Potrebbe essere il vaso di Pandora, quello scoperchiato due giorni fa dall’EPA, l’Agenzia di Protezione dell’Ambiente statunitense. E che ha portato poche ore fa alle dimissioni Martin Winterkorn il potente ex-amministratore delegato di Volskwagen. La multa verso Volkswagen che riguarda i limiti d’inquinamento delle auto potrebbe allargarsi.
In poche parole l’agenzia, che è emanazione del governo, ha accusato il colosso tedesco, in procinto di diventare il più grande costruttore d’auto del mondo, imbrogliando, termine che ormai si può dire, i test antinquinamento imposti dalla legislazione statunitense, ma la cosa potrebbe non finire qui. Vediamo i numeri. Tanto per incominciare mancano all’appello 10,5 milioni d’automobili della casa del Maggiolino. Mentre Volkswagen ha dichiarato che le auto con “problemi” sono 11 milioni, l’Epa ne ha messe sotto accusa “solo” 500mila, quelle presenti sul mercato americano. E quindi se la matematica non è un’opinione anche altri mercati sono afflitti dallo stesso problema. Ma ciò potrebbe non dare luogo ad azioni legali visto che le legislazioni sono differenti. Comunque grave il bilancio sull’inquinamento. Il Guardian infatti ha calcolato, utilizzando la base dati di EPA che le autovetture incriminate, 11 milioni, avrebbero emesso tra le 230mila e le 950mila tonnellate di NOx.
Tornando alla legislazione, gli Usa per esempio snobbano la CO2 e valutano molto gli NOx, l’Europa esattamente il contrario, anche se c’è da dire che una differenza di 40 a 1, nel tasso d’inquinamento degli NOx – questa la pistola fumante trovata dall’EPA sotto al cofano delle Volkswagen vendute negli Usa – qualche problema nel Vecchio continente potrebbe porlo. Quindi la prima cosa sono le dimensioni del fatto, che si potrebbero allargare. Seconda cosa c’è la sfiducia generalizzata delle borse degli ultimi due giorni nell’intero settore. La perdita sulle quotazioni di borsa di Volkswagen è impossibile riportarla per i continui ribassi, solo il primo giorno ha perso oltre il 18% – bruciando in borsa qualcosa come 25 miliardi di euro in due giorni – , mentre Fca, Peugeot, Renault e Mercedes hanno perso tra il 6 e il 9%. Non esattamente una passeggiata. Chiaro quindi che i mercati hanno manifestato una sfiducia di fondo nel settore automobilistico, specialmente quello europeo. Con Fca che essendo presente anche sul mercato Usa è quella che limita le perdite: il 6,2.
E da qui partiamo per analizzare cosa succede in Europa e su cosa si basa questa sfiducia. Dagli anni novanta Il comparto delle auto europeo ha puntato, tutto senza alcuna eccezione, sulla motorizzazione Diesel grazie all’evoluzione di questo propulsore introdotta dal Common Rail inventato dal gruppo Fiat e successivamente ceduto a Bosch – ennesima pagina nera della mancanza di visione delle aziende italiane. Ma questa è un’altra storia – che ha migliorato le prestazioni del 20%, diminuito i consumi del 15% , ridotto l’inquinamento, abbassato la rumorosità, rispetto al “vecchio diesel”. Il tutto in uno scenario europeo dove il gasolio ha oggi un costo tra il 10 e il 20% – in quegli anni era il 50% – in meno rispetto alla benzina. Insomma un’occasione ghiotta per le case automobilistiche in cerca d’offrire novità al mercato, imboccando quello che si sarebbe rivelato un tunnel. E negli ultimi venti anni la corsa del Diesel non si è fermata. Da qualche punto in percentuale oggi in Europa siamo al 50% di diffusione, il 55% in Italia, con difficoltà sempre crescenti d’adeguamento tecnologico.
