Il punto di vista di Alessandro Atti
Si vede e sente spesso, nelle pubblicità specialmente, il termine naturale; questa parola ci fa subito pensare a qualcosa di genuino, sano e buono al contrario di parole come chimico o ogm che richiamano alla mente scene raccapriccianti di laboratori dall’aria satura di sostanze tossiche che avvelenano il pianeta. Un dualismo che, se allargato, potrebbe essere paragonato alla continua lotta del bene contro il male. Ma quanto c’è di vero e quanto invece è solo una collaudata tecnica di marketing?
Partiamo dall’etimologia per evitare dal principio di cadere nei tentacoli della interpretazione soggettiva.
- Natura: “il complesso delle cose e degli esseri viventi […] oggetto di studio e di contemplazione da parte dell’uomo.”
- Chimica: “scienza che studia le capacità, le proprietà, la composizione e il modo di reagire di sostanze naturali e artificiali.”
La prima include anche la seconda, dunque, fatta eccezione per quelle sostanze chimiche prodotte artificialmente dall’uomo. Ma anche qui occorre procedere con cautela perché seguendo questa linea di ragionamento allora anche il miele potrebbe considerarsi artificiale. Non esiste in natura ma è il prodotto di una lavorazione messa in opera dalle api. Quale allora la differenza tra uomo e ape? Come è da considerarsi allora la riproduzione artificiale di qualcosa che esiste in natura?
Come spiega il chimico e ricercatore Dario Bressanini , non fa alcuna differenza se è uno scienziato a produrre una molecola o se a farlo è una pianta o un qualsiasi altro organismo. Ed è altrettanto vero che anche in natura esistono sostanze tossiche e pericolose ( i primi esempi che mi vengono alla mente sono il petrolio e la cicuta).
Fatta questa premessa, mi preme passare a parlare della tanto discussa lavorazione dei cibi. I cibi industriali in vendita nella grande distribuzione sono carichi di conservanti, coloranti e ogm. Ma se ci convinciamo che questo sia sintomo solo di modernità commettiamo un grave errore. Come ci fa sapere la storica britannica Rachel Laudan in un articolo pubblicato sul’ Internazionale il 10 luglio 2015, la conservazione dei cibi e la loro lavorazione tramite processi chimici è una pratica risalente agli albori della civiltà. Da sempre l’uomo ha “lavorato” i cibi per renderli più digeribili o semplicemente per conservarli più a lungo o renderli terreno non fertile alle infestazioni.
“Naturale è meglio” è un concetto piuttosto recente, nato per lo più dopo il boom economico, che viene strumentalizzato all’occorrenza trovando ragione nella nostalgia dell’uomo moderno per una vita più serena e meno frenetica. Il ritorno alla convivialità, lo slow food, il concetto del pasto come occasione di riscoperta dei legami umani in contrapposizione al fast food, alla velocità e ai cibi precotti. Anche qui occorre ricordare che il concetto di fast food non è stato inventato ieri e che anche i cacciatori, i pescatori e i soldati in guerra preferivano cibi a lunga conservazione ma pronti all’uso e persino le bevande istantanee sono merito di un’intuizione azteca ( gli aztechi macinavano mais tostato così da poterlo sciogliere in acqua).
Il presente non prescinde dal passato e anche la vecchia e cara tradizione rurale tanto amata in realtà non è mai scomparsa, semplicemente si è evoluta. Non siamo più furbi dei nostri antenati, facciamo le stesse cose, ma in maniera più efficace (forse) .