Luis Orellana e Maria Mussini, due degli ormai numerosi ‘pentiti’ tra i parlamentari eletti con il Movimento 5 Stelle, erano stati facili profeti ai primi di agosto, alla chiusura estiva delle Camere: “Le premesse per la ripresa a settembre dei lavori su unioni civili e coppie di fatto non sono delle migliori. Non saranno le vacanze agostane a risolvere il grosso problema politico, tutto interno alla maggioranza, che blocca il disegno di legge”. Anzi, le previsioni dei due ex grillini erano state perfino troppo ottimistiche, visto che alla prova dei fatti il dibattito (chiamiamolo pure scontro) non si è certo sopito grazie al solleone, ma anzi ha finito per prendere ulteriore fuoco. Colpa, o merito, del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che proprio nei giorni del meeting annuale di Comunione e Liberazione, ha usato parole chiare, e non certo nuove in assoluto, per sottolineare la posizione della Chiesa. Chiesa che “crede nella famiglia come è riconosciuta dalla nostra Costituzione e come corrisponde all’esperienza universale dei singoli e dei popoli: papà, mamma, bambini, con diritti e doveri che conseguono il patto matrimoniale. Applicare gli stessi diritti della famiglia ad altri tipi di relazione è voler trattare allo stesso modo realtà diverse: è un criterio scorretto anche logicamente e quindi un’omologazione impropria”. Peraltro, conclude Bagnasco, “i diritti individuali dei singoli conviventi, del resto, sono già riconosciuti in larga misura a livello normativo e giurisprudenziale”.
MAGGIORANZA DIVISA
Sono i giorni del meeting di Rimini, giorni in cui le parole di Bagnasco trovano sponde e megafoni mediatici tali da elevarle subito a notizia. Parole che riescono perfino a instaurare una tregua nei rapporti tra la Chiesa e la politica di centrodestra, resi traballanti nei giorni appena precedenti dalle uscite di monsignor Galantino (il numero due della Cei) sull’immigrazione. Il problema è che parte di quel centrodestra, quello di Area Popolare, fa parte di quella maggioranza che ha partorito il ddl sulle Unioni civili, che porta la firma di Monica Cirinnà, e che alla ripresa dei lavori parlamentari è atteso al vaglio del Senato. Per Graziano Delrio, uno degli uomini più ascoltati da Matteo Renzi, non ci sono dubbi: “la legge va fatta”. E va fatta entro fine anno, come ha più volte ribadito il premier dettando il timing di una riforma che già così, come da allarme di Orellana e Mussini, procedeva per strade tortuose, con 1500 emendamenti ancora da affrontare in Commissione e lavori sostanzialmente bloccati.
Dentro Area Popolare però sono stati in molti a condividere le parole di Bagnasco (che quando chiama in causa la Costituzione lo fa in relazione all’articolo 29, che dice che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” riconoscendo quella composta da uomo e donna la famiglia naturale, ndr): da Gaetano Quagliariello all’ex ministro Maurizio Lupi fino a Carlo Giovanardi, che spiega: “Siamo pronti a riconoscere diritti ai singoli ma totalmente contrari al testo Cirinnà che apre la porta a reversibilità, adozioni e all’utero in affitto”.
I NODI AL PETTINE
In realtà il testo attuale del ddl Cirinnà non prevede la possibilità di adozioni per coppie gay, ma solo la stepchild adoption, ovvero la possibilità per il componente di una coppia omosex di adottare il figlio avuto dal proprio compagno in un rapporto antecedente. Mentre sulla reversibilità pensionistica e su tutto il regime giuridico, attualmente equiparato al matrimonio ‘naturale’, ci sarà battaglia: è il punto in cui si concentrano la maggior parte degli emendamenti di Ap e delle altre opposizioni di centrodestra. Se poi anche all’interno dello stesso Pd le posizioni sono diverse (“non corrisponde alla volontà degli italiani una equiparazione con i matrimoni tra uomo e donna” frena il democratico Giacomo Portas) allora è proprio vero: il ddl sulle unioni civili, a settembre, è destinato ad essere un grosso caso politico.