A venticinque anni dalla scomparsa dello scrittore Alberto Moravia per ricordare la figura straordinaria di un protagonista del novecento le testimonianze di artisti scrittori ed editori che gli furono amici : Domenico Colantoni – Elio Pecora – Jonathan Galassi – Renato Barili – Renzo Paris – David Colantoni.
Il 26 settembre del 1990, stroncato da un ictus nella sua casa romana a Lungo Tevere della Vittoria n° 1, moriva ad 83 anni lo scrittore Alberto Moravia, un protagonista assoluto della letteratura Italiana e Mondiale. I 25 anni che sono trascorsi da allora non sono un venticinquennio qualsiasi, una delle più grandi rivoluzioni della storia umana, l’avvento di internet, della rete e del web, e la conseguente globalizzazione hanno deposto in questo lasso temporale una incolmabile frattura ontologica. Il mondo in cui Alberto Moravia si spense e sopratutto il mondo in cui visse, non si riconoscerebbe facilmente nella nostra contemporaneità. Basterebbe leggere i resoconti dei numerosi viaggi che egli insieme alle sue compagne e con alcuni storici amici, primo tra tutti Pier Paolo Pasolini, fece in Africa, in Cina, in Medio Oriente, ( ma anche nelle Americhe a più riprese e nella Unione Sovietica) per rendersi conto di quali immensi stravolgimenti,, contorsioni, contratture e fratture hanno avuto le storie sociali di quei luoghi dove egli viaggiò con la tranquilla sicumera da uomo bianco ancora coloniale, andando a cercare pace e silenzi in contraggenio al fragore del consumismo ancora pieno allora di quella promessa di felicità universale che, come egli stesso aveva scritto, si andava sostituendo al promesso paradiso delle religioni. Quelle afriche, quelle asie, quei medio orienti di quei viaggi non esistono più, come non esiste più l’uomo che in essi vi viaggiò annotando sui suoi taccuini, senza poter ovviamente comprendere appieno egli stesso per primo la portata delle sue stesse osservazioni, nessuno potendo scrutare il futuro, i movimenti storico sociali, di grandezza però tettonica, che in quelle aree del mondo andavano caricando le forze catastrofiche di cui ora siamo atterriti testimoni e che oggi si possono rileggere, specialmente quelle stilate sui rapporti tra Islam e Occidente, come autentiche profezie.
I bambini nati nell’anno della sua morte, oggi venticinquenni, per tutta una serie di contingenze mediatiche e pseudoculturali è più probabile che conoscano perfettamente i nomi e le gesta di famosi mafiosi immortalati dalla nuova epica italiana -cosi come chiama se stessa la nuova letteratura industriale- immortalati dal feticismo del crimine del cinema e della televisione, odiata visceralmente quest’ultima da Moravia, piuttosto che questo scrittore che a soli 22 anni nel 1929 anticipò di almeno un decennio, con Gli indifferenti, suo romanzo d’esordio, l’esistenzialismo stesso, e che fu connesso fisicamente e culturalmente con i maggiori protagonisti della cultura mondiale del 900. Cultura che, bisogna dirlo, è stata clamorosamente sconfitta dal feticismo della merce e dello spettacolo e che oggi è quindi enigmatica come una preistoria. Aggiungiamo in questo speciale su Moravia, oltre alle testimonianze e foto assolutamente inedite, insieme alle immagini dei quadri della mostra Moravia Ulteriore che il pittore Colantoni dedicò a Moravia nel 1982, un prezioso documento: un filmato girato in super otto sempre dall’amico pittore, visibile all’interno dell’intervista, e che mostra una serata a Casa del Poeta Elio Pecora con Moravia stesso e i poeti Spaziani, Luzi, Bellezza, e molti altri protagonisti della Cultura Romana di quegli anni.
Questo speciale su Moravia non ha nessuna pretesa filologica sulla sua opera ne ambizioni esegetiche sul suo pensiero, la bibliografia su Moravia è sterminata ed è redatta nelle maggiori lingue del mondo, perché ovunque nel mondo la sua opera e il suo pensiero sono stati vagliati da critici e studiosi. Questo è invece semplicemente un omaggio ad un grandissimo uomo della cultura Italiana e Mondiale, che fu amico intimo di coloro che qui lo ricordano. Moravia, considerato uno dei più importanti romanzieri del ventesimo secolo, per l’influsso decisivo sulla letteratura mondiale che ebbero alcuni suoi romanzi, primo tra tutti gli indifferenti, e per la portata inestimabile della sua scrittura nel raccontare il mondo attraverso quasi un secolo di ininterrotto viaggiare, viaggiatore quindi anche del tempo oltre che dello spazio, per le sue continue incursioni culturali nel dibattito sociale e politico, fu anche parlamentare europeo, per gli oltre 30 film tratti dalle sue opere di cui alcuni, come La Ciociara, di De Sica, autentici capolavori, i 17, romanzi, i 10 volumi di racconti, i 10 volumi articoli e saggi e teatro era uno scrittore che avrebbe decisamente meritato il premio Nobel per la letteratura. Ma come scrisse Brodskij, che quel premio lo ebbe, il Nobel è un premio che potette anche essere affibbiato in cambio di commesse navali alla Svezia da parte della allora Unione Sovietica o di altri favori politici tra stati, e cosi grazie a Brodskij, sempre disarmante nel suo candore, che ci ha fatto vedere il lato politico-mercantilistico talvolta nelle ragioni della attribuzione del premio Nobel, possiamo anche accettarne, ovvero comprenderne storicamente, le non-ragioni della non attribuzione a Moravia.
Con questo omaggio allo scrittore degli amici che gli furono vicinissimi, e che ebbero anche importanti rapporti di produzione culturale , come il celebre editore americano Straus di cui qui ci racconta Jonathan Galassi, desideriamo e speriamo semplicemente di accendere un fuoco e un minimo desiderio quantomeno di archeologia culturale nei giovani contemporanei che li induca a un piccolo scavo nel loro remotissimo passato prossimo storico-culturale. Detto ciò, intendo ringraziare tutte le persone che rispondendo al mio appello hanno generosamente reso possibile con la loro testimonianza la redazione di questo omaggio ad Alberto Moravia, a loro la mia riconoscenza.
