Nella giornata di venerdì 25 maggio, i cittadini della Repubblica d’Irlanda sono stati chiamati alle urne per un referendum riguardante il diritto all’aborto, noto come trentaseiesimo emendamento alla Costituzione. L’argomento, trattato solo di passaggio dalla maggioranza dei media nazionali italiani, merita alcune delucidazioni.
Innanzi tutto, bisogna tenere conto che l’Irlanda resta ancora oggi un Paese dalla radicata cultura cattolica, anche per via della storia di conflitti con il Regno Unito, che hanno fatto dell’appartenenza religiosa un aspetto fondante dello stesso “essere irlandesi” (pensiamo, ad esempio, alla lotta per l’indipendenza da Londra o alla spinosa questione dell’Irlanda del Nord). Secondo gli ultimi sondaggi, il 78% della popolazione si dichiara cattolico, cifra che raggiunge quasi il 90% se si aggiungono le altre varianti del Cristianesimo. Questi dati non possono essere trascurati nel tentativo di capire come mai l’Irlanda sia arrivata nel 2018 senza una vera e propria legge sull’aborto, in contrasto con ogni altro Paese dell’Europa occidentale.
Fino ad oggi, l’unico riferimento legislativo sull’aborto riguardava l’ottavo emendamento costituzionale, datato 1983 e rimasto invariato da allora. Questo, infatti, garantiva il diritto di vita dei non-nati (“unborn”, come nel titolo di un famoso film horror), equiparandolo a quello della madre. L’aborto poteva dunque essere praticato solamente nel caso in cui un medico rilevasse nella gravidanza un serio rischio alla sopravvivenza della madre stessa.
Il referendum di quest’anno, che ha visto la partecipazione di 2.1 milioni di persone (il 64.13% degli aventi diritto), serviva appunto a cancellare l’ottavo emendamento per sostituirlo con il trentaseiesimo di cui sopra. La proposta di legge, lanciata nello scorso mese di marzo dall’Oireachtas (il parlamento irlandese, composto da una camera bassa – Dáil Éireann – e da una camera alta – Seanad Éireann -), ha raccolto i favori del 66.40% dei votanti, e diventerà legge in seguito alla firma del capo di stato, il presidente Michael Higgins.
L’importanza di questa legge diventa chiara considerando che tutti i partiti presenti nell’Oireachtas hanno deciso di appoggiarla, nonostante la resistenza di alcuni gruppi conservatori ed ultracattolici, in particolare il partito Renua Ireland, che alle ultime elezioni politiche ottenne il 2.2% delle preferenze, senza però eleggere rappresentanti. Persino la Chiesa d’Irlanda ha ufficialmente affermato di lasciare alla coscienza dei fedeli la decisione sul voto.
Nonostante questo, il percorso per il diritto all’aborto in Irlanda non ha ancora visto il proprio termine. Il referendum, infatti, ha cancellato l’ottavo emendamento sostituendolo con il trentaduesimo, il quale afferma semplicemente che la tematica dell’aborto è regolata dalle apposite leggi. Leggi, però, ancora inesistenti, ma che dovrebbero essere approvate dal parlamento bicamerale entro la fine dell’anno.
Qualora dovesse essere approvata, la nuova legge promossa dal Ministro della Sanità, Simon Harris, permetterà dunque l’interruzione volontaria di gravidanza nei seguenti casi:
- se, secondo il parere di due medici, questa potrebbe costituire un rischio per la salute fisica e/o mentale della madre;
- se esiste una emergenza medica valutata da un singolo dottore;
- se le condizioni del feto lasciano presagire un aborto spontaneo o una morte immediatamente successiva al parto;
- se la madre, in seguito ad un adeguato percorso, decide per l’interruzione volontaria di gravidanza entro la dodicesima settimana dal concepimento.
Infine, è prevista la possibilità, per i medici, di esercitare l’obiezione di coscienza.