Lo scorso 2 aprile, i cittadini della Serbia sono stati chiamati alle urne per scegliere il successore di Tomislav Nikolić alla carica di capo di stato, dopo che lo stesso presidente aveva rinunciato a concorrere per un secondo mandato quinquennale. Dal 31 maggio 2017, dunque il presidente serbo sarà Aleksandar Vučić, già primo ministro dal 2014, che ha vinto in maniera schiacciante la consultazione elettorale. Un successo che di fatto rappresenta una continuità con Nikolić, del quale Vučić è stato a lungo il braccio destro.
Già Ministro dell’Informazione dal 1998 al 2000 e Ministro della Difesa tra il 2012 ed il 2013, il quarantasettenne Vučić è un esponente del Partito Progressista Serbo (SNS, Srpska napredna stranka – CHC, Српска напредна странка), che, a dispetto del nome, è una forza di centro-destra di corrente nazional-conservatrice, seppur europeista, fondata proprio da Nikolić. Spalleggiato dunque dal suo partito e dal presidente in carica, Vučić ha ottenuto il 55.10% delle preferenze, venendo eletto direttamente al primo turno grazie alla maggioranza assoluta dei suffragi. Distanti i suoi rivali, a partire da Saša Janković, che ha raccolto il 16.27% dei consensi, mentre il giovane Ljubiša Preletačević (pseudonimo di Luka Maksimović), leader di un gruppo satirico nato su YouTube, non è andato oltre il 9.44% dei voti. Da notare che l’affluenza alle urne è stata del 54.60%, dato certamente basso considerata l’importanza dell’elezione.
Nonostante i dati elettorali siano apparentemente chiari, non sono mancate le polemiche e le proteste durante e dopo le elezioni: diversi gruppi di opposizione ed ONG locali hanno infatti denunciato violenze e brogli di diverso genere, portando ad una serie di proteste in tutta la Serbia dopo la proclamazione dei risultati. Il giorno dopo le votazioni, il Palazzo dell’Assemblea nazionale (Дом Народне Скупштине – Dom Narodne Skupštine) è stato preso d’assalto da circa 10.000 persone, come riportato dal quotidiano di Belgrado Danas. Manifestazioni di dissenso sono state registrate in almeno altre quindici città del Paese nei confronti dell’uomo che diventerà presto il terzo presidente del Paese dal 2006 – quando ha assunto la denominazione attuale di Repubblica di Serbia – e che del resto già in passato era stato al centro di numerose polemiche viste le sue posizioni di ultra-nazionalismo serbo, che pure si sono attutite nel corso degli anni.