Urge ancora una volta tornare a parlare del Venezuela, per contrastare le false notizie ed analisi che ci vengono quotidianamente propinate dai principali mezzi di comunicazione europei e nordamericani. Le elezioni per l’Assemblea Costituente, come abbiamo avuto modo di sottolineare nel nostro ultimo articolo sul tema, hanno segnato infatti un’importante vittoria per il governo del presidente Nicolás Maduro, dimostrando che la maggioranza dell’elettorato venezuelano si trova in realtà dalla parte della rivoluzione bolivariana iniziata da Hugo Chávez ed ora portata avanti dal suo successore. Il velo che copriva il vero volto dell’opposizione è oramai stato rimosso.
OPPOSIZIONE INTERNA: LA DISSOLUZIONE DOPO LA COSTITUENTE
Tornando alla narrazione “ufficiale” dei fatti, i nostri media ci hanno per mesi raccontato di un fronte compatto pronto a qualsiasi cosa pur di destituire il “dittatore” Maduro. La verità, però, era ben altra, e la MUD (Mesa de la Unidad Democrática) non era affatto omogenea come si voleva far credere. Fino a quando si era creata l’illusione di poter rovesciare il legittimo governo del PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) e dei suoi alleati riuniti nel GPP (Gran Polo Patriótico), l’opposizione aveva effettivamente mostrato un volto unitario, che è però venuto a mancare nel momento della sconfitta.
L’occasione che ha dimostrato la vera natura di questo fronte antirivoluzionario è stata quella della presentazione delle liste per le prossime elezioni regionali. La MUD si è così spaccata tra coloro che si sono dichiarati favorevoli alla partecipazione alla tornata elettorale, e coloro che invece hanno deciso di optare per il boicottaggio. Il partito AD (Acción Democrática), il cui segretario è Henry Ramos Allup, fa parte della prima schiera: secondo i dirigenti di AD, non partecipare vorrebbe dire concedere una vittoria totale a Maduro. Di parere opposto, ad esempio, Maria Corinna Machado, di Vente Venezuela, secondo la quale una partecipazione elettorale rappresenterebbe una legittimazione ed una collaborazione nei confronti del governo in carica.
Ciò che sembra chiaro, è che la massiccia partecipazione popolare verificatasi in occasione delle elezioni per l’Assemblea Costituente ha completamente spiazzato l’opposizione. Indipendentemente da quelle che saranno le scelte della MUD, alle elezioni regionali probabilmente si verificherà una nuova vittoria per Nicolás Maduro: non dimentichiamo, infatti, che da quando il PSUV è diventato il partito di governo, in Venezuela si sono tenute ben ventidue consultazioni elettorali, venti delle quali vinte proprio dal partito di Chávez e Maduro. Degli eventi che non sembrano proprio corrispondere alla definizione di “dittatura”.
Oltre alle considerazioni politiche, va fatto notare anche come, con il successo delle elezioni per l’Assemblea Costituente e lo sfaldamento del fronte delle opposizioni, nel Paese sia tornato un clima di pace relativa: una prova sufficiente per identificare chi fossero i reali fautori del caos e dei crimini che hanno travolto il Venezuela negli ultimi mesi.
LA VERA OPPOSIZIONE A MADURO SI TROVA A WASHINGTON
La sconfitta delle opposizioni interne, ha rappresentato un brutto colpo anche per chi, ad una latitudine molto più settentrionale, sperava nella caduta di Nicolás Maduro. Negli ultimi mesi era diventato sempre più palese come, dietro alle proteste venezuelane, ci fossero dei lunghi fili che portavano fino alle mani dei burattinai di Washington. Nel momento in cui la classe dominante statunitense ha capito di non poter più contare sulla MUD, ridotta in brandelli dopo la derrota elettorale, ecco che è stato lo stesso governo a stelle e strisce a sentirsi in dovere di scendere in campo in prima fila.
