Sterminato Paese africano – grande quattro volte l’Italia – che supera i sedici milioni di abitanti, il Mali ha affrontato il proprio processo elettorale per l’elezione del capo di Stato in due fasi, il 29 luglio ed il 12 agosto, con il ballottaggio che ha confermato Ibrahim Boubacar Keïta alla guida del Paese.
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Salito alla ribalta delle cronache internazionali nel 2012, a causa dell’acuirsi del conflitto interno e dell’intervento militare francese nel territorio dell’ex colonia, il Mali vide in quell’occasione la deposizione del presidente Amadou Toumani Touré, sostituito prima da una giunta militare guidata dal generale Amadou Sanogo e poi da una sorta di governo di transizione condotto da Dioncounda Traoré.
La situazione politica tornò parzialmente alla normalità nel 2013, quando, con un anno di ritardo rispetto a quanto previsto dalla costituzione, si tornò a votare per l’elezione del capo di Stato. Ad uscire vincitore dal confronto elettorale fu Ibrahim Boubacar Keïta, che nel 2015 ha avuto il merito di raggiungere un accordo di pace con le popolazioni Tuareg che abitano il deserto del Sahara, che occupa la maggioranza del territorio maliano.
Il presidente uscente si è così presentato da favorito alla nuova tornata elettorale, sempre in rappresentanza del partito socialdemocratico Rassemblement Pour le Mali, e, come cinque anni fa, ha dovuto affrontare Soumaïla Cissé, esponente di un’altra forza politica di centro sinistra, l’Union pour la République et la Démocratie (URD), anche se in realtà si contavano ben ventiquattro candidati al posto di primo cittadino del Mali.
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Come molte ex colonie francesi, anche il Mali ha adottato il sistema elettorale a doppio turno, motivo per il quale, nonostante una schiacciante vittoria nella prima tornata, Ibrahim Boubacar Keïta non ha potuto festeggiare la vittoria già a fine luglio. Il presidente in carica, infatti, ha ottenuto in quell’occasione il 41.70% delle preferenze contro il 17.78% del suo principale rivale, Soumaïla Cissé, mentre il terzo classificato, l’indipendente Aliou Diallo, si è fermato all’8.03%, e l’ex primo ministro Cheick Modibo Diarra, arrestato dopo le vicende del 2012 e successivamente liberato, ha ottenuto il 7.39%.
Festa solamente rimandata, visto che il settantatreenne Ibrahim Boubacar Keïta ha comunque ottenuto il suo secondo mandato quinquennale due settimane più tardi, trionfando al secondo turno con il 67.17% dei suffragi, contro il 32.82% del rivale: un risultato ad ogni modo meno schiacciante rispetto all’esito del 2013, quando Keïta superò addirittura la soglia del 77%. Soumeylou Boubèye Maïga, in carica dal dicembre dello scorso anno, dovrebbe essere confermato nel ruolo di primo ministro.
Da registrare, infine, un preoccupante calo nella partecipazione al processo elettorale: al primo turno sono andati a votare 3.4 milioni degli 8 milioni di aventi diritto, pari ad un’affluenza del 42.70%, contro il 51.54% di cinque anni fa; al secondo turno, invece, siamo scesi dal 45.78% del 2013 al 34.54% di quest’anno. Segno del fatto che l’affermazione della democrazia partecipativa è ancora lontana dal compiersi in Mali.