Le nostre domande a Roberto Saviano
Caro Roberto Saviano non hai ancora risposto alle domande che ti ho posto nei miei due precedenti articoli; ( articolo 1 e articolo 2 ) non c’era da aspettarselo viste le caratteristiche morali della tua figura pubblica, ma non fa nulla anche se non smetterò di aspettarmi che tu chiarisca la faccenda, e come dalle pagine de La Repubblica per mesi fu giustamente ossessionato con le dieci famose domande Berlusconi, il quale, come te adesso, praticava la sordità, o il disprezzo, visto che sordi non siete, anche io in piccolo seguendo quella importante lezione del quotidiano con cui tu oggi collabori, farò con te la stessa cosa.
Quindi domando fino a che non deciderai di rispondere accorgendoti che su un giornale pubblico, per quanto non supportato da grandi gruppi editoriali, ma frutto delle risorse e dell’impegno civile di un pugno di giovanissimi, alcuni di essi provenienti proprio dai territori che tu hai dovuto abbandonare, scegliendo questo impegno di pubblica parola in una terra che le parole le vuole tacitare, dunque un giornale a tutti gli effetti, a cui dovresti guardare perciò con grande attenzione , e forse più di altri incarnando il mandato di essere quella vigile pubblica opinione a controllo delle derive di ogni genere, anche morali, che dovrebbe essere la stampa di un paese democratico; e giornale come giornale lo fu Non Mollare al tempo del fascismo, piccolo foglio, si , ma passato alla storia, ti si chiede un chiarimento rispetto al fatto decisamente importante adesso, innanzi tutto, che una public figure, quale tu sei, deve rispondere alla pubblica opinione delle cose che dice e che fa, e anche se questa pubblica opinione, come noi, non ha dietro le banche di Murdoch né di altri magnati, non puoi pensare di non rispondere a chi ti chiede ragioni di un inganno che hai perpetrato al pubblico, cosa grave per la pratica dell’inganno in se e non tanto per l’oggetto dell’inganno, ovvero il fatto che El Chapo non potesse leggere il tuo libro in inglese, cosa che ancora continui ad affermare nonostante i nostri articoli abbiano portato in luce non poter essere.
le nostre domande a Roberto Saviano
Domanda: su quali basi concrete affermi ancora oggi che El Chapo abbia letto in inglese la copia americana di zero zero zero che è stata mostrata dalla stampa internazionale sul suo presunto letto quando ci sono video e articoli di illustri testate che dimostrano e affermano testualmente che egli non parli ne a maggior ragione legga l’inglese?
Domanda: perché sei così affezionato a questa idea che il tuo libro sia stato letto da un narcotrafficante assassino e sadico che ha fatto mutilare e decapitare centinaia di persone e morirne per droga centinaia di migliaia?
Domanda : Perché, come riportato il 29 gennaio sulle colonne dello Huffington Post Italia, affermi che “i boss non sono le bestie criminali per lo più analfabete descritte nei gialli americani ma sono uomini d’affari d’esperienza che leggono, approfondiscono, studiano, analizzano e voglio sapere cosa il mondo pensa di loro , cosa si scrive di loro”? Brusca che ha sciolto un bambino nell’acido o El Chapo stesso, che ha fatto mutilare e decapitare lasciando i corpi a putrefarsi sulle strade centinaia forse migliaia di persone, non sono piùttosto delle bestie che uomini d’affari?
Domanda non è che piuttosto affermi questo in maniera assolutamente cinica per far quadrare il cerchio di verità forse indicibili nella tua posizione?
Domanda: da cosa deriva il tuo silenzio/indifferenza/disprezzo per chi ti chiede di spiegare e chiarire le cose che dici ? dal fatto che non rappresentiamo nessun potere o cosa?
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Voglio però approfittare di questa attesa di una tua risposta anche per intraprendere delle minime osservazioni sui contenuti culturali delle cose che diciamo, che comunque ci riguardano, cosi non ci annoiamo aspettando che tu ci dimostri di non aver ingannato coscientemente il tuo fiducioso pubblico.