Fino ad allora, anche l’impulsivo ed irrazionale Donald Trump aveva tenuto la lingua a freno, confidando nell’operato dei suoi amici venezuelani. Una volta resosi conto dei fatti, tuttavia, l’inquilino della Casa Bianca ha incominciato a sbraitare contro la malvagia dittatura di Maduro, in maniera non dissimile da quanto accade con la Corea del Nord. Il copione è sempre lo stesso, ovvero quello di far apparire il nemico di turno come un malvagio dittatore che opprime il suo popolo, e lo Zio Sam come il salvatore degli oppressi in difficoltà. Siamo di fronte, ancora una volta, a “l’ovvia tentazione di rafforzare la ‘guerra al terrorismo’ e l’interventismo USA al fine di far girare il motore dell’economia”, direbbe Slavoj Žižek.
Per capire, una volta per tutte, come agiscono gli Stati Uniti sullo scacchiere globale, si può fare riferimento alle parole di George Frost Kennan, figura chiave del Dipartimento di Stato degli USA nel secondo dopoguerra. Nel documento intitolato Policy Planning Study 23, Kennan scriveva: “La nostra attenzione deve essere concentrata ovunque sui nostri obiettivi nazionali immediati […]. Dobbiamo smetterla di parlare di obiettivi vaghi e irreali come i diritti umani, il miglioramento delle condizioni di vita e la democratizzazione. […] Meno saremo ostacolati da slogan idealistici, meglio sarà”. Come fa notare Noam Chomsky, il documento è stato a lungo tenuto top secret: “Per rasserenare il pubblico, era necessario strombazzare gli ‘slogan idealistici’ (come accade costantemente anche adesso), ma in quel caso di pianificatori stavano parlando tra di loro”.
In pratica, quello che ci sta dicendo, è che ogni volta che sentiamo parlare dai mezzi di comunicazione ufficiali di “diritti umani e democratizzazione”, in realtà si tratta solamente di una copertura per occuparsi dei “nostri obiettivi nazionali immediati”, ovvero quelli degli Stati Uniti. Il caso del Venezuela non fa certo eccezione, soprattutto in un continente, come l’America Latina, che per Washington ha sempre rappresentato il proprio giardino di casa. Lo stesso Kennan si riferiva a questa terra, che si estende dal Messico alla Patagonia e che ha la sfortuna di trovarsi sullo stesso continente degli Stati Uniti, non con un termine geografico, ma parlando de “le nostre materie prime”.
Un altro punto che Chomsky mette in evidenza, è l’utilizzazione dell’accusa di “comunismo” nei confronti dei Paesi terzi da parte degli Stati Uniti, un espediente utilizzato soprattutto ai tempi della guerra fredda – ed è facile capirne le ragioni – ma ancora oggi assolutamente in voga. “Qualunque siano le idee politiche delle persone che sostengono una responsabilità diretta del governo per il benessere delle persone”, scrive l’accademico di Philadelphia, “i pianificatori statunitensi lo chiameranno comunismo”. Tornando ancora una volta alle parole di Kennan, per gli Stati Uniti “è meglio avere un regime forte al potere che un governo liberale che sia indulgente e penetrato dai comunisti”.
Possiamo dunque affermare che il governo venezuelano di Chávez e Maduro corrisponde perfettamente alle definizioni di “comunismo” appena fornite. Le vere colpe di Caracas, per parlare schiettamente, sono quelle di aver tentato di mettere in piedi politiche per ridurre la diseguaglianza e la povertà nel Paese, e quelle di aver permesso l’accesso alla sanità ed all’istruzione alle fasce della popolazione più svantaggiate. Ma, cosa ancora più grave, il governo bolivariano si è macchiato dell’inammissibile reato di aver leso gli interessi degli Stati Uniti nel campo petrolifero ed in altri settori dell’economia, procedendo ad un’ondata di nazionalizzazioni, che in realtà avrebbe meritato di essere molto più ampia. Tutti fatti inaccettabili per Washington.
