A lungo contesa tra britannici e francesi, l’isola della Nuova Caledonia entrò ufficialmente a far parte dell’impero coloniale di Parigi nel 1853, venendo poi trasformata in colonia penale dal 1864 al 1904. Nonostante alcuni timidi moti per l’indipendenza, è solamente dal 1985, con l’attività politica del Front de Libération Nationale Kanak Socialiste (FLNKS), che la rivendicazione dell’indipendenza ha assunto un ruolo cruciale nella politica dell’isola principale e delle altre isole minori che si trovano sotto la sua amministrazione (l’arcipelago delle Isole della Lealtà – Maré, Lifou, Ouvéa, Tiga, Mouli e Faiava – e l’Isola dei Pini).
Sotto la guida del leader Jean-Marie Tjibaou, morto assassinato nel 1989, il FLNKS ha formulato la proposta dell’indipendenza della Nuova Caledonia con l’assunzione del nome di Kanaky, che secondo i suoi sostenitori sarebbe la denominazione originariamente data dalla popolazione autoctona, chiamata in francese “kanake“. Nel frattempo, preoccupata per il mantenimento della propria sovranità sulla Nuova Caledonia, fondamentale soprattutto per la produzione di nichel (qui si trova il 25% delle risorse mondiali), la Francia ha concesso un’ampia autonomia a questo territorio, stipulando gli Accordi di Matignon nel 1988 e l’Accordo di Nouméa nel 1998.
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Proprio l’Accordo di Nouméa, tuttavia, prevedeva lo svolgimento di un referendum sull’indipendenza vent’anni dopo la firma del trattato. Il ventennio, come è facile calcolare, scadeva proprio quest’anno, ed è per questa ragione che, domenica 4 novembre, i caledoniani si sono recati alle urne per decidere sullo status della propria terra. Come oramai accade da oltre un trentennio, la sfida per il referendum ha visto la polarizzazione dello scontro tra i due principali gruppi etnici della Nuova Caledonia: da un lato i canachi, eredi della popolazione indigena melanesiana, favorevoli all’indipendenza; dall’altro, i caldachi, discendenti dei colonizzatori francesi, numericamente minoritari ma decisamente più ricchi, che invece vogliono mantenere il legame con la madrepatria. A queste si aggiungono poi le tante minoranze provenienti soprattutto dalle isole dell’Oceania e da alcuni Paesi asiatici.
Il referendum ha visto una partecipazione abbastanza importante (80.63% di affluenza alle urne), pari a quasi 139.000 elettori sui 175.000 aventi diritto, selezionati non senza polemiche per determinare coloro che effettivamente avevano voce in capitolo nel decidere il destino della Nuova Caledonia (il 17% degli elettori residenti è stato escluso dal referendum). Non è un caso, del resto, che i risultati del referendum abbiano ricalcato all’incirca la divisione etnica dell’isola: a votare contro l’indipendenza è stato il 56.67%, mentre i dati demografici più recenti dicono che quasi il 40% della popolazione è “kanake”, non distante dal 43.69% che ha votato per l’indipendenza. La popolazione “caldoche“, inoltre, è concentrata soprattutto nel sud-ovest dell’isola, nelle aree che infatti hanno votato decisamente contro il quesito referendario.
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Per il momento, dunque, la questione dell’indipendenza della Nuova Caledonia si è risolta negativamente, con il risultato però di polarizzare ulteriormente lo scontro tra “caldoches” e “kanakes”. Non dimentichiamo, poi, che un referendum si era già tenuto nel 1987, quando, però, il boicottaggio da parte degli indipendentisti lo rese praticamente inutile (98.30% contro l’indipendenza con un’affluenza alle urne del 59.10%). Inoltre, sempre l’Accordo di Nouméa prevede che il referendum possa essere ripetuto due volte, a patto che venga appoggiato da un terzo dei deputati del Congresso della Nuova Caledonia: secondo le indiscrezioni, la prossima consultazione potrebbe tenersi nel 2020.
Gli indipendentisti, dunque, possono dirsi almeno parzialmente vittoriosi per diversi motivi: innanzi tutto, il risultato del referendum ha visto una sconfitta meno netta rispetto a quando previsto dai sondaggi; a questo, bisogna poi aggiungere che alcune formazioni indipendentiste di estrema sinistra hanno fatto campagna per il boicottaggio del referendum; in ultimo, ci sarà la possibilità di ripetere la consultazione nell’arco di un paio d’anni. Proprio per questo, Aloisio Sako, leader del FLNKS, si è potuto dire soddisfatto per il risultato ottenuto ed ottimista in vista delle prossime edizioni del referendum. Dall’altro lato, in caso di indipendenza la Nuova Caledonia dovrebbe fare a meno del sostegno economico del governo di Parigi, e difficilmente potrà trainare la propria economia con la sola produzione di nichel, dovendo affrontare una concorrenza globale molto agguerrita come quella cinese, che produce la stessa materia prima a prezzi inferiori.