Martedì 8 agosto hanno avuto luogo le elezioni presidenziali in Kenya, in corrispondenza delle quali si è votato anche per il rinnovamento delle due camere che compongono il parlamento nazionale, così come per i governi delle entità locali (contee) nelle quali è suddiviso il Paese.
IL SISTEMA ELETTORALE
Per quanto riguarda l’elezione del presidente, questa si basa su un sistema a due turni nel quale il candidato deve superare il 50% delle preferenze a livello nazionale, ottenendo però almeno il 25% in ventiquattro delle quarantasette contee nelle quali è suddiviso il Kenya.
L’Assemblea Nazionale, la camera bassa, è composta da 337 deputati: 290 di questi vengono eletti con il metodo del first-past-the-post in ciascuna circoscrizione elettorale, mentre i restanti 47 sono riservati alle donne, elette sempre con il metodo del first-past-the-post in ciascuna contea. Questo sistema serve a garantire una quota minima di donne nella National Assembly, ma in teoria il numero potrebbe essere anche superiore, visto che le donne hanno accesso anche ai precedenti 290 seggi.
Per quanto riguarda il Senato, la camera alta, questa è composta solamente da 67 membri. I primi 47 vengono eletti da ciascuna contea con il metodo del first-past-the post. I restanti seggi vengono così distribuiti, in base ai risultati di ciascun partito: sedici riservati alle donne, due ai giovani e due a persone con disabilità. Anche in questo caso, le categorie “protette” possono ottenere ulteriori seggi attraverso il metodo del first-past-the-post.
I CANDIDATI ALLE PRESIDENZIALI
Eletto per la prima volta nel 2012 ed entrato in carica nell’aprile del 2013, Uhuru Kenyatta è il figlio di Jomo Kenyatta, primo presidente del Paese dopo l’indipendenza. Leader del Jubilee Party of Kenya, una forza conservatrice nata dall’unione di una decina di partiti, il cinquantacinquenne si presentava per un secondo mandato insieme al vicepresidente William Ruto. Da notare che, nel corso della campagna elettorale, un uomo armato di machete si è introdotto nella casa di Ruto, quando quest’ultimo era assente, uccidendo tuttavia il guardiano.
Il principale avversario di Kenyatta era Raila Odinga, settantunenne leader della coalizione denominata National Super Alliance (NASA), composta dai principali partiti oppositori del presidente. Già primo ministro tra il 2008 ed il 2013, sotto la presidenza di Mwai Kibai, Odinga si presentava con Kalonzo Musyoka come candidato alla vicepresidenza, ruolo che aveva già occupato proprio negli anni di Kibai.
Decisamente meno quotati gli altri sei candidati. Tre di questi correvano da indipendenti (Joseph Nyagah, Japheth Kaluyu e Michael Mwaura), mentre altri tre rappresentavano partiti minori (Abduba Dida per l’Alliance for Real Change, Ekuru Aukot per la Thirdway Alliance Kenya ed infine Cyrus Jirongo per lo United Democratic Party).
I RISULTATI: CONFERMA PER UHURU KENYATTA
Se i sondaggi sembravano prevedere un testa a testa tra i due principali candidati alla presidenza, il verdetto delle urne è stato decisamente favorevole a Kenyatta, che ha così ottenuto un secondo mandato senza la necessità di ricorrere al secondo turno, come ufficializzato dai dati forniti dalla Independent Electoral and Boundaries Commission (IEBC). Dei 19.7 milioni di cittadini che si sono recati alle urne, il 54.27% ha infatti espresso una preferenza nei confronti del capo di stato in carica, che ha anche ottenuto almeno il 25% dei voti in ben trentacinque contee, riempiendo dunque anche il secondo criterio per ottenere la vittoria al primo turno. Le due principali cariche del Kenya resteranno dunque nelle mani degli stessi attori, con Uhuru Kenyatta alla presidenza e William Ruto alla vicepresidenza.