Ho letto ieri il tuo reportage da New York, da NY su Napoli, sulla repubblica “Napoli, le pistole dei ragazzi invisibili e quelle vittime senza colpa” in cui ripeti la parola guerra alcune volte per chiamare cosi le stragi criminali ,o parli delle paranze usando queste parole speciali per indicare gli omicidi casuali e tutte queste cose così, molto sugose narrativamente, questo folklore criminale e di sangue.
Ebbene io asserisco da tempo ormai che tu non ti sei reso conto molto bene quanto il tuo linguaggio sia infiltrato come una vena d’acqua potabile dai liquami velenosi degli svasamenti di mimesis con l’epos criminale. Cioè di quanto tu sia non solo uno scrittore su fatti di mafia ma crocianamente uno scrittore mafioso, un cantore, un aedo della violenza criminale. Letteratura, a mio modo di vedere, la tua, nutrice di orgoglio e narcisismo criminale.
A tal proposito solo una brevissima riflessione sulla tua metafora della guerra che usi nell’articolo per descrivere gli scontri criminali che infestano Napoli.
La parola Guerra è nella storia culturale una parola fondamentalmente nobile. Chi volesse affermare il contrario sarebbe solo un moralista. Nonostante la nascita in epoca recente di una tradizione di critica assoluta ad essa, tuttora chiamando un qualsiasi scontro violento con il nome di guerra si trascina nella percezione della cosa cosi chiamata tutta la schiera di valori e la potenza suggestiva del corredo della bellezza della tradizione storica dell’arte rispetto al significato e all’evocazione della parola guerra.
Due dei libri di fondazione della cultura occidentale sono libri di guerra: Iliade ed Odissea. Da questi libri si dirama poi il lungo e ininterrotto cammino della rappresentazione artistica ed estetica della guerra, della violenza militare, dell’uccidere e del morire in combattimento come del sopravvivervi, del nemico, della bellezza delle armi, dell’onore e del coraggio in battaglia, come bellezza.
L’eroe è nella nostra tradizione culturale fondamentalmente un abitante della guerra. Tema quello della guerra che con l’avvento dei mezzi di riproduzione audiovisiva della modernità è esploso in una proliferazione, quasi soffocante e infestante direi poiché colonizza visioni e immaginazioni del passato del presente e del futuro ( dal Gladiatore a Pandora per capirci)
La guerra vera invece , dopo un percorso di migliaia di anni, è oggi finalmente regolata teoricamente da un codice e da convenzioni, che certamente non hanno il potere di fermare gli orrori che essa produce, poiché in definitiva nessuno potrebbe imporre a degli eserciti che incarnano già la estrema ratio della violenza, un bel nulla, ma che permettono di emanare giudizi e condanne storiche sui comportamenti dei belligeranti che sono dei minimi quanto necessari freni inibitori dello scatenamento della violenza sugli inermi. Insomma la Guerra è una cosa precisa ormai, la guerra è la guerra, e sebbene vi sia assoluta libertà nel fare della sua rappresentazione materia di metafore, si deve essere consapevoli quantomeno consapevoli che qualche volta la metafora della guerra può essere molto inopportuna, certamente pericolosa, e sicuramente politica.
Quando ad esempio la si usa per descrivere gli scontri violenti e omicidi delle bande della criminalità organizzata. Perché il crimine e la guerra dovrebbero essere tenuti attentamente separati nel giudizio e nella rappresentazione fin tanto che la guerra ha appunto un retaggio indelebile allo stato attuale della storia culturale umana specialmente sul piano della rappresentazione artistica, di un versante di bellezza e valore, retaggio, che se non si pone cautela nell’ uso del logos nel comminare i significati e le metafore alle cose, può diventare motore interiore di autoapprovazione, di identificazione, di ribaltamento dei valori, da parte dei criminali che vengono assunti nel cielo delle metafore, materia prima nobile della poesia, -di cui ricordiamo l’etimo poiesis-, al pari di guerrieri che combattono una guerra e dei nemici guerrieri. “Truth is beauty, beauty is truth, -verità è bellezza bellezza è verita-, recitano i versi di Keats. Artisti e intellettuali del XXI° secolo, post brechtiani, post adorniani, e altro, non possono, non dovrebbero, esimersi da certe lezioni e consapevolezze.