David Colantoni – 26 settembre 2015
NON HO VOGLIA DI VIVERE E HO PAURA DI MORIRE
di Domenico Colantoni
Conobbi per caso Alberto Moravia nel 1976 , avevo 38 anni, nel Cineclub l’Occho, l’Orecchio, la Bocca: vi si proiettavano i miei film d’autore che avevo girato artigianalmente con un cinepresa super otto e facendomi persino aiutare dai miei figli piccoli a tenere le quarzine da 1000 watts con cui illuminavo le scene. Moravia, venutovi per altri motivi, volle a quel punto vederli e mi fece una recensione sull’Espresso nella rubrica in cui scriveva di cinema. Entrò, a causa di questi film , in contrasto dialettico con Natalia Ginzburg che anche aveva scritto per i miei film sulla Stampa- mi ricordo che mi chiamò al telefono chiedendomi di contare seduta stante quanti fotogrammi erotici ci fossero nel mio film eros e thanatos, rispetto ai fotogrammi dove non vi erano scene erotiche, mi disse perché non era d’accordo con la scrittrice che dichiarava che in certi film il sesso era troppo insistito, cosi appurato che i fotogrammi di sesso erano effettivamente pochi rispetto al totale potè affermare con soddisfazione che la scrittrice aveva reagito di fronte ad essi con quella sensazione di dilatazione del tempo che potrebbe verificarsi mettiamo se ci puntassero un’arma contro. Ne nacque un Caso che molti giornali riportarono e a cui la Rivista Play Men dedicò uno Special di dieci pagine a firma del critico del Messaggero Massimo Pepoli. Iniziando a frequentarci sempre più spesso da allora diventammo amici e io dedicai una mostra intera alla sua figura culturale, intitolando la mostra Moravia Ulteriore.
La mostra ebbe un grande successo e io partii per New York, con lettere di Moravia al suo editore e amico Roger Straus e a Norman Mailer, per organizzare una esposizione in quella città, era il 1983 ormai ed era appena uscito il libro di Alberto 1934. Straus lo avrebbe pubblicato negli States per la sua casa editrice e si pensò di far coincidere la pubblicazione del libro in america con l’esposizione a New York della mostra Moravia ulteriore.
Con Moravia si andava a cena, al cinema dove mi faceva ripetere le parole degli attori che non sentiva bene, veniva spesso a trovarmi nella villa settecentesca che avevo affittato con un parco di cinquemila metri quadrati pieno di alberi da frutto e bellissime rose. Li avevo messo un pollaio e avevo cinque cani pastori abruzzesi.
E spesso facevamo delle lunghe serate happening dove intervenivano moltissimi artisti e giovani studenti. ecco alcuni flash back talora simpatici : una sera a cena a casa sua con Elio Pecora aspettavamo Dario Bellezza, il quale entrando non si tolse il grande cappellaccio nero e sgualcito che portava sempre e Moravia gli diede velocissimo una bastonata in testa facendoglielo volare via.
Dario Bellezza disse “Albè, ma che sei impazzito?” e lui replicò “così impari che quando entri nelle case altrui devi toglierti il cappello“. Un altro giorno stavo in casa sua insieme a Enzo Siciliano, quando Siciliano uscì io chiesi ad Alberto: “è un bravo scrittore?” rispose sibillino “è un brav’uomo…e un ottimo critico“. A Sabaudia un giorno d’estate uscimmo con la sua macchina per comprare qualcosa e lui vedendo tutte le donne con un Peplo addosso cominciò a canticchiare: ” le signore col peplo, col peplo, col peplo, col peplo” e non la finiva mai. Eravamo ospiti della sua villa sul mare , io, il Pittore Tornabuoni, la mia ex moglie Ornella. Ogni tanto entrava qualche giovane sconosciuto che voleva parlare con Moravia ma lui non li invitava ad uscire, semplicemente non trattava con loro, come se non li vedesse, i quali dopo un poco se ne andavano capendo. Racconto l’ultimo episodio perché non la finirei mai. Aveva scritto un articolo per il Corriere della Sera si trattava di un tema importante politico . Telefonò al giornale e poi attonito mi si avvicinò e mi disse “ma lo sai cosa mi ha detto il centralinista?” “cosa” dissi “mi ha detto -ma signor Moravia ma lo sa che la pubblicano in prima pagina?- lo disse come se mi facessero un favore. Nel frattempo una nuova telefonata e lui tornò contento come un bambino “era il Direttore che mi chiedeva scusa”.
Mi diceva che lui avrebbe dovuto fare il Pittore e non lo scrittore, convinto che la pittura comunicasse meglio della letteratura, Chissà se ci credeva davvero. Siamo stati amici fino alla sua morte e ci vorrebbe un libro per raccontare tutto, ma io appunto sono un pittore, anche se lui voleva sempre leggere i miei saggi sula pittura e sul cinema che pubblicavo per la rivista di cinema Ciennepi, e nella presentazione che mi fece sul catalogo della mostra che dedicai al Regista Robert Altman Alberto mi onorò scrivendo in apertura del suo pezzo “Domenico Colantoni è un pittore che scrive, il che non è affatto raro:spesso i pittori sono dei grafomani: più raro è scrivere come Colantoni. Voglio citare un suo articolo sulla propria opera affinché la sua lucidità mi aiuti ad essere lucido a mia volta” questo per dire il rapporto intellettuale che intercorreva tra di noi e che più di un biografo ha volutamente taciuto o minimizzato, ma fa testo la immensa documentazione soprattutto fotografica che documenta la nostra amicizia e le lettere che generosamente scrisse per me a uomini del calibro di Mailer e Straus, ma poco importa. Il quadro di Robert e Katrine Altman , olio su tela 200x 150 cm., Si trova ora nella collezione del MACRO di Roma che lo acquistò nel 1989.
Mi sono chiesto di raccontare la mia amicizia con Alberto Moravia, non si può raccontare a meno che non ti inventi delle favole suggestive. Alberto Moravia e’ come una montagna e poco fa una amica russa dal nome suggestivo di Irina, acuta osservatrice della natura mentre passeggiavamo nel mio paesello abruzzese, dove tante volte venne Alberto, mi ha chiesto “quanti anni ha quella montagna che ancora mi sembra viva?” Cosa dovevo risponderle? A me appena penso al mio amico mi vengono in mente le sue grandi mani nodose con delle vene in rilievo come le tubature di una complicato meccanismo del sangue nutriente per fiorire nella mente dello scrittore straordinarie invenzioni o verità storiche: ricordo la bellezza dell’ultimo libro letto “Ritorno da Parigi” dove il sesso non si realizza mai, il libro mi ha messo in imbarazzo ma un imbarazzo sacro e profano che solo la sua mente poteva partorire passando per quelle vene. Sono un pittore e quindi vedo le cose da pittore. Ricordo i suoi sbadigli surreali dove la bocca si allargava tanto da sembrare potersi spaccare.
