Dopo il referendum fasullo indetto dall’opposizione, i cui numeri restano dubbi e mai verificati, lo scorso 30 luglio si è tenuta finalmente la tornata elettorale per l’Assemblea Costituente voluta dal presidente Nicolás Maduro in Venezuela. Una votazione, questa volta, in piena regola, sotto il controllo degli organismi previsti dalla costituzione vigente (la commissione di controllo del voto è composta al 50% da esponenti vicini al governo e al 50% da esponenti dell’opposizione) e con la supervisione delle Nazioni Unite. L’affluenza alle urne, superiore agli 8 milioni di elettori (per la precisione 8.089.320), ha schiacciato anche i dati più ottimistici del referendum delle opposizioni, sancendo una chiara vittoria del presidente Maduro e della rivoluzione bolivariana ai danni dell’opposizione.
LE OPERAZIONI DI VOTO
Mentre il referendum delle opposizioni è stato pubblicizzato in tutto il mondo occidentale, nonostante si trattasse di un’operazione illegittima e contraria alla costituzione, le elezioni per l’Assemblea Costituente, sulla carta alta espressione di democrazia, sono state stigmatizzate dalla stessa stampa europea e nordamericana, con pochissime eccezioni. La verità, testimoniata dalle immagini, è che si sono registrate file straripanti di persone già alle 4 del mattino per affermare l’autodeterminazione del popolo venezuelano contro ogni minaccia e ricatto da parte della borghesia nazionale e delle potenze straniere: non va dimenticato, del resto, che già in passato il processo della rivoluzione bolivariana aveva subito degli attacchi, ma a rispondere sono sempre stati i venezuelani, scendendo nelle piazze anche quando Hugo Chávez fu arrestato in occasione del tentativo di colpo di stato del 2002.
Nonostante il boicottaggio indetto dalle opposizioni, nonché le tante azioni di disturbo – anche violento – messe in atto dalle stesse, alla fine più di otto milioni di cittadini hanno espresso la loro solidarietà con la saggia decisione del presidente Maduro di istituire un’Assemblea Costituente, raggiungendo numeri che non si erano mai visti nemmeno al tempo del compianto comandante Chávez. Tuttavia, i media occidentali continuano a dipingere il governo di Maduro come dittatoriale ed inviso alla maggioranza della popolazione, nonostante l’eloquenza dei numeri.
Considerando che in Venezuela vi sono circa 19.5 milioni di aventi diritto al voto, le votazioni per l’Assemblea Costituente hanno visto un’affluenza alle urne del 41.5%, dati documentati con certezza ed avallati anche dagli osservatori delle Nazioni Unite. Al contrario, permangono fortissimi dubbi sui 7.5 milioni di votanti reclamati dalle opposizioni in occasione del loro referendum, vista l’incongruenza di alcune statistiche, in particolare quelle riguardanti i cittadini residenti all’estero: dalla Spagna, ad esempio, sarebbero arrivati ben più voti rispetto al totale dei venezuelani che vi risiedono! Vi è poi anche il dato dell’evidenza visiva, quello delle persone che si trovavano in fila davanti alle urne, infinitamente superiore in occasione delle elezioni per la Costituente.
Per chi avesse la memoria corta, ricordiamo che, sin dall’ascesa al potere di Hugo Chávez, il PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) ha perso solamente due tornate elettorali sulle ventuno svoltesi, con la sconfitta più importante che resta quella del 2015, quando a vincere fu l’opposizione del MUD (Mesa de la Unidad Democrática), guidata da Jesús Torrealba. In quell’occasione, il PSUV ed i suoi alleati della coalizione del Gran Polo Patriótico (GPP) raccolsero 5.6 milioni di voti: ne possiamo dunque dedurre che in questi due anni il governo bolivariano ha guadagnato circa 2.4 milioni di consensi in più.
SCONTRO FRONTALE CON GLI STATI UNITI
Sono state però le ore direttamente successive alle elezioni a svelare la natura di ciò che sta accadendo in Venezuela. Fino ad ora lo scontro era stato dipinto come un evento tutto interno al Paese sudamericano, ma finalmente gli Stati Uniti hanno gettato la maschera, ammettendo – ovviamente non in maniera diretta – di essere i veri burattinai dell’opposizione venezuelana. Le sanzioni volute da Donald Trump non sono altro che la dimostrazione di tutto ciò, nonché un’ammissione della sconfitta subita dalle opposizioni. Gli Stati Uniti hanno infatti capito che il popolo venezuelano, nonostante tutte le angherie subite e le campagne di disinformazione mediatica, è ancora dalla parte del presidente Maduro e del processo rivoluzionario. Valutato il fallimento dell’opposizione interna, a Washington non resta altro se non intervenire direttamente nella questione.