Puoi fare metafore di guerra sui sentimenti se vuoi ma se fai metafore di guerra sui fatti di mafia allora diventi crocianamente un poeta mafioso che sta regalando al crimine organizzato il corredo del suo epos, rendendolo forte della legittimazione e forse dell’eternità dell’arte. Certo mi dirai e poi? cosa vendo?
Si può tecnicamente fare, il potere, anche quello criminale, ha sempre chiamato alla sua corte intellettuali ed artisti per creare la splendida rappresentazione di se stesso e con ciò scollare dal suo volto la pelle e il ricordo del volto ancestrale del crimine con cui tutti i poteri, in diversi gradi, furono imposti , dunque si può fare ma sappi che è una scelta di campo molto chiara che non puoi chiamare lotta alla mafia perché è al contrario subliminale apologia ed eternizzazione della mafia. Gli antichi se volevano cancellare realmente un nemico, lo cancellavano dalla storia condannandolo alla Damnatio memoriae, consapevoli del vero potere della rappresentazione, cosa , questa dell’adorazione verso la rappresentazione più che verso la cosa, che ci ricordava Feuerbach nelle origini del cristianesimo .
La violenza della mafia non ha nulla a che vedere con la guerra, e non può mutuare nulla dal retaggio antichissimo di questa parola, guerra, se non grazie a chi avendo un segreto vulnus emotivo e quindi una indicibile quanto probabilmente inconscia attrazione verso di essa, gli fa dono di questa nobiltà attraverso la potenza poietica della parola.
Affermi alla fine dell’articolo su Napoli che l’Italia sta morendo, e ti chiedi, -lanciando strali con questa domanda retorica al governo , governo come categoria, visto che non fai nomi– (” …i magistrati che ora il governo utilizza per darsi un dna antimafia… “) come mai passati dieci anni dalla pubblicazione di Gomorra si sia spenta la luce della attenzione alla mafia che i magistrati avevano avuta accesa dall’avvento tuo libro a cui essi avevano attribuito, cosi scrivi, il merito di aver illuminato cose mai viste, un quadro d’insieme che, prima di Gomorra, scrivi, mancava.
domanda : i magistrati si lasciano utilizzare dal governo per darsi un DNA antimafia?
Innanzi tutto vorrei ricordarti che esiste una grossa, solida e seria bibliografia sulla mafia, mafia intesa come categoria generale che comprende ovviamente anche la camorra, che ti precede e che non ha acceso gran che in un paese, come lo è il nostro purtroppo, accecato dalle abbaglianti e perenni luci della industria dello spettacolo, e poi come un vecchio Tiresia, tremante sul sonaglio delle inferme ginocchia, dai lacrimosi occhi spenti ma veggenti, ti urlo che sei tu stesso l’assassino che cerchi di quella ormai morta attenzione .
Per i motivi che ti ho accennato sopra. E ciò di aver preso quella certa china mercantile che non ha sconfitto nessuna mafia, ma anzi le ha donato un suo moderno epos , ad esempio gomorra la serie TV, da cui attingere insieme ai modelli, raffinati dalle elaborazioni intellettuali della tua scrittura e di quella degli sceneggiatori, della violenza e della crudeltà, anche la certezza di essere l’alveo dei veri eroi moderni.