Le folte sopracciglia come certi rovi spinosi dove sembra avesse nevicato. Ritengo inutile raccontare tutti gli scherzi che ci facevamo attraversando via del babbuino o le battute durante le inaugurazioni che facevamo della sua mostra. Ho vissuto l’amico Moravia Come fosse un mio ideale modello o modella del rinascimento, ve l’ho raccontato con delle immagini che lui affermava essere i più bei ritratti a lui mai fatti , tanto da ingelosire Guttuso che non venne mai a quella mostra nella galleria nella quale anch’egli aveva esposto. Ricordo che durante un’ascesa in ascensore Alberto un giorno prese a sospirare profondamente e io gli chiesi “Perché sospiri così?” mi rispose sottovoce: “non ho voglia di vivere e ho paura di morire”.
Domenico Colantoni nato nella Marsica nel 1938 ha studiato a Urbino e ha vissuto a Milano e Roma, è pittore, disegnatore e filmaker. Oltre a innumerevoli mostre tenute in vari continenti, tra cui ricordiamo georgiche 2000 esposta alle Scuderie Ruspoli e nella camera degli sposi a palazzo ducale di Mantova, Ha realizzato 5 film d’autore.
PER ALBERTO MORAVIA NEL 25° DELLA SUA MORTE
di Elio Pecora
Quel 26 settembre mi trovavo a Perugia, per la conclusione di una mostra-convegno sulla vita e l’opera di Sandro Penna. Sedevo nella sala da pranzo dell’Hotel Rosetta con Roberto Deidier e con Cesare Garboli. Non era ancora tempo di telefonini e un cameriere venne a dirmi che mi cercavano al telefono. A chiamarmi, e a dirmi che Moravia era morto, qualche ora prima, caduto nel bagno, nella sua casa romana di Lungotevere della Vittoria, era Donna Moylan, una pittrice americana che avevo incontrato più volte negli ultimi mesi a cena con Moravia. Tornai sconvolto al tavolo, non mi parve che Garboli fosse colpito dalla notizia, ma lui era stato ed era fra i sacerdoti di Elsa Morante. A Roma, qualche ora dopo, il portiere di Lungotevere della Vittoria mi disse che la salma era stata portata nella Protomoteca del Campidoglio, che sarebbe stata aperta al pubblico la mattina seguente.
Il giorno dopo, presto la mattina, al Campidoglio , lui nella bara scoperchiata, il volto colorito con quel suo cipiglio fra ironico e interrogante, le mani forti nodose. Poi la pena degli amici più prossimi, una folla di romani che andava crescendo di ora in ora, i funerali nella piazza sotto il Marco Aurelio con Umberto Eco che ne elogiava la limpidezza e fluidità della scrittura, con Enzo Siciliano e Bernardo Bertolucci che ne dicevano il lungo affetto.
Nei giorni e negli anni che seguirono mi è mancata molto la sua presenza, la sua allegria. Perché, se allegria è ricchezza di umori, spessore di energie, Moravia ne era fortemente dotato. Il suo guardare insieme scontento e divertito dentro la sostanza dell’altro e dell’intera società! L’ irrequietezza briosa, la fruttuosa inquietudine! L’uomo Moravia pativa la noia e, contro quella continua minaccia, moltilplicava le sue attenzioni. Se la precarietà del vivere e l’insensatezza del mondo erano per lui cause di malinconia e finanche di sconforto, a quelle opponeva un’ instancabile curiosità e, dunque, un’ interminabile alternanza di mai chiuse risposte e di mai concluse domande.
Sono stato per vent’anni amico di Moravia. L’avevo conosciuto nel 1970, presentato da Dario Bellezza. Non mi sono mai riconosciuto fra quelli che, per opinione diffusa, venivano compresi nella famiglia moraviana. D’altronde ben sapevo che lui, l’autore celeberrimo, era del tutto alieno dalle appartenenze e dalla protezioni. ( In certi casi di fortune poco meritate si poteva parlare di scaltrezza nell’adoperare la sua vicinanza). Dunque, lungo vent’anni, ho potuto parlare tanto con lui, anche animatamente, sempre con una rispondenza di gusti e fuori dalle stretture di una società per molti versi occupata da valori laceri e da discutibili apparenze. Ci sono stati anni in cui siamo andati al cinema più volte a settimana, sempre di pomeriggio, nelle sale semivuote, con spettatori che ci tacitavano e lui di udito tardo che vedeva con gli occhi dell’intelligenza più aguzza. ( Moravia aveva una rubrica di cinema su “L’espresso”, e io scrissi per qualche anno anche di cinema, oltre che di prosa e di poesia, su “La Voce Repubblicana”). Di più: ci incontravamo molto spesso a cena in casa di amici dove le discussioni si infervoravano e dove lui, che non si negava agli inviti, si congedava tra i primi. A Sabaudia, fra luglio e agosto, fittavo una piccola casa in paese e raggiungevo sul lungomare la sua casa progettata da Ferretti, un parallelepipedo diviso in due con Pasolini. In quella casa ho trascorso molte giornate estive e da lì, di mattina, dopo le sue ore di scrittura, uscivamo per salire al Circeo, per sostare nella piazza davanti al bar noto per i minuscoli cornetti alla crema, per scendere in spiaggia, mai smettendo di discorrere di libri, degli avvenimenti politici, di conoscenti comuni, di nuove scritture.
Un’amicizia senza ombre, un affetto sicuro, reciproco. Ho scritto molte volte di lui e dei suoi libri, su giornali e riviste. Ho molto amato i suoi libri di viaggio, dove abbandonava il teatro romano dei suoi romanzi borghesi e dei suoi racconti, per lasciarsi a un mondo primario dove il suo respiro si faceva più ampio e ardito, dove il mistero e la bellezza e l’orrore si palesavano nelle pagine chiare e veloci.