“Questa Costituente – ha dichiarato Maduro dopo la pubblicazione dei risultati – ha il compito di portare ordine, fare giustizia e difendere la pace. L’Assemblea Nazionale Costituente è lo spazio per il dialogo di tutti i venezuelani, per tutta la gente onesta che vuole pace”. Uno dei punti cardine del programma della Costituente è anche quello di ridurre la dipendenza dell’economia nazionale dal settore petrolifero, che si è dimostrato essere il punto più vulnerabile in questi ultimi anni, quello che ha dato l’occasione alle opposizioni di lanciare l’odiosa offensiva contro Maduro.
Ma ad avere maggior risalto è stata proprio la risposta di Maduro a Donald Trump ed al nuovo tentativo dell’imperialismo nordamericano di mettere le mani sul Venezuela e, naturalmente, sul petrolio del primo produttore del continente di questa importantissima risorsa, nonché del Paese che detiene la maggioranza delle risorse di combustibili fossili del pianeta. “Facciano pure ciò che vogliono con le loro sanzioni”, ha risposto il presidente venezuelano, “io non ubbidisco ad ordini imperialistici di governi stranieri. Sono il presidente indipendente di una nazione libera, la Repubblica Bolivariana del Venezuela”. Poi ha continuato: “Il Venezuela non starà in silenzio, al contrario, continuerà a proclamare le proprie verità e a difendere la propria sovranità”.
Appare dunque evidente come oramai tutte le carte sul tavolo siano scoperte: dopo anni in cui il Venezuela ha guidato il fronte antistatunitense nel continente, Washington sperava di vendicarsi annientando i progressi fatti dalla rivoluzione bolivariana attraverso un colpo di stato orchestrato dall’interno. Un piano miseramente fallito, che ora ha bisogno dell’intervento diretto degli Stati Uniti e dei suoi alleati genuflessi come d’abitudine – Italia compresa -, il tutto mentre la stampa occidentale continua nel tentativo di inculcare nell’opinione pubblica l’idea di un Maduro dittatore, per giustificare qualsiasi tipo di sanzione o di intervento contro Caracas.
LA RUSSIA SOSTIENE IL VENEZUELA
A sostegno del presidente Maduro e della rivoluzione bolivariana si sono naturalmente schierati i suoi storici alleati, come Cuba, il Nicaragua, la Bolivia. Il presidente boliviano Evo Morales, il più fedele amico del Venezuela sin dai tempi di Chávez, è stato alquanto eloquente nelle sue dichiarazioni: “Il Venezuela è la punta di diamante della lotta contro l’impero. La sovranità e la dignità sono nella coscienza del popolo e nel potere della democrazia”, laddove l’impero è naturalmente quello statunitense.
Come in un perfetto scenario Guerra Fredda, però, a scendere in campo al fianco del legittimo governo venezuelano c’è anche la Russia, che non ha esitato ad inviare un comunicato ufficiale di solidarietà verso Caracas. “Notiamo con dispiacere che le forze di opposizione non solo non hanno risposto alla convocazione elettorale, ma hanno tentato di impedire il voto. Facciamo appello affinché le due parti fermino l’insensata contrapposizione violenta”. E poi si legge ancora: “Speriamo che i rappresentanti della comunità regionale e internazionale mostrino moderazione, e rinuncino ai loro piani distruttivi che possono acutizzare la polarizzazione della società. In questo momento è importante evitare una spirale di violenza”. Un chiaro riferimento alle sanzioni di Washington, che colpirebbero innanzi tutto il popolo venezuelano, più che il governo in sé.
