Nuova puntata con le tormentate vicende politiche di Svezia: nella monarchia scandinava proseguono le trattative per la formazione del nuovo governo, che fino ad ora non hanno dato i risultati sperati. Dopo i fallimenti del primo ministro uscente, il socialdemocratico Stefan Löfven, e del moderato Ulf Kristersson, è stata Annie Lööf a fallire nell’obiettivo di instaurare un dialogo tra i partiti.
Non è passato molto tempo dal voto del Riksdag, il parlamento unicamerale svedese, che ha bocciato la fiducia al potenziale governo guidato da Ulf Kristersson, leader del Partito Moderato (Moderata Samlingspartiet) e della coalizione di centro-destra. Per correre ai ripari, il presidente del Riksdag, Andreas Norlén, ha pensato bene di uscire dal circolo vizioso della rivalità tra i leader due raggruppamenti di centro-destra e centro-sinistra, affidando il ruolo di “sonderingperson” (“persona sondante”, ovvero la persona incaricata di guidare le trattative) ad Annie Lööf .
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Trentacinquenne rappresentante del Partito di Centro (Centerpartiet) ed ex ministro dell’Impresa dal 2011 al 2014, Lööf, pur affermando di non aspirare al ruolo di premier, aveva accettato di tentare una mediazione tra i partiti per arrivare alla formazione di una maggioranza parlamentare. L’esponente di spicco del quarto partito del Paese, del resto, veniva considerata la più indicata per questo difficile compito, in quanto equamente distante tra le posizioni di Löfven e Kristersson.
Tuttavia, dopo pochi giorni, anche la leader centrista è stata costretta ad alzare bandiera bianca, dichiarando che “non ci sono le basi” per la formazione di un governo. Certo, per arrivare alla nascita del nuovo esecutivo non ci sono date limite, ed inoltre fino ad ora il Riksdag ha effettuato solamente una delle quattro votazioni possibili prima che Norlén sia costretto ad indire nuove elezioni. Ma l’eventualità che i cittadini debbano recarsi nuovamente alle urne sembra avvicinarsi sempre di più, accadimento mai verificatosi fino ad oggi nella storia di Svezia e che, secondo molti, rappresenterebbe il fallimento del modello socialdemocratico scandinavo.
L’ultima carta disponibile, a questo punto, potrebbe essere l’inserimento nelle trattative della forza di estrema destra dei Democratici Svedesi (Sverigedemokraterna, SD), che fino ad ora sono stati esclusi da tutti i tavoli. Il partito di Jimmie Åkesson, che alle elezioni ha ottenuto il 17.5%, si trova ancora alle spalle delle due forze politiche “storiche” del Paese, ma per la prima volta dal secondo dopoguerra ha evitato che uno dei due blocchi di centro-destra o centro-sinistra ottenesse una maggioranza o la possibilità di formare un governo di minoranza.
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In una tale situazione di “hung parliament”, come direbbero i britannici (letteralmente “parlamento appeso”), l’unica soluzione plausibile sembra essere un’alleanza tra il centro-destra storico di Kristersson e l’estrema destra di Åkesson: solo una conventio ad excludendum nei confronti dell’estrema destra ha impedito fino ad ora la formazione di tale coalizione, anche perché gli esponenti di SD hanno più volte affermato a gran voce di essere disponibili alla formazione di un esecutivo.
A questo punto, qualsiasi cosa accada nel futuro prossimo, saranno proprio Åkesson e gli Svedesi Democratici a potersi dichiarare i grandi vincitori di questa battaglia politica: se dovessero essere ammessi al governo, infrangerebbero il muro di cui sopra ed otterrebbero una definitiva legittimazione come forza inserita nel sistema politico svedese; se dovesse formarsi una “grande coalizione” tra centro-destra e centro-sinistra potrebbero recitare il ruolo di unica opposizione credibile al governo; infine, se si dovesse tornare alle urne, SD potrebbe spingere sulla delegittimazione del sistema imposto per decenni dai partiti “tradizionali” e sul crescente astensionismo, ottenendo un ulteriore balzo in avanti nelle percentuali.
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Allargando l’analisi su scala internazionale, invece, preoccupa come oramai queste situazioni di ingovernabilità stiano diventando normali in tutto il continente europeo. Ad essere delegittimata, infatti, non è la sola socialdemocrazia svedese (in senso ampio, non di partito), ma la democrazia borghese rappresentativa di stampo occidentale in generale: Germania, Italia, Slovenia, Svezia e Lettonia sono solamente gli esempi più recenti delle difficoltà che hanno i partiti nella formazione dei governi, con poche soluzioni all’orizzonte (“grandi coalizioni” tra partiti tradizionali come in Germania, coalizioni fantasiose ed incongruenti come in Italia e/o lunghi periodi senza la possibilità di formare un esecutivo come sta accadendo ora in Svezia e Lettonia).