Una settimana prima della sua morte Nello Aiello mi chiese per “La Repubblica” di intervistare Moravia. Era appena stata pubblicata da Bompiani la sua biografia firmata da Elkann, e si voleva che Moravia ne parlasse con un amico. Andai a metà del mattino al Lungotevere della Vittoria, sedemmo nel suo studio, su un divanetto di lato allo scrittoio di legno chiaro, sotto un dipinto di Schifano. Disse molto di quel libro in cui si era raccontato dall’infanzia di malato all’età tarda che non allentava energie. Sarebbe partito quel giorno stesso per Parigi, dove avrebbe firmato il suo libro per i suoi tanti lettori francesi. Eravamo di continuo interrotti dal telefono e lui ogni volta si alzava, con notevole sforzo della gamba malata, ma con la vivezza di chi si porta dentro un’ inattaccabile giovinezza. M’aveva detto fra l’altro che, due giorni prima, il cardiologo aveva trovato quel suo cuore inquieto e irrequieto di vent’anni più giovane della sua età anagrafica. Mi salutò sulla porta di casa quel mattino di settembre, aspettò che entrassi nell’ascensore.
26 settembre 2015
Elio Pecora, Sant’arsenio 5 aprile 1936, è autore di poesie, romanzi, saggi critici, testi teatrali, prose e poesie per bambini. Ha curato antologie di poesia italiana e letture pubbliche di poesia. Ha collaborato a quotidiani, settimanali, riviste, programmi Rai. Dirige la rivista internazionale “Poeti e poesia”.
1982 - SERATA ROMANA A CASA DEL POETA ELIO PECORA, UN FILM DI DOMENICO COLANTONI CON ALBERTO MORAVIA, DOMENICO COLANTONI, MARIO LUZI, DARIO BELLEZZA, MARIA LUISA SPAZIANI, MICHELE RAK, ENZO GOLINO, ANTONELLA AMENDOLA E ALTRI ANCORA.
NEW YORK CITY : MORAVIA A CENA DA ROGER STRAUS
conversazione con Jonathan Galassi
Jonathan, innanzi tutto grazie di questo contributo per ricordare Alberto Moravia
Ma figurati David, è un piacere!
Ecco che ormai sono venticinque anni che è scomparso, come si erano conosciuti con Straus ?
Allora sappi che Straus aveva intrapreso subito dopo la guerra a viaggiare frequentemente in Europa proprio per motivi editoriali e grazie a questi viaggi aveva da subito legato alla sua casa editrice molti grandi scrittori proprio nei loro inizi di carriera, in Italia Levi e Moravia per esempio, e Moravia fu da subito uno degli autori certamente tra i più importanti di Farrau straus & Co, come ancora si chiamava la casa editrice nei primi tempi prima di diventare Farrar Straus and Giroux.
“La Romana” pubblicata da Straus con il titolo “The women of Rome” fu un best seller in America..
E’ vero, si era appena agli inizi di questa grande avventura editoriale in quella fine degli anni 40, nel 1949 per l’esattezza, e la casa editrice di Straus non navigava economicamente in ottime acque ; questo libro, insieme a “Cristo si è fermato ad Eboli” di Levi, uscito nel 47 e a “la lotteria” di Shirley Jackson, uscito anche esso nel 49, certamente fu rilevante anche sotto questo punto di vista oltre che per il grande prestigio artistico. Poi a partire dal 50 le cose cambiarono, Straus con una serie di colpi giusti nella gestione e nella scelta dei collaboratori ribaltò la situazione avviando la casa editrice verso la storia di successi che ormai tutti conosciamo
Ti posso chiedere, visto che hai iniziato giovanissimo a lavorare nella Farrar Straus and Giroux, che oggi dirigi, se hai mai incontrato di persona Alberto Moravia?
Una Volta si ad una cena per lui a casa di Straus. Era abbastanza vecchio ma Sempre elegante–con l’ultima moglie—Carmen. Il guaio è che quella sera non ho quasi parlato con lui, non lo conoscevo infatti . È perciò non avrei nulla di significante da dire!
Beh.. il “non significante”può riservare delle sorprese a volte, quanto meno essere suggestivo, e le suggestioni sono sempre feconde, e ti confesso che anche io per esempio l’ho più visto parlandoci infatti raramente, anche per la considerevole differenza di età, e invece molto ascoltato. Era spesso a casa dai miei ma siccome, come capita nell’adolescenza, odiavo un po’ mio padre diffidavo del suo mondo , che osservavo però attentamente, e rifiutando ciò che era di mio padre ovviamente rifiutavo anche i suoi amici specie quelli che sapevo essere molto importanti. Poi sai quando ho cominciato a leggere Moravia? la notte che ho sentito alla radio che era morto: Ho provato un dolore insospettato, agro. Provavo affetto per quell’uomo ma non avevo realizzato questo fatto fino a quando era morto. E cosi ho avuto poi uno straordinario rapporto con la sua assenza piena dei suoi libri, ma dunque chi c’èra quella sera?
Beh se mi ricordo bene, c’erano come ho detto, la moglie Carmen, e c’èra Dorothea Straus, moglie di Roger e scrittrice di classe lei stessa, donna veramente straordinaria, poi c’èra la scrittrice irlandese Edna O’Brien e se non sbaglio l’editore e scrittore Roberto Calasso. Sapevo che Moravia e gli Straus erano amici da lungo tempo. Roger aveva pubblicato quasi tutto di Moravia dal dopoguerra. In quei giorni eravamo arrivati al periodo, di “the voyeur” – l’uomo che guarda: forse non il migliore Moravia, ma egli era tuttavia uno dei talenti fondamentali della casa editrice e con Straus si stimavano e anche amavano se non sbaglio. Importante anche ricordare il “link” culturale/etnico del loro ebraismo -decisivo- per tutti e due, cosa che storicamente indagata potrebbe essere molto fertile per comprendere questo rapporto culturale
Si parlò di cose impegnative in quella sera oppure no?
Fu una serata più o meno lieve ed amichevole di chiacchierate e anche di gossip. Roger non si mostrava come un intellettuale –benché Dorothea invece lo fosse assolutamente. Lui preferiva un tenore piuttosto mondano…
Interessante questo aspetto di Roger Straus come “non intellettuale”; mi viene da pensare che lo fosse cosi concretamente con la sua attività di far esistere gli altri intellettuali pubblicandoli da trovare poi inutile di esserlo in una conversazione.