Ma non si tratta di un effetto collaterale: esasperare il popolo venezuelano, come abbiamo ripetuto in tanti articoli precedenti, rientra esattamente nel piano statunitense. L’obiettivo, oramai da anni, è quello di rendere invivibile la situazione per poi appioppare tutta la colpa a Maduro ed al suo governo, declamando le solite ricette liberiste come unica soluzione per venire fuori da una crisi che è in realtà principalmente esogena. È quanto si evince dal comunicato ufficiale statunitense che, al contrario di quello russo, usa toni di chiaro incitamento alla violenza: “Continueremo a portare vanti azioni forti e rapide contro gli architetti dell’autoritarismo in Venezuela”, o ancora “incoraggiamo i governi nell’emisfero e in tutto il mondo ad agire con forza”. Per ora stiamo parlando “solamente” di un attacco economico al Venezuela, ma chi ci garantisce che domani tutto ciò non si trasformi in un intervento militare? Nel frattempo appare evidente che a volere la pace e la democrazia non sono né gli Stati Uniti né gli esponenti dell’opposizione.
COME PROSEGUIRÀ IL PROCESSO COSTITUENTE
Il governo di Caracas, come ha dichiarato lo stesso Maduro, andrà avanti sulla sua strada indipendentemente dalle azioni imperialistiche di Washington. I popoli sudamericani, del resto, sono abituati a subire le angherie del loro ingombrante vicino nordamericano, e molto spesso ne hanno pagato il prezzo con il sangue. Ciò che più importa, è che il processo costituente continui nella forma prestabilita: quella delle elezioni di domenica scorsa, infatti, era solamente la prima tappa verso la scrittura della nuova costituzione, che andrà a sostituire quella varata nel 1999 da Hugo Chávez, come primo atto della neonata rivoluzione bolivariana.
La Costituente inizierà i propri lavori per proporre la nuova costituzione secondo le linee guida che già abbiamo indicato: garantire la pace nel Paese, migliorare il sistema economico per renderlo meno dipendente dal petrolio, rafforzare i diritti e le conquiste sociali della rivoluzione bolivariana, rendere il processo democratico sempre più partecipativo, ma anche preservare l’ambiente e la vita sul pianeta. Al termine dei lavori della Costituente, tutte le proposte della stessa verranno sottoposte ad un nuovo voto popolare: saranno dunque i venezuelani, attraverso un referendum, ad avallare o respingere la nuova costituzione.
Agli occhi di un qualunque osservatore neutrale, dovrebbe sembrare un processo altamente democratico e partecipativo. Eppure, i principali mezzi d’informazione (ammesso che sia questa la parola da usare) vogliono convincerci del contrario, che si tratti di un’azione di forza del presidente Maduro, reo – sempre secondo le stesse fonti – di voler accentrare tutti i poteri nelle sue mani. Al contrario, a noi sembra che siano le opposizioni a voler interrompere la democrazia in Venezuela, quella democrazia che ha trovato stabilità solamente dal 1999, quando è salito al potere Chávez, dopo decenni che hanno visto il susseguirsi di colpi di stato e di dittature, spesso con Washington come attore protagonista da dietro le quinte.
CONTINUARE A SOSTENERE LA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA
Esposti i fatti e compiute le nostre considerazioni, non possiamo far altro che esprimere la nostra solidarietà alla rivoluzione bolivariana. Come abbiamo avuto modo di spiegare in un articolo ad hoc (che troverete tra i link in basso), il governo di Caracas non è certamente esente da colpe, prima di tutte quella di non aver annientato la borghesia nazionale come classe sociale, e di non essersi preparato all’offensiva che prima o poi sarebbe arrivata. Tuttavia, crediamo che l’esperienza del Venezuela rappresenti un punto di riferimento fondamentale per tutti i Paesi latinoamericani che vogliano uscire dal giogo dell’imperialismo statunitense, e che le conquiste di questi ultimi diciotto anni siano di portata infinitamente maggiore rispetto agli errori ed ai limiti.
Non va dimenticato, infatti, che la rivoluzione bolivariana del Venezuela ha rappresentato uno dei primi fattori di rottura di quel mondo unipolare che gli Stati Uniti avevano tentato di costruirsi dopo il crollo dell’Unione Sovietica: quando la Russia era ancora nella mani dell’innocuo Boris Eltsin, quando la Cina non aveva ancora raggiunto la portata attuale, quando Cuba era rimasta sola ed isolata, il Venezuela fu il primo Paese di un certo peso economico e strategico a ribellarsi al mondo unipolare a guida statunitense. Ora, dopo che altri Paesi si sono inseriti nella strada tracciata da Chávez, è venuto il momento di difendere quel baluardo dalle grinfie dell’aquila nordamericana.
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