IL SOSTEGNO INTERNAZIONALE AL VENEZUELA
Quando gli Stati Uniti alzano la voce contro un Paese terzo, come al solito possono contare su tutta una schiera di stati genuflessi agli interessi di Washington, Italia ed Europa comprese. Le possibilità di un intervento militare a stelle e strisce nel Paese sudamericano, tuttavia, non sono così elevate come vorrebbe far credere Donald Trump, visto che dalla parte di Maduro si sono schierati Paesi di non poca importanza.
Le parole di Donald Trump nei confronti del Venezuela, se fossero venute da parte di qualche sedicente capo estremista islamico, sarebbero state certamente classificate come “minacce terroristiche”. Tuttavia, trattandosi del presidente dello stato egemone a livello globale, sono state fatte passare per accettabili da tutti i mezzi di comunicazione più importanti. “Quei Paesi dell’America Latina che sono compiacenti con l’intervenzionismo degli Stati Uniti in Venezuela stanno svendo la propria dignità e la propria sovranità”, ha avvertito il presidente boliviano Evo Morales. “La base della nostra legittimità come governi è la sovranità e l’indipendenza dei nostri popoli. L’intervenzionismo viola questo principio”.
Per quanto importante sia l’appoggio della Bolivia nei confronti del Venezuela, che del resto non è mai venuto a mancare sin dall’elezione di Morales, questo non basterebbe di certo ad intimidire gli Stati Uniti. In passato, Washington ha già disposto a proprio piacimento di questo Paese andino, il cui riscatto è iniziato proprio con l’elezione dell’attuale presidente nel 2006. A porre qualche problema ai piani imperialisti di Donald Trump sono invece le dichiarazioni arrivate da Russia e Cina.
“Tutti i Paesi devono condurre le proprie relazioni bilaterali su base di eguaglianza, di rispetto reciproco e di non ingerenza negli affari interni dell’altro”, ha ricordato la portavoce del Ministero della Relazioni Estere della Repubblica Popolare Cinese, Hua Chunying. Semplici regole del diritto internazionale che dovrebbero valere per tutti, ma che gli Stati Uniti sembrano non aver mai compreso a fondo. “Siamo d’accordo sulla necessità di superare rapidamente le divergenze esistenti in questo Paese esclusivamente attraverso il dialogo pacifico, un dialogo nazionale senza alcuna pressione esterna”, ha aggiunto Sergej Lavrov, Ministro degli Esteri della Federazione Russa, che a Mosca ha ospitato in questi giorni proprio il suo omologo boliviano, Fernando Mamani Huanacuni.
CONCLUSIONE: IL VENEZUELA NON FA ECCEZIONE
“In un documento dopo l’altro, i pianificatori statunitensi hanno affermato la propria visione secondo la quale il pericolo principale per l’ordine mondiale a guida statunitense era il nazionalismo del Terzo Mondo: ‘regimi nazionalistici’ che rispondono alla domanda popolare per l’immediato miglioramento degli standard di vita delle messe e per la produzione basata sui bisogni interni”. Questo monito di Noam Chomsky può essere applicato pedissequamente a tutti i casi nei quali gli Stati Uniti si sono immischiati negli affari interni di altri Paesi, sia con interventi militari diretti che finanziando colpi di stato: ancora una volta, il Venezuela si inscrive perfettamente in questo schema.
“Gli Stati Uniti hanno tollerato le riforme sociali solo quando i diritti dei lavoratori venivano soppressi e veniva mantenuto un clima favorevole per gli investimenti esteri […] . In base a questo, le politiche degli USA nel Terzo Mondo sono facili da comprendere. Ci siamo costantemente opposti alla democrazia se il risultato non poteva essere controllato. Il problema delle vere democrazie è che sono inclini a cadere in preda all’eresia che i governi dovrebbero rispondere ai bisogni della propria popolazione, anziché a quelli degli investitori statunitensi”. C’è bisogno di aggiungere altro?
BIBLIOGRAFIA
CHOMSKY, Noam (1992), What Uncle Sam Really Wants
KENNAN, George (1948), Policy Planning Study 23
ŽIŽEK, Slavoj (2009), Dalla tragedia alla farsa
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