Probabilmente è cosi, certo.
Jonathan tu hai incontrato molti scrittori di grandissima levatura, mi viene da pensare, tanto per dirne uno immenso, a Brodsky premio Nobel e autore della tua casa editrice, e tanti, veramente tanti altri premi Nobel, cosa impressionante questa, che con Straus avete pubblicato: però la figura di Moravia resta una figura gigantesca, anche semplicemente per il suo vissuto storico, basti pensare all’emozione annotata nel 1954 da Albert Camus nel proprio diario mentre sta andando a Roma ad incontrarlo. Quindi nonostante tu sia stato abituato a incontrare scrittori anche immensi, ecco che effetto ti faceva di stare cenando con questo uomo che nel nel 1935 aveva già pubblicato “ Le ambizioni sbagliate”, e ancora prima appena 18 enne “Gli indifferenti” romanzi dove, a mio avviso la materia atroce di quella umanità che sarebbe stata capace di sostenere in massa il nazismo, come anche gli altri “ismi”, è secondo me già rivelata nella materia della sua scrittura; parlo della materia di questo cinismo senza ritorno dell’umanità alienata, di cui trasudano le sue migliori scritture: ecco, cosa ti è restato impresso di Moravia durante quella cena?
Una impressione enorme, Si una figura culturale davvero impressionante. Lo ricordo come un grande, di un’eleganza innegabile, racchiuso forse in se stesso piu’ che normalmente, dato che non era a casa sua, nella sua patria, ma ospite di un amico straniero. L’ho poi visto ancora un’altra volta alla Columbia University con Alain Elkann, ed era molto più a suo agio. Rideva. Ma era sempre semplice e onesto. Era la’…stava la’ senza farsi notare troppo…
Grazie di questa testimonianza Jonathan
Grazie a te.
Jonathan Galassi è nato a Seattle, attualmente è il presidente ed editore della casa Editrice Farrar Straus and Giroux di New York, dove è entrato a lavorare nel 1985 come redattore esecutivo. Oltre a Ciò è egli stesso poeta, traduttore e Romanziere. Ha tradotto e pubblicato negli States Leopardi e Montale. E’ autore di diverse raccolte poetiche di cui in italiano, da Annalisa Cima, è stato tradotto “north street dityrambs” , ed è da pochissimo uscito il suo romanzo La Musa per Guanda Editore.
ALBERTO MORAVIA E LA FRATTURA DEL GRUPPO 63
di Renato Barilli
Il Gruppo 63, nei nostri furenti anni di gloria e di accese polemiche, si è spaccato in due, fra chi stimava Moravia e riteneva che non fosse da “rottamare”, e chi invece riteneva che un primo atto di bonifica del clima nostrano dovesse proprio consistere nel buttarlo alle ortiche. A dire il vero, non si può parlare di spaccatura, dato che a pretendere di salvare Moravia eravamo solo in due, lo scrivente, e il grande Edoardo Sanguineti, in cui fin da allora ero pronto a intravedere il numero uno della poesia novissima e anche il più risoluto a livello critico, solidale con me anche nell’avanzare dubbi su Gadda, cui invece andava il plauso degli altri. Io vedevo in Moravia colui che, circa alla metà del secolo, aveva raccolto l’eredità dei due padri fondatori delle nostre fortune narrative novecentesche, Svevo e
Pirandello, nella limpidezza con cui affrontava la radicale crisi dei valori dandone conto con linguaggio lucido, laddove Gadda si salvava in corner tuffandosi in una confusione linguistica, seppure abile e piacevole, ma per quella via, altro che ritrovare Joyce, come pretendevano i miei compagni di banco, al contrario si ricadeva in un barocchismo degno dell’ultima scapigliatura ottocentesca. Questa mia convinta adesione all’autore degli Indifferenti mi ha meritato qualche raro ma cordiale incontro con lui, subito dopo l’uscita della “Barriera del naturalismo”, 1964, dove appunto lo accoglievo nell’olimpo dei valori che contano. Ricordo un invito a casa sua, a mangiare dei rigatoni abbastanza normali, ma innalzati, dal commensale Garboli, piaggiatore consumato, in un prodotto eccezionale, mentre Dacia Maraini stava attenta ad ascoltare la lezione del maestro e compagno di letto, in quegli anni, che la ammoniva a scrivere qualche pagina ogni giorno, di primo mattino, ma senza esagerare per non andare in surmenage, come del resto faceva lui stesso, che nel pomeriggio lasciava la macchina da scrivere e frequentava gli instituts de beauté per curare la sua pelle o andava ad acquistare cravatte favolose, e infine si infilava nelle sale cinematografie per svolgere puntualmente il suo dovere di recensore sulle pagine dell’”Espresso”, dove ho avuto il piacere e l’onore di essergli al fianco per numerosi anni nella rubrica d’arte, meritandomi le lodi di qualcuno come miglior rubrichista, accanto a lui, per una medesima lucidità di dettato. Ricordo il momento di una sua grave crisi di salute che ne aveva provocato il ricovero in clinica, dove con la sua voce stridula ripeteva come fosse una giaculatoria: “Sono stanco di vivere!”, così come qualche altro avrebbe potuto dichiarare che era stanco di mangiare marmellata di arance. Fu un’occasione particolare, perché era rivolta a dedicargli un servizio fotografico tale da permettere a Domenico Colantoni di ricavarne uno dei suoi magistrali ritratti ad alta perfezione mimetica, che dovrebbero dargli una fama da accostare a quella della star statunitense Alex Katz.
