Ci sono voluti più di due mesi, ma alla fine la Slovenia è pronta ad avere un nuovo governo: a guidarlo sarà un ex attore comico, Marjan Šarec, sostenuto da una coalizione composta da cinque forze politiche.
ELEZIONI E COMPOSIZIONE DEL PARLAMENTO
La travagliata vicenda per la formazione del governo sloveno ha avuto inizio lo scorso 3 giugno, con lo svolgimento delle elezioni legislative che hanno designato la nuova composizione del parlamento unicamerale della Slovenia (Državni zbor Republike Slovenije – Assemblea Nazionale della Repubblica di Slovenia).
Tenutesi con una settimana d’anticipo rispetto alla data prevista, a causa delle dimissioni presentate dal primo ministro Miro Cerar al presidente Borut Pahor, le elezioni legislative avevano restituito un quadro molto frammentato, senza la formazione di una chiara maggioranza. Forza cardine del precedente esecutivo, il Partito del Centro Moderno (Stranka Modernega Centra, SMC), quello europeista di Cerar, aveva pagato il proprio fallimento vedendo i propri seggi scendere dai trentasei delle elezioni del 2014 fino a quota dieci, piazzandosi solo al quarto posto tra le forze politiche del Paese, con il 9.75% delle preferenze.
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A sorridere, invece, era stato soprattutto il Partito Democratico Sloveno (Slovenska demokratska stranka, SDS), forza conservatrice considerata “populista” ed anti-immigrazionista, risultato che si mostrava in linea con quelli di molti altri Paesi europei negli ultimi anni. La formazione di Janez Janša, che ha già ricoperto il ruolo di primo ministro in passato (nei periodi 2004-2008 e 2012-2013), ha ottenuto il 24.96% delle preferenze, conquistando venticinque dei novanta seggi che compongono l’Assemblea Nazionale.
Nell’area del centro-sinistra, il Partito del Centro Moderno aveva subito il sorpasso da parte della Lista di Marjan Šarec (Lista Marjana Šarca, LMŠ), partito di recente formazione e fondato proprio dall’attore e giornalista di cui porta il nome. Per la loro prima volta alle elezioni legislative, gli uomini di Šarec hanno infatti conquistato ben tredici seggi, pari al 12.66% dei suffragi.
In ripresa anche i Socialdemocratici (Socialni demokrati, SD) di Dejan Židan, in grado di salire da sei a dieci seggi, con un riscontro del 9.92%. A sinistra importante anche il risultato degli anticapitalisti di Levica (che significa proprio “Sinistra”), condotti da Luka Mesec, capaci di ottenere nove rappresentanti con il 9.29% delle preferenze.
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Nel quadro assai frammentario del parlamento unicamerale sloveno, troviamo poi sette rappresentanti di Nuova Slovenia – Cristiano-democratici (Nova Slovenija – Krščanski demokrati, Nsi), cinque per i centristi del Partito di Alenka Bratušek (Stranka Alenke Bratušek), altrettanti per il Partito Democratico dei Pensionati della Slovenia (Demokratična Stranka Upokojencev Slovenije, DeSUS) e quattro del Partito Nazionale Sloveno (Slovenska Nacionalna Stranka, SNS), fortemente euroscettico, oltre ai due seggi riservati alle minoranze etniche italiana ed ungherese.
GLI AVVENIMENTI POST-ELETTORALI
Terminato il processo elettorale, si sono aperte le contrattazioni per la formazione di un nuovo governo, compito che però si è rivelato assai complicato per il presidente Pahor. Il capo di stato, infatti, aveva manifestato, prima della tornata elettorale, la propria intensione di assegnare la guida dell’esecutivo al leader del partito che avesse raggiunto il maggior numero di consensi. In questo caso, avrebbe dovuto essere dunque Janez Janša ad ottenere il mandato.
I numeri, tuttavia, hanno detto che un eventuale governo Janša non sarebbe stato in grado di ottenere la maggioranza in parlamento. Oltre ai venticinque seggi dei suoi uomini, il leader di SDS avrebbe probabilmente potuto contare sull’appoggio dei deputati delle altre due forze di centro-destra, NSi and SNS, raggiungendo dunque quota trentasei, ma restando assai lontano dalla maggioranza assoluta, pari a quarantasei rappresentanti. Tutti gli altri partiti, infatti, avevano sin da subito manifestato il proprio rifiuto di appoggiare un governo capeggiato dal leader “populista”.
