Sono riuscita ad aspettare una settimana prima di guardare Trainspotting 2.
Ho aspettato che finisse l’ondata di trionfante entusiasmo e di frustrazioni malcelate per il sequel di uno dei film culto degli anni ’90 – di sicuro uno dei più amati da un’intera generazione.
Ho aspettato perchè volevo guardarlo a mente lucida.
No, non è vero, semplicemente ho sempre lavorato, sono uscita, c’era il Carnevale e ho incontrato parecchie difficoltà nel trovare un’anima pia che mi accompagnasse ma era bello dire come sopra.
Devo fare una premessa per capire con che occhi l’ho affrontato: Trainspotting è stato il mio film, all’epoca ed è tuttora uno dei miei preferiti. Sick Boy è stato la mia prima cotta cinematografica – un tossico colto, questo doveva far presagire pessimi gusti in fatto di uomini.
Jonny Lee Miller l’avrei incontrato molti anni dopo in Elementary dove interpreta un fantastico Sherlock Holmes tossicodipendente (ma và!) e l’avrei amato ancora; il primo amore non si scorda mai, soprattutto se c’è di mezzo una dipendenza in tutti i sensi.
Ma questi sono stati gli occhi con i quali l’ho guardato: gli occhi di una fan sfegatata.
Una fan che rischiava di restare assai delusa, a leggere le recensioni facebookiane. Eppure no. Trainspotting 2 non è un film per nostalgici.
Trainspotting 2 è vecchio, è cinico, ha vent’anni. Non ha le atmosfere psichedeliche del primo e i siparietti allegri che ti facevano diventare simpatici anche i tossici e facevano sembrare la dipendenza da eroina una cosa da piccoli burloni.
Trainspotting 2 è come sarebbe stato Trainspotting se fosse stato girato nel 2017 con dei quarantenni.
“Sick Boy è invecchiato” e certo che è invecchiato, son passati vent’anni, è diventato più cinico e arrabbiato col mondo – soprattutto col migliore amico che l’ha tradito. E’ più grande ma non è più adulto. E’ più vecchio ma non è più saggio. Mark Renton è lo stesso, non è cambiato di una virgola (e magistrale la scena della risata verso l’auto, citazione non tanto scontata del primo). Begbie – che strano vedere Carlyle spogliato dei panni di Tremotino in Once Upon a Time – è sempre lo stesso. Spud è Spud. Spud scrive ed è l’unico elemento di poesia.
La location aiuta, certamente. Edimburgo è sempre la stessa e in vent’anni non è cambiata; cambia la musica, cambia l’abbigliamento, ma la vecchia Edimburgo resta sempre quella parte di Regno Unito lasciata a sè stessa, sempre in attesa di una riqualificazione urbana che non avverrà mai.
Anche loro sono in attesa di una riqualificazione che non avverrà mai. Poteva esserci, in vemt’anni, ma non c’è stata.
Deludente? La regia è stupenda; i colori sono gli stessi, i richiami al primo sono più forti della stessa regia, la trama è solamente un pretesto per far vedere che alla fin fine non si cambia.
La colonna sonora, come in Trainspotting, fa la metà del film; potente, iconica, simbolica, evocativa.
E che probabilmente le amicizie, malate o vere che siano, restano sempre la cosa che ti lega di più. Più dell’eroina o della cocaina. Come una Edimburgo che non cambia mai.