Poi, Moravia si è rialzato da quel letto, ha ripreso quota, è riuscito a trovare di nuovo una compagna, continuando nel suo regolare esercizio di scrittura, fino a un ultimo racconto commissionatogli dalle Dolomiti del Brenta, in cui si è ricollegato alla prova iniziale, “Inverno di malato”, concepito nel sanatorio di Cortina d’Ampezzo. E io altrettanto regolarmente ho continuato a tributargli i segni della mia “lunga fedeltà”, ho indotto Cortina a dedicargli un omaggio nel ventennale della sua scomparsa, ho steso un profilo ampio ed esaustivo su commissione dell’amico Walter Pedullà, per la Storia della letteratura da lui realizzata in collaborazione con Nino Borsellino. Infine, sto scrivendo un altro saggio globale su di lui, ma inserito in un contesto di grande ambizione, infatti lo colloco accanto a Sartre, Camus, Scott Fitzgerald, Gombrowicz in un libro di prossima uscita presso Mursia, intitolato ai Narratori della generazione di mezzo, ovvero a coloro che hanno fatto da ponte, dai grandi innovatori quali Joyce, Proust, Woolf, Musil, da me esaminati nella Narrativa europea in età contemporanea, già uscito presso Mursia, fino a passare il testimone alle varie manifestazioni di Nouveau roman che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, avendo in comune la ripulsa verso personaggi eccezionali e un culto sistematico, esasperato, capillare di ogni esistenza comune, valorizzata proprio nella sua mediocrità. Che è quel carattere che appunto non si è mai perdonato a Moravia, non comprendendone la sicura portata storica.
Renato Barilli, Bologna 18 agosto 1935, Critico letterario, critico d’arte. Ordinario al DAMS di Bologna. Studi su Giovanni Pascoli, Luigi Pirandello, Italo Svevo, Gabriele D’Annunzio. Ha preso parte alla neoavanguardia degli anni Sessanta, culminata nel Gruppo 63 di cui è uno dei fondatori. Come critico d’arte ha storicizzato le esperienze d’avanguardia, dalla pop art alla body art.
MORAVIA E' VIVO
di Renzo Paris
Alberto Moravia è vivo. Abita nell’attico di un palazzo di una cittadina laziale. Non sta molto bene in salute ma può ricevere, sempre che la donna che risponde a telefono lo permetta. Ultracentenario non mostra di affaticarsi se lo si invita a fare una passeggiata. E’ ancora vispo e curioso di quello che nel mondo si dice di lui. Quando gli ho detto che negli States il suo “Agostino”, ristampato, è diventato un bestseller mi ha sorriso ed era come se ne fosse al corrente, come se il suo editore americano glielo avesse comunicato.
Renzo Paris è nato a Celano nel 1944. Poeta, narratore e critico, ha pubblicato diversi romanzi, da “Cani sciolti” a “Il fenicottero”a “Pasolini ragazzo a vita”. Ha pubblicato due libri di poesie: “Album di famiglia” e “Il fumo bianco”. Su Moravia ha scritto “Una vita controvoglia” ,”Alberto Moravia” e “Ritratto dell’artista da vecchio”.
INFERNO 25
di David Colantoni
Tanto per dire, nel 1935, 43 anni prima di incontrare mio padre nel 1978, entrando trionfalmente nella vita della mia famiglia, Alberto Moravia era già stato negli Stati Uniti, e vi aveva tenuto delle conferenze sul romanzo Italiano. Aveva anche già scritto una lunga lettera a Ciano per difendere il suo secondo romanzo “Le ambizioni sbagliate” dalla censura di Neos Dinale. nel 1937 era stato in cina volando a 5000 metri di altitudine. Ancora prima a Berlino nel 1934, inseguendo un amore, Trude, aveva visto Hitler ritrovandosi in una folla di nazisti. E altre innumerevoli esperienze capitali per la storia della cultura che lo avevano visto sempre comprimario.
Questa idea di profondità temporale abissale del suo vissuto mi faceva letteralmente impazzire, come una vertigine, un collasso, un disguido della coerenza dello spazio tempo, un perturbazione insostenibile delle mie trombe di eustacchio, non saprei descrivere. Mio padre non era ancora nato, i miei nonni non avevano ancora concepito nell’hortus conclusus dell’alveo del prosciugato lago Fucino il germe di mio padre tra le fatiche dei cafoni fontamaresi e le prepotenze principesche di Torlonia, che già Moravia diventato giovane adulto si aggirava negli Stati Uniti, attraversando tra strade gremite di una tecnologia aliena alla arcadica Italia di allora la New York leggendaria dei tempi di Al Capone. Aveva attraversato ere storiche, era un viaggiatore del tempo approdato a noi da altre ere scomparse, questa cosa in qualche modo mi terrorizzava e mi affascinava. Aveva egli 71 anni quando fu dirottato dall’audacia affamata di mio padre, che era stato bambino sopravvissuto agli orrori della seconda guerra Mondiale, poi giovane figlio di artigiani marsicani emigrati a roma negli anni in cui vi sbarcava anche il giovane maestro Pasolini, e infine giovane Pittore e Filmaker negli anni 70, a vedere la proiezione dei suoi film, lui che quel giorno era capitato per altro al cineclub L’Occhio l’Orecchio e la Bocca. “perché non viene a vedere i miei film” aveva detto mio padre opponendosi fisicamente nel corridoio a che Moravia potesse andare via“quando durano?” aveva gridato Moravia insospettito e suppongo però, lui viaggiatore tra popoli primitivi, anche attratto dalla selvatica energia del giovane pittore e filmaker fucense dallo sguardo da pazzo, “nemmeno dieci minuti” aveva mentito mio padre, invece solo il più lungo dei cinque film durava 25 minuti. Moravia però era restato guardandoli tutti. Di più, il giorno dopo aveva fatto di questo giovane emigrante un artista conosciuto e guardato con una certa attenzione nella capitale con una recensione sulla sua famosa rubrica di cinema in risposta ad una altra insperata recensione già arrivata di Natalia Ginsburg. Dei semplici giganti.