Secondo alcuni analisti, Pahor avrebbe dovuto mantenere la parola data ed affidare lo stesso il mandato a Janša, aprendo dunque la strada ad un governo di minoranza che però avrebbe messo a repentaglio la governabilità del Paese. Proprio il presidente, in quei concitati giorni, aveva poi affermato di non voler affidare l’incarico in assenza di una solida maggioranza parlamentare: “Nei miei colloqui con i gruppi parlamentari, ho potuto constatare che nessuno gode di un sostegno tale da poter essere scelto come primo ministro”, aveva dichiarato.
In seguito a questa nuova fase di contrattazioni fallite, si è aperto un altro periodo di quattordici giorni, durante i quali è stato possibile sottoporre al presidente ed al parlamento nuove candidature per la guida dell’esecutivo. L’obiettivo era quello di far sì che a metà agosto la Slovenia potesse conoscere il nome del proprio primo ministro, altrimenti Pahor si sarebbe visto costretto ad indire nuove elezioni, da svolgersi tra settembre ed ottobre.
Poiché Janša non si è rivelato in grado di formare una coalizione tale da garantirgli la maggioranza, si è fatta sempre più largo un’altra opzione, quella della formazione una grande coalizione composta da tutti i partiti di centro e di centro-sinistra, guidata da Marjan Šarec. A parte la sinistra radicale di Levica, che ha subito dichiarato di voler evitare ogni tipo di alleanze, gli altri partiti si sono mostrati possibilisti nei confronti di questa soluzione, soprattutto al fine di arginare l’ascesa del “populismo” targato Janša.
MARJAN ŠAREC OTTIENE L’INCARICO DI PRIMO MINISTRO
Nel corso delle contrattazioni, Šarec ha incassato il sostegno dei Socialdemocratici, del Partito del Centro Moderno, del Partito di Alenka Bratušek e del Partito Democratico dei Pensionati della Slovenia, che, insieme alla lista dello stesso Šarec, avrebbero potuto raggiungere quota 43 seggi. A ballare era a quel punto proprio il sostegno di Levica, la formazione di sinistra che inizialmente si era esclusa da ogni coalizione di governo, ma che con i suoi nove deputati avrebbe potuto giocare un ruolo determinante. In caso contrario, Šarec ha inoltre pensato anche di rivolgersi ai sette rappresentanti conservatori di Nuova Slovenia – Cristiano-democratici.
Proprio NSi è stato il primo partito in grado di ottenere un successo parziale, visto che il suo leader, Matej Tonin, è stato eletto alla presidenza del parlamento, favore che – si pensava – il trentaquattrenne avrebbe potuto ricambiare permettendo la formazione di un governo. Secondo le indiscrezioni, tuttavia, lo stesso Tonin avrebbe richiesto un ministero importante come quello della Sanità per un membro del suo partito, Matjaž Trontelj, al fine di dare il proprio appoggio al nuovo esecutivo.
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A metà agosto, come previsto, si è capito che l’unica soluzione per la formazione di un governo sarebbe stata proprio quella di affidare la guida dell’esecutivo a Marjan Šarec. Il capo di Stato, Borut Pahor, gli ha così affidato ufficialmente il compito di formare il governo il 17 agosto. Nei giorni successivi, le contrattazioni tra le forze politiche hanno portato ad un compromesso per la divisione dei ministeri. La Lista di Marjan Šarec otterrà la Sanità, gli Interni, l’Amministrazione Pubblica e le Finanze; ai Socialdemocratici andranno la Giustizia, l’Istruzione e la Cultura, mentre il leader Dejan Židan ha sostituito Matej Tonin nel ruolo di presidente dell’Assemblea Nazionale; il Partito del Centro Moderno gestirà gli Esteri, l’Ambiente, lo Sviluppo Economico e Tecnologico ed il Ministero del Lavoro, della Famiglia, degli Affari Sociali e delle Pari Opportunità; al Partito di Alenka Bratušek spetteranno le Infrastrutture, gli Sloveni all’Estero e la Coesione Europea; il Partito Democratico dei Pensionati della Slovenia otterrà infine la Difesa e l’Agricoltura.
La coalizione di governo ha così raggiunto i 43 seggi sui 90 totali, senza ottenere la maggioranza assoluta, ma spera di poter contare sull’appoggio esterno dei due rappresentanti delle minoranze e dei partiti più piccoli come Levica e NSi per garantire la governabilità del Paese.