Uscito nel 2004 negli Stati Uniti con il titolo di Confessions of an Economic Hit Man, il libro più noto tra quelli firmati da John Perkins è poi stato pubblicato in Italia l’anno successivo come Confessioni di un sicario dell’economia. Da liceale già politicamente schierato, questo testo mi colpì molto, confermando molte cose che già sapevo e supponevo, ma aggiungendoci delle certezze e dei particolari da brivido. Riletto oggi, con dopo aver studiato all’Università ed intrapreso la mia attività nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, il testo di Perkins ha assunto dei connotati ulteriori: innanzi tutto, perché con le conoscenze acquisite nel frattempo mi ha dato molte più informazioni di quelle che avevo acquisito ad una prima lettura; ma anche per la perplessità che ha suscitato nel momento in cui ho realizzato che, sebbene milioni di persone l’abbiano letto, la situazione esposta dall’ex SDE (sicario dell’economia, per l’appunto) è rimasta identica se non addirittura peggiorata.
“Un libro spaventoso: se non fosse così fortemente motivato, sembrerebbe incredibile“: così descrisse l’opera Corrado Augias, alla sua uscita in Italia. E allora, se la realtà che Perkins ci descrive è così spaventosa, perché non ha suscitato una reazione di massa?
Per chi non avesse idea dell’argomento trattato dal libro, eccovi un brevissimo riassunto: Perkins ci spiega che nel mondo esistono delle persone, i sicari dell’economia, di cui lui ha fatto parte in passato, che hanno il compito di influenzare con le buone o con le cattive i governi di Paesi terzi per i comodi degli Stati Uniti. L’obiettivo, ci dice Perkins, è di impoverire sempre più alcuni stati, per renderli più facilmente soggiogabili da parte del governo di Washington, con la collaborazione di una élite locale corrotta. Andando ben oltre le teorie del complotto, Perkins racconta nel dettaglio le sue esperienze in numerosi Paesi, dall’America Latina al Medio Oriente, dalla questione del canale di Panama all’arricchimento improvviso dell’Arabia Saudita, divenuta un imprescindibile alleato degli Stati Uniti, tanto da permettere ai sauditi di finanziare in silenzio numerosi gruppi terroristici. I racconti di Perkins sono poi stati addirittura confermati da diversi documenti resi noti da WikiLeaks, e la sua capacità di descrivere le cose dall’interno rende il testo di questo autore più accessibile ad un pubblico di larga scala rispetto a libri più teorici – ad esempio quelli di Noam Chomsky – che pure affermano cose tutt’altro che dissimili.
Come Il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels ispirò rivolte e rivoluzioni per un secolo e mezzo di storia, il libro di Perkins sarebbe stato in grado di far nascere un movimento mondiale dagli Stati Uniti ai più poveri Paesi africani. Certo, Confessioni di un sicario dell’economia non offre vere e proprie soluzioni, e neanche assume una posizione politica precisa: Perkins non si dichiara anticapitalista, anzi afferma di essere un patriota statunitense che vuole ispirarsi ai principi dei Padri Fondatori. I fatti descritti, però, non possono che suscitare un profondo sentimento di antiamericanismo, inteso come avversione per il governo di Washington e non certo per il popolo di quel Paese, che – come disse l’ex presidente venezuelano Hugo Chávez – è tra le prime vittime del suo stesso governo.
Ci chiediamo, allora, se non sia venuto il momento di lanciare una campagna planetaria di boicottaggio contro tutte le multinazionali statunitensi, che detengono gran parte del potere nel mondo, dando vita alla cosiddetta “corporatocrazia“. Come privati cittadini, questo sarebbe già un grande passo in avanti, che potrebbe quanto meno portare ad un riorientamento dell’assetto economico mondiale, naturalmente se fossero in milioni a comportarsi in questo modo. In seconda battuta, tutti i popoli del mondo dovrebbero pressare sui propri governi per abbattere quello che Perkins definisce senza mezzi termini “l’impero globale”: chiedere ai propri governi di abbandonare le istituzioni finanziarie internazionali, come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale. Anche in questo caso, dovrebbero essere decine di Paesi a fare questa scelta in contemporanea, per liberarsi dal gioco a stelle e strisce, e decine di popoli ad agire contemporaneamente, ognuno presso i propri governanti, come ci suggerirebbe Marx ricordandoci che ogni proletariato nazionale ha come primo obiettivo quello di abbattere la propria borghesia nazionale per la costruzione del socialismo, nonostante la sua matrice internazionalista.
Veniamo poi a noi europei. L’Europa non è certo terra di conquista come l’Africa o l’America Latina, ma certamente ha oggi una posizione sempre più subalterna nei confronti di Washington. Il primo passo in avanti sarebbe quello di smantellare la NATO, come strumento di dominio militare sul mondo sempre a favore degli Stati Uniti, e di chiudere tutte le basi militari statunitensi presenti sul territorio continentale, a partire da quelle in territorio italiano. Di conseguenza, un vasto movimento popolare dovrebbe anche opporsi in modo forte e deciso al TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), l’accordo che finirebbe per ridurre definitivamente l’Europa ad una vera e propria succursale degli Stati Uniti. Il TTIP, di fatto, non è altro che uno strumento più sofisticato per raggiungere quegli obiettivi che Perkins ci descrive chiaramente nel suo libro: nel nostro continente non è certamente possibile operare come nei Paesi più poveri, ma tra le imposizioni delle istituzioni internazionali alla Grecia e lo spettro del TTIP, il risultato rischierebbe di essere il medesimo. Noam Chomsky, del resto, ci ha avvertito da tempo: la politica estera degli Stati Uniti ha come unico obiettivo quella di beneficiare all’élite dominante degli stessi USA.
BIBLIOGRAFIA
PERKINS, John (2004), Confessions of an Economc Hit Man
CHOMSKY, Noam (1992), What Uncle Sam Really Wants
MARX, Karl & ENGELS, Friedrich (1848), Manifesto del Partito Comunista
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