Ma davvero non riesci o non vuoi vedere che Gomorra si è via via fatto nelle sue declinazioni commerciali e televisive puro feticismo ed epos criminale? Corpus e canone estetico del male criminale a cui i criminali guardano per mettere maggiormente a fuoco la propria ferocia e spietatezza? trovandovi anche la ragion d’essere esistenziale? E che la società ti ha infine perfettamente capito collocandoti nel posto della mercificazione della lotta alla mafia, piuttosto che nella vera lotta, cioè negli scaffali dei bestseller, nei talkshow e nelle migliaia di migliaia di like delle pagine dei social, che spaziano dai 60 milioni di like di Eminem ai tuoi 2 milioni e mezzo, quale cifra ontologica dello starsistem?
Domanda : perche non hai mai risposto di persona alle tesi del libro di Alessandro dal Lago “Eroi di carta” lasciando invece che fosse massacrato a cannonate dalle corazzate di grandi gruppi editoriali?
Domanda Non hai capito che è la produzione di una estetica criminale, che ad esempio i derivati televisivi dal tuo Gomorra, – come ho accennato in “mafia spettacolo e consenso sociale” – grondando e spandono nell’ immaginario collettivo, inferocendo le fila della gioventù di quei tristi territori , ad essere la linfa più potente di cui si nutre il mostro ?
Ancora un volta non riesco a credere che tu non capisca.
Domanda: E se capissi che questa nuova generazione criminale di inaudita ferocia che sta uccidendo in questi giorni a Napoli fosse cresciuta alla scuola estetica delle rappresentazioni feticistiche della criminalità e della sua violenza che tu e altri come te avete creato a uso dell’industria culturale e dello spettacolo, realizzandole poi essi con l’incarnare quei modelli “aggiornati” come una nuova terribile realtà? che diresti?
Domanda: Cosa hai risposto alla questione posta dall’attore, Salvatore Striano, attore nel primo Gomorra di Garrone, nell’intervista della televisione di stato Svizzera quando – minuto 29,30- afferma: “le cose che ha detto Saviano hanno aiutato agli altri a capire quello che succede a Napoli, noi lo sappiamo da sempre, ci viviamo tutti i giorni con queste cose e a differenza di Saviano noi stiamo qui e lottiamo per avere un futuro migliore, non scappiamo, non ci chiudiamo in un appartamento superblindato e chiamiamo le televisioni per dire i nostri messaggi: perché scappi? Perché non stai qua a lottare con noi ? se muori ? sei uno dei tanti che pe’ credere nelle sue cose ha dato la vita. Non ci serve solo la sua penna, le sue parole: ci servono i fatti. Abbiamo bisogno di questo“?
Certo che, se ormai sei solo un prigioniero delle masse che come una mostruosa macrocellula ti hanno digerito nella loro comunità, come hai chiamato in un video i tuoi fans, Gemeinschaft von Menschen, come anche amava chiamarla altri nel passato, comunità virtuali secernenti zuccherosi commenti sui tuoi profili social da 2 milioni e mezzo di followers , come ho potuto constatare con un certo sconcerto, cercando invece semmai ci avessi risposto, e avendo perciò tu diviso il mondo in due universi –come asserisci in un tuo video postato di recente– ovvero in un universo amico i lovers, i tuoi lovers come hai detto, e nell’altro universo nemico gli haters, gli odianti: ovvero i primi quelli che ti inglobano in una ipertrofica ciste di affetto posticcio e irreale , i secondi quelli che cercando di superare la coltre in cui giaci lotofago di piacere, invece vorrebbero richiamarti alla vita, quanto meno al dialogo, quella vita che dalla copertina di Vanity Fair gridavi di rivolere: se è cosi allora abbiamo ben poche speranze che tu sopravviva agli enigmi della sfinge. E nessuna che tu possa portare salvezza a Tebe.
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« Chiunque produce qualcosa la produce per un fine, e la produzione non è fine a se stessa (ma è relativa ad un oggetto, cioè è produzione di qualcosa), mentre, al contrario, l’azione morale è fine in se stessa, giacché l’agire moralmente buono è un fine, e il desiderio è desiderio di questo fine… Il fine della produzione è altro dalla produzione stessa, mentre il fine dell’azione no: l’agire moralmente bene è un fine in se stesso. »
(Aristotele, Ethica nicomachea)