Nel 1978 Moravia del resto era già completamente Moravia. Nessuno poteva accostarglisi con innocenza. Non doveva essere facile per lui. Era egli una public figure mondiale; lo “etichetto” cosi come Moravia stesso aveva “etichettato” a sua volta Mishima in una prefazione ad una riedizione di Morte di Mezza Estate pubblicato quando egli da poco tempo aveva compiuto lo spettacolare suicidio giapponese. La nostra vita familiare, suppongo, subì le conseguenze di una trasformazione radicale in seguito a questo clamoroso incontro, di una frenesia di mostre, proiezioni, interviste, articoli , cene, gente, in continuo transito nel nostro attico romano di monteverde e poi nella immensa villa settecentesca sulla portuense. I professori delle elementari prima e quelli delle medie poi presero inascoltati dai miei a bombardare di telefonate casa per lamentarsi e avvisare che i due bambini erano sempre stanchi, che disturbavano, che non seguivano, che restavano disperatamente indietro. La nostra casa, non potevano immaginare loro, corpo insegnanti, essere diventata un permanente raduno beatnik di artisti poeti attori o semplici pazzi o mitomani che si intrattenevano divorando a quattro ganasce cene su cene in interminabili conversazione che si spegnevano solo verso le albe, e io e mia sorella che facevamo le ore piccole ad ascoltarli in piedi dietro la porta della cucina per correre a nasconderci quando uno di loro dove recarsi ai remoti bagni che stavano in fondo alla casa e vicino alle nostre stanze. La mattina a scuola cadevamo poi con la faccia sui banchi, e soprattutto la noia mortale ci coglieva di lezioni assolutamente incapaci di competere con il notturno carnevale intrigante e logorroico di casa nostra. Ci stavamo alienando, sottoposti allo stress di un ambiente assolutamente anormale rispetto a quello che vivevano i nostri compagni e non riuscivamo a rientrare il giorno nei ranghi della normalità. Brutte notizie insomma per noi. Mentre mio padre macinava successi noi sprofondavamo nel più totale fallimento scolastico con conseguenze morali non indifferenti, una ostilità ingovernabile con il corpo insegnanti che inascoltato e addirittura disprezzato dagli artisti finiva con il trasferire su di noi un aperto rancore, per esempio.
Forse restò attratto Moravia oltre che dai lavori di mio padre, anche dal clamore disperato di questa coppia bipolarmente legata da un rapporto quasi feroce e sadomasochistico, e un po’ antropologicamente e pasolinianamente criminaloide, per carità non colpevolmente, ma a causa delle perfettamente spiegate cause storiche su cui infatti avevano avuto forti divergenze d’opinione Moravia stesso con Pier Paolo, di questi figli che avevano cominciato a disprezzare i propri padri e perciò, profondamente se stessi, e di cui ne doveva pagare il prezzo capitale della perdita della ragione mia sorella, la più piccola, la più fragile, naturale indirizzo ultimo delle forze distruttive oltre che creative certamente che scaturivano da questi due giovani, mio padre e mia madre, i quali, provenendo da famiglie recentemente inurbate, formatisi caratterialmente ben altrove che sulla cultura, per recuperare i millenni di ignoranza nel sangue si ingozzavano confusamente e abulicamente di sapere , assimilandolo in maniera spesso contorta, certamente geniale quanto tremendamente pericolosa.
Rapporto urlantemente strindberghiano, totale guerra senza quartiere tra sessi, una casa imbevuta di tensione e violenza, la mia, oltre che di meravigliose istigazioni alla creatività, e che forse ricordava a Moravia, attraendolo terribilmente , sono solo alcune delle infinite ipotesi che ho meditato negli anni, sotto forme psicologicamente molto più primitive e grezze, il rapporto di continua tensione che aveva avuto con Elsa Morante. permettendogli di studiarlo in modello. Anche mia madre, come Elsa aveva fatto con Moravia, aveva in tutti i modi immaginabili offeso e turpiloquiato mio padre, mio padre avendo altre specialità nel gioco sadomasochistico su cui era imperniata la loro relazione, e quando i baracconi carnevaleschi della croccante cultura notturna o pomeridiana, che andava velocemente virando verso l’industria culturale, delle comitive fumanti e beventi di giovani artisti toglievano gli accampamenti dagli ampi divani di immacolato e vellutato camoscio di casa nostra in cui sempre più spesso affondava anche Moravia, con la lunga gamba tubercolotica gettata sul pavimento, ella cadeva in una raccapricciante depressione, credo si trattasse di questo, e innalzando nebbie di sigarette, le colombo, che fumava senza requie e che mi ordinava di andare a comprare a qualsiasi ora sulla circonvallazione giannicolense, iniziava con una voce sempre più roca agra e atrocemente disperata a eloquire inimmaginabili insulti all’indirizzo di mio padre impegnato in un ampio salone adibito a studio nelle sue pitture e intento all’ascolto dalla filodiffusione della musica esistenzialista di Mina. Io e mia sorella arroccati nelle nostre stanze udivamo e immaginavamo di questo ventre pieno di vermi di mia nonna evocato dalle immaginazioni recitate di mia madre, che aveva partorito il nostro genitore. Finché anche lui abbandonati i pennelli scendeva in guerra. Allora la casa diventava un inferno schizofrenogenico, inferno che mio padre aveva fatto diventare uno di quei film underground, sotterranei per l’appunto, che Moravia quel giorno al cineclub era restato inchiodato a vedere : “interno 25” in questo caso, registrando una di queste feroci liti e usandola come sonoro per le riprese dettagliate di ogni particolare della casa come in una lenta autopsia. Film in cui si sentono le grida disperate di mia sorella aggredita da mia madre, ma in generale da tutto l’intero della violenza, grida vere, soccombere a questa Auschwitz in 16esimo per bambini ( da cui il mio amore quasi patologico per l’ebraismo e la mia identificazione con la storia degli ebrei): infatti solo la debolezza di un bambino offeso e maltrattato è paragonabile, il che non significa dire uguale, senza alcuna retorica ai destini delle vittime della storia. Film che tutti i signori dell’arte di allora da Alberto Moravia alla Celebre femminista Adele Cambria avevano gradito ammirare seduti sulle proprie certezze ideologiche nelle varie proiezioni. La Cambria inorridita per mia madre non si poneva invece minimamente il problema di quell’urlo di disperazione di una bambina, cosa ovvia dacchè lei era una femminista e non una bambinista. ho sempre chiamato in me stesso quel film Inferno 25 e inferno 25 è il titolo del romanzo con il quale uno di questi giorni faro i conti scrivendolo anzi che vado scrivendo da anni.
Alla Cultura non si può sottrarre quello che è anche il tema del Lachete di Platone: la cura, la preoccupazione per lo sviluppo delle generazioni più giovani e sotto la nostra tutela -non tanto del come formarle, che potrebbe sapere di illibertà ai giorni nostri, ma perlomeno del come non deformarle- senza con ciò ridurla immediatamente a un feticcio. Ed è invece quello che accadde a cui non sfuggi in generale nemmeno Moravia.