L’alta percentuale di polveri sottili emesse dal diesel, infatti, ha complicato la sua realizzazione introducendo dei costi accessori in fase di produzione che sono in aumento. Alcuni analisti, infatti, hanno calcolato che l’adeguamento alla norma Euro 7 dei motori diesel – ora siamo a Euro 6 – costerebbe ai costruttori 2.500 di costi di produzione in più. Una cifra che manderebbe fuori mercato tutta la produzione automobilistica Diesel della fascia media bassa. Guarda caso quella nella quale è più attiva proprio Volkswagen. E alla luce di ciò, quindi, appaiono chiare le alzate di scudo del settore di fronte agli “attacchi” dei mesi scorsi a questa tecnologia.
«Proibire motori a gasolio o dire che sono la fonte di tutti i mali è sciocco e sbagliato», ha detto Sergio Marchionne, presente alla riunione a porta chiuse dell’Acea, l’associazione dei produttori automobilistici europei, all’ultimo Salone dell’Auto di Ginevra, che ha avuto all’ordine del giorno anche l’annuncio del Sindaco di Parigi, Anne Hildago, che vuole vietare nella capitale francese tutte le vetture diesel dal 2020, indipendentemente dalla classe Euro. E che dire dell’offensiva tutta tedesca, Governo Merkel compreso, dell’autunno 2013 nel quale l’esecutivo tedesco tentò in tutti i modi di far saltare l’obbligo all’anno 2020 del limite d’emissione di CO2 fissato a 95 grammi/kilometro, norma che secondo la Cancelliera avrebbe penalizzato l’industria tedesca – specializzata in auto di grande cilindrata Diesel. E lo scontro non fu all’acqua di rose se l’allora ministro dell’Ambiente italiano Andrea Orlando disse: «Abbiamo fermato la melina della Germania». Ma l’attacco non si è fermato perché nel 2014, un anno dopo, il settore dell’auto europeo, questa volta compatto, riesce a far ritirare, ufficialmente per “migliorarla” la bozza ufficiale della nuova direttiva sulla qualità dell’aria della quale a oggi si sono perse le tracce. Questo lo scenario esistente. Cosa può succedere ora? Il problema è complesso anche perché assieme ai trucchi sulle emissioni, che possono essere risolti, in Europa, per decreto anche semplicemente lasciando stabili i limiti d’emissione, per i prossimi anni, ci sono altri due “scheletri nell’armadio“. I consumi dichiarati e i certificati di conformità.
Sui primi qualcosa si sta muovendo. Un recente studio dell’ong Transport & Environment ha rilevato che i veri consumi delle auto sono tra il 23 e il 50% in più di quelli dichiarati e che i sistemi per truccare i dati farebbero impallidire il prestigiatore Houdini. Si va dalla chiusura delle fessure delle portiere per migliorare l’aerodinamica, al distacco dell’alternatore per consumare di meno, passando per le modifiche dei freni e la maggiore pressione delle gomme per diminuire l’attrito. E qui siamo sul fronte della frode commerciale, cosa che non potrebbe essere risolta con interventi normativi. E infatti stanno partendo sia in Europa, sia negli Usa le prime minacce di class action. Ma lo tsunami deve ancora venire. E si chiama certificato di conformità, ossia la dichiarazione di conformità con l’omologazione della CE. Tradotto. È il certificato che di fatto afferma l’equivalenza dalla singola auto – ossia la vostra – con quella che è stata testata in laboratorio. Un documento che molti esperti del settore auto, a bassa voce, definiscono “inaffidabile” da almeno due decenni. E visti i presupposti dei controlli a monte della filiera si potrebbero avere dei dubbi anche su questo ultimo anello che se dovesse cadere minerebbe definitivamente la fiducia dei consumatori verso il settore auto. E attenzione. Il certificato di conformità non riguarda solo emissioni e consumi ma anche un capitolo molto importante: quello della sicurezza.