe politica inetta che pensa troppo, a volte solo, ad arricchire se stessa e che ha decretato la morte di ciò che, per somma ignoranza, non può comprendere. Quanta ammirazione per l’Italia deriva dall’amore che tutto il mondo ha per la nostra cultura? Ed in una società dell’immagine, i nostri governi di destra, centro o sinistra che fossero hanno sempre badato a tagliare i fondi, ogni anno, scientificamente, alla cultura, per portare alla morte ciò che non arricchisce la casta, ma ha una ricaduta positiva enorme proprio sull’immagine dell’Italia e quindi sul turismo e sulla stima internazionale di cui gode il nostro paese.
Passeggio per Osaka con un disagio profondo: il tempo trascorre ed un senso di eternità mi pervade, pensando con tristezza a chi vive solo di materia ed elimina qualunque possibilità di volare agli altri solo perché è nato difforme. Riecheggiano le note del “Regina Virginum” di “Suor Angelica” in questa ipermoderna sala prove giapponese e la musica divina del sor Giacomo si diffonde su questa città così lontana dal lago di Massaciuccoli. E’ la nostra voce, la nostra anima, la nostra cultura, ma noi siamo l’unico popolo al mondo che non ha ormai più nessun orgoglio della propria anima e del proprio passato. Il nostro Talento, invidiato da tutti, è stato sepolto quasi con vergogna. quasi fosse una colpa. Dio abbia pietà di noi quando verrà a chiedercene conto.
———————————————-