Da ultimo bisogna anche dire che mia madre, si era negli anni 70 appunto, era donna di estrema bellezza, figlia di una Medea croata che, è l’idea che mi sono fatto, per vendetta contro il padre che la aveva abbandonata da piccola per emigrare nelle Americhe da cui non aveva mai fatto ritorno, aveva tradito il suo popolo resistente per un Giasone fascista italiano approdato in Dalmazia con l’occupazione e seguendolo in una Corinto di fuliggine e di pavimenti di terra battuta sugli appennini ernici, proprio nei giorni di quel settembre del 43 in cui Moravia fuggiva con Elsa nelle stesse montagne pressapoco, appena poco poco più a sud, da una Roma divenuta pericolosa. Dunque mia madre compariva in uno di questi film con cui mio padre si era presentato al romanziere, in una nudità, cosa abbastanza comune in quegli anni di rivoluzioni dei costumi, a tratti oscena, brutalmente genitale, è di fatto questa la verità insomma , che non doveva avere lasciato dormiente l’erotomane che aveva anche dominato la vita di Moravia come un daimon.
Possiedo ancora non avendo mai acconsentito a gettarlo, a lasciarlo andare via, come il cimelio sopravvissuto di questa ormai mitica famiglia smembrata e distrutta, la mia, il lungo divano di camoscio, che fu in quei giorni fiammante e nuovo, vi vedo ancora Moravia in un angolo (e ancora oggi mi ci sprofondo io esattamente dove soleva egli, sempre ma solo per un attimo con un senso di perfetta immedesimazione in lui) eccolo infatti con il bacino quasi sporgente sul vuoto per lo slancio della sua gamba malata così che la testa e tutto il busto risultavano incassati facendolo sembrare gnomo dalle grandi e spigolose orecchie a vederlo seduto quando era invece molto alto per un uomo nato nei primi del 900. Il lungo e nodoso braccio destro e le tre dita della mano a sostegno del volto dallo sguardo acuto ed enigmaticamente eroico, di quegli occhi scintillanti che avevano visto fascismo e nazismo apparire sul mondo, e poi scomparire, dopo 40 milioni di morti ammazzati: lo ja dei tedeschi sostituito dallo Yas dei liberatori (ridens) , così come lo aveva sentito e descritto il marito dell’inglesina, il gappista Bentivegna nelle sue memorie banditesche e centocellesche.
Se vi capiterà di guardare questo famigerato film d’autore Inferno 25 o Interno 25 a seconda del punto di vista politico da cui lo guarderete, osservate la differenza tra le nostre camere di bambini , esteticamente richiamanti una miseria da prima rivoluzione industriale inglese e la stanza adibita alla società degli artisti del salotto, opulento, raffinato e ricco: è chiara la struttura riprodotta nella famiglia tra adulti e minori di una lotta di classe vinta a tavolino dagli adulti senza nemmeno essere combattuta, cosa che mi fa di prima istanza comprendere l’orrore assoluto Moraviano per l’istituzione familiare.
Questo per dire che l’arte fu anche una alta tensione su cui restarono carbonizzate le nostre infanzie.
E anche per dire che nessuno di questi artisti , Moravia compreso , Gigante della costellazione di astri che vidi splendere in questo planetario familiare, ma anche egli accompagnato certamente da eclissi morali e intellettuali, che bivaccarono accampati nelle loro euforie estetizzanti nei pressi delle nostre vite, problematizzarono mai le conseguenze delle loro azioni sulle nostre vite infantili e dunque incapaci di difendersi da sole, e mai essendo realmente presenti al senso del loro agire. Alienati in poche parole. E in questa mancanza di attenzione e tutela verso le minoranze, verso le culture fragili, verso la debolezza costitutiva, verso il delicato, che sono tutte cifre che costituiscono l’infanzia come la prima dimensione assolutamente politica che noi esperiamo, per il semplice motivo che siamo costretti a correlarci con forze spaventosamente più grandi della nostre possibilità di difendercene, vedo esserci scritto fin da quei giorni ormai abbastanza lontani il destino della sconfitta odierna della cultura in questo principio di terzo millennio. Del resto Moravia non ha mai rinnegato il suo amore sviscerato per il decadentismo, anzi di essere egli assolutamente un decadente, sebbene nell’accezione positiva del termine. Per questo io poi più che da un Moravia trionfante nella storia della cultura, sebbene estremo ammiratore dell’altezza del suo intelletto e della bellezza della sua lingua, restai affascinato dalla storia di estrema attenzione e rigorosa delicatezza, ovvero dalla dimensione decisamente politica della coscienza, e anche di scelte cruciali che non ammettevano anfibismi e per questo fin troppo facilmente e aprioristicamente indirizzate appunto alla dolcezza della sconfitta, che mi svelò e trasmise suo cugino Aldo Rosselli, con il quale strinsi un sodalizio di amicizia pluridecennale finito solo con la sua morte nel 2013, con la scoperta della immensa cultura degli sconfitti della storia che discendeva, nelle sue estese ramificazioni, dai destini che i cugini carnali di Alberto Moravia (la loro madre, Amelia Rosselli sorella di suo padre) Nello, padre di Aldo, e Carlo Rosselli, avevano scelto e le cui vite esemplari avevano secondo me influenzato in maniera inconscia quanto irrevocabile gli aspetti più alti dei concetti etico politici Moraviani ( per esempio la diffidenza da sempre verso lo stalinismo) e che dialetticamente collegati alla suo nichilismo e al suo scetticismo e alla sua immensa cultura e sensibilità ne avevano fatto lo straordinario intellettuale e artista che è stato.
Ho scritto per ultimo in questa commemorazione perché ultimo ero in questa storia essendoci prima dovuto crescere dentro per potere pensare di potermici minimamente confrontare, non potendo infine non dire che queste cose al posto di altre che credevo avrei scritto più confortanti e rassicuranti. Henry Miller ha scritto in Tropico del cancro che scrivere è aprirsi gli intestini e rovesciarli sul tavolo. Evidentemente e mio malgrado era la giusta occasione questa celebrazione dei Venticinque anni dalla scomparsa di Alberto di un piccolo taglio, appena un graffio piuttosto ma già abbastanza doloroso quanto inquietante sul rapporto della vita con l’arte. So che Moravia, uomo intellettualmente onesto e coraggioso, lo avrebbe sommamente apprezzato.
ore 05, 08 del 26 settembre 2015.
In memoria di Alberto Moravia.
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