Raila Odinga, che ha sperato a lungo di poter insidiare la leadership di Kenyatta, si è fermato invece al 44.74% delle preferenze, mentre tutti gli altri candidati hanno ottenuto solamente poche migliaia di voti. In terza posizione, infatti, troviamo l’indipendente Joseph Nyagah, che si è dovuto accontentare di 0.28 punti percentuali.
I risultati sono stati respinti da Odinga e dalla sua coalizione, la NASA, ma gli osservatori internazionali hanno dichiarato che le operazioni di voto e di spoglio si sono svolte regolarmente, come sottolineato anche dall’europarlamentare olandese Marietje Schaake, inviata come capo della delegazione dell’Unione Europea.
Per quanto riguarda le due camere, entrambe hanno visto la vittoria del Jubilee Party of Kenya. Per la National Assembly, il partito del presidente ha ottenuto 144 deputati con il first-past-the-post e 26 seggi tra quelli riservati alle donne, giungendo a quota 170. Saranno tuttavia necessari altri quattro deputati, che saranno probabilmente raccolti fra gli indipendenti, per ottenere la maggioranza assoluta di 174. La NASA, invece, ha ottenuto un totale di 96 seggi, suddivisi tra i 73 dell’Orange Democratic Movement (ODM), il partito di Odinga, ed il Wiper Democratic Movement di Musyoka.
Passando ai seggi distribuiti al Senato, invece, il partito di Kenyatta ha ottenuto ventiquattro rappresentanti contro i tredici di quello di Odinga. Il Jubilee Party of Kenya ha inoltre eletto venticinque governatori in altrettante contee, contro i tredici dell’ODM ed i due del Wiper e del Forum for the Restoration of Democracy – Kenya (FORD-Kenya), altro partito che alle presidenziali faceva parte della coalizione NASA.
Da sottolineare, infine, che per la prima volta nella storia del Paese tre donne sono state elette al Senato al di fuori dei seggi a loro riservati. Si tratta di Margaret Kamar, proveniente dalla contea di Uasin Gishu, Susan Kihika (Nakuru) e Fatuma Dullo (Isiolo).
LE RAGIONI DELLE PROTESTE
Il personaggio di Kenyatta è stato fortemente osteggiato da una parte del Paese sin dalla sua prima candidatura alla presidenza, e non ci si può stupire del fatto che la sua rielezione abbia provocato un grande malcontento da parte delle opposizioni, con diverse proteste che sono esplose nel Paese dopo la proclamazione dei risultati ufficiali. Già nella campagna elettorale di cinque anni fa, alcuni si erano espressi sull’incandidabilità di Uhuru Kenyatta e del suo alleato William Ruto, in quanto entrambi sono stati processati dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità: l’accusa, risalente alle violenze post-elettorali del 2007-2008, è stata tuttavia lasciata cadere nel 2015. Le accuse ai suoi danni riguardavano in particolare le violenze che ebbero luogo nelle regioni di Naivasha e Nakuru. Kenyatta, secondo i suoi detrattori, avrebbe organizzato il gruppo politico-religioso Mungiki, principale protagonista di atti violenti nel periodo post-elettorale e considerato responsabile anche di diversi omicidi.
Durante la campagna elettorale, Raila Odinga ha anche accusato Kenyatta di essere un grande proprietario terriero, motivo per il quale durante la sua presidenza il Kenya non vedrà nessuna riforma agraria. La distribuzione e l’accesso alle terre coltivabili è uno dei grandi problemi del Paese, condiviso oltretutto con la maggioranza degli stati africani, visto che la maggioranza della popolazione vive di agricoltura.
Al di là di quelle che sono le accuse mosse a Kenyatta dall’opposizione, va detto che molto spesso le alleanze elettorali keniote non riflettono le affini posizioni politiche o ideologiche dei candidati, ma di basano semplicemente l’appartenenza etnico-regionale degli stessi. Questa tendenza era stata in passato fortemente osteggiata da un importante personaggio politico del Paese, George Saitoti, già Ministro della Sicurezza Interna, che aveva origini miste Masai e Kikuyu. Saitoti è però venuto a mancare nel giugno 2012, quando l’elicottero su cui viaggiava è precipitato.
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