Il 18 ottobre i cittadini svizzeri sono stati chiamati alle urne per le elezioni federali, volte a rinnovare la composizione dei 200 seggi del Consiglio Nazionale e dei 46 del Consiglio di Stato della Confederazione Elvetica, come vuole la dicitura del nome ufficiale del Paese. Come nelle precedenti consultazioni, i risultati hanno premiato i conservatori dell’SVP-UDC (Schweizerische Volkspartei – Union Démocratique du Centre) di Toni Brunner, che hanno raccolto il 29.4% delle preferenze per un totale di 65 seggi nel Consiglio Nazionale, con un incremento di quasi tre punti percentuali rispetto al 2011 ed un numero di parlamentari da record per la storia recente del Paese. Il successo di questo partito di destra va anche ricercato nella sua posizione assolutamente antieuropeista, e dunque ribadisce la volontà degli elvetici di restare ben lontani dalle disgrazie politico-economiche che stanno colpendo l’Unione Europea, promuovendo piuttosto una posizione isolazionista da questo punto di vista. Lo spostamento del voto verso destra è anche il risultato dei timori generati dalle ultime ondate migratorie e dall’incapacità dell’UE di trovare una soluzione soddisfacente al problema dei rifugiati, fenomeno che in Svizzera come in altri stati europei sta facendo il gioco dei partiti nazionalisti.
Risultati quasi invariati per il secondo partito del Paese, il Partito Socialista (Sozialdemokratische Partei der Schweiz – Parti Socialiste Suisse), che con il 18.8% ha ottenuto 43 seggi, tre in meno rispetto a quattro anni fa seppur con una percentuale in crescita di un decimo. La particolarità di questo risultato va ricercata nel sistema elettorale della Confederazione, che prevede un sistema proporzionale ma basato non sui risultati complessivi del Paese, bensì su quelli dei collegi elettorali, che corrispondono ai ventisei cantoni per quanto riguarda il Consiglio Nazionale, mentre sono venti per l’elezione del Consiglio di Stato. Tra l’altro, va sottolineato come i seggi svizzeri vengano assegnati con il metodo di Hagenbach-Bischoff, una variante del più noto ed utilizzato metodo D’Hondt i cui risultati in realtà non si discostano da quelli dello stesso D’Hondt. Tornando ai socialisti, il cui leader attuale è Christian Levrat, questi si sono invece espressi favorevolmente ad un’eventuale integrazione della Svizzera all’interno del sistema dell’Unione Europea, seppur attraverso i trattati piuttosto che con una vera e propria adesione, e forse è proprio per questo che dal 2003 non riescono più a tornare al vertice delle gerarchie politiche elvetiche, dopo essere stati il primo partito negli otto anni precedenti.
Ottengono un risultato soddisfacente, invece, i liberali (FDP. Die Liberalen – PLR. Les Libéraux-Radicaux) di Philipp Müller, che con il 16.4% delle preferenze raccolgono 33 seggi, mentre regsitrano un leggero calo i democristiani del CVP-PDC (Christlichdemokratische Volkspartei der Schweiz – Parti Démocrate-Chrétien), guidati da Christophe Darbellay, che si attestano sull’11.6% con ventisette seggi.
Ora il centrodestra, con l’SVP-UDC e l’FPD-PLR, avrà la possibilità di influenzare fortemente la formazione del nuovo Consiglio Federale, l’organo collegiale formato da sette membri che in Svizzera svolge una funzione analoga a quella del capo di governo nella maggioranza degli altri Paesi, con la differenza che la carica non è ricoperta da una singola persona. Le forze di centro-destra sembrano essere anche intenzionate a frenare il cammino della Svizzera verso l’uscita dalla dipendenza dall’energia nucleare, processo che invece era stato promosso negli ultimi anni grazie all’alleanza tra i socialisti ed altre forze di centro-sinistra.