In occasione della ricorrenza del lancio del primo ordigno nucleare sulla città giapponese di Hiroshima, vi riproponiamo un nostro articolo del 2015 dovutamente rivisitato ed ampliato. Un argomento che ci riporta a 72 anni fa ma che è anche decisamente attuale, e che ci ricorda inoltre che ad oggi gli Stati Uniti sono stati l’unico Paese ad aver utilizzato questo genere di ordigni per colpire la popolazione civile.
Ore 8:14 del 6 agosto 1945: la prima bomba atomica, denominata “Little Boy”, viene sganciata sulla città di Hiroshima. Tre giorni dopo, è la volta di Nagasaki. “Un male necessario” ci dirà a lungo la storiografia ufficiale, quella scritta dai vincitori, una mossa obbligata per causare la capitolazione di quel Giappone che, anche dopo la caduta definitiva della Germania nazista di Adolf Hitler, non ne voleva sapere di accettare la sconfitta. Addirittura, nei primi tempi e per qualche decennio, fu negata ogni conseguenza sui civili, ed il presidente Harry Truman annunciò che le bombe erano state lanciate su delle basi militari. Ma qual è la verità?
LA GENESI DELLA BOMBA ATOMICA
È nel 1938 che tutto ebbe inizio, quando i tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann scoprirono la fissione nucleare. Una scoperta che, a lungo, fece temere un possibile utilizzo da parte dei nazisti della bomba più potente che potesse essere concepita all’epoca. La paura fu tale che, nel 1942, gli Stati Uniti lanciarono il “progetto Manhattan”, diretto da Leslie Groves e Robert Oppenheimer, il quale portò ai suoi frutti il 16 luglio 1945, con il completamento dell’ordigno ed il primo test nucleare della storia, denominato “Trinity” e condotto a Socorro, nel deserto del Nuovo Messico, e successivamente con il test dell’isola di Tinian, nell’arcipelago delle Marianne, situato nell’Oceano Pacifico (ricordiamo che in questo momento la Germania era già uscita sconfitta dalla guerra). Con questo primo gesto, gli Stati Uniti divennero il primo Paese a dimostrare di avere non solamente la tecnologia per l’utilizzo della bomba atomica, ma la bomba atomica stessa. Poi, il lancio delle bombe sul Giappone, con almeno 250.000 morti e 313.000 contaminati, senza dimenticare le conseguenze a lungo termine, tra malattie e malformazioni alla nascita per esseri umani ed animali.
IL BRACCIO DI FERRO CON L’UNIONE SOVIETICA
Di fatto, però, l’attacco finale di Washington sul Giappone era iniziato già nel marzo del 1945, con la “pioggia di distruzione” voluta da Harry Truman, il presidente che da poco aveva preso il posto del deceduto Franklin Delano Roosevelt. Questo piano ridusse già la potenza nipponica ad una piccola roccaforte, con l’intero impero che era stato costruito in quegli anni nell’Asia orientale e nel Pacifico oramai perduto. Il Giappone era pronto a capitolare, ma sperava di avere un certo margine per contrattarne le condizioni, per questo decise di temporeggiare. Una scelta che diede a Truman il buon pretesto per lanciare le due bombe atomiche, non tanto per causare l’immediata capitolazione (che sarebbe poi avvenuta il 14 agosto 1945) di un Paese già ridotto in ginocchio, ma per dare una prova di forza a Mosca, visto che, immediatamente dopo la caduta della Germania nazista, Washington individuò nell’Unione Sovietica il nuovo nemico. Non è un caso, infatti, che lo stesso Truman avesse spinto per realizzare il test delle Marianne prima della conferenza di Potsdam, potendosi così presentare al cospetto di Winston Churchill e soprattutto di Stalin con il coltello dalla parte del manico. Fu infatti lo stesso Truman che informò il leader sovietico ed il ministro degli esteri sovietico Vjačeslav Molotov della realizzazione della bomba in quel di Potsdam, anche se, con gran sorpresa del presidente statunitense, Josip Stalin rispose di esserne già al corrente.
In pratica, con il lancio delle due bombe atomiche, Truman provò la propria superiorità in tema di armamenti nei confronti di Mosca (momentaneamente, perché ben presto anche i sovietici avrebbero avuto la loro bomba atomica, sulla quale già stavano lavorando all’insaputa di Washington), fatto già intuito a quell’epoca da filosofo francese Albert Camus, ed evitò che fosse l’Armata Rossa ad occupare il Giappone prima del proprio esercito. Con la sconfitta definitiva della Germania, infatti, l’Unione Sovietica si impegnò a sua volta sul fronte pacifico, e, attraverso l’isola di di Sakhalin, a pochi chilometri dalle coste nipponiche, avrebbero potuto invadere il Paese molto prima degli Stati Uniti. Anticipando la capitolazione nipponica, Truman ottenne un’occupazione a stelle e strisce del suolo giapponese, portandolo di fatto nella propria orbita, nonostante in molti, compreso il generale Dwight Eisenhower, si fossero espressi contro il lancio delle bombe atomiche. Di fatto, non solo sarebbe stato inutile il lancio della bomba su Hiroshima, ma quello su Nagasaki fu ancor più ingiustificato: già dopo l’esplosione del primo ordigno, infatti, il primo ministro giapponese Kantarō Suzuki si disse pronto a firmare la resa incondizionata. “Il Giappone era pronto a capitolare, colpirlo con questa cosa mostruosa era totalmente inutile”, avrebbe poi ammesso nel 1963 proprio Eisenhower.
Possiamo dunque dire a ragione che l’esplosione dei due ordigni nucleari sulle città di Hiroshima e Nagasaki rappresenta al contempo l’ultimo atto della seconda guerra mondiale ed il primo atto della guerra fredda, che avrebbe poi determinato gli scenari planetari per i decenni successivi. Tra l’altro, in pochi sanno che la USAAF (United States Army Air Forces) aveva già pronto un terzo ordigno per colpire Tokyo nel caso in cui i nipponici avessero deciso di non concedere la capitolazione immediata.
LE CONSEGUENZE DELLE BOMBE ATOMICHE
Con la capitolazione nipponica, gli Stati Uniti si trovarono in pratica ad occupare il Giappone ed a determinarne le politiche per i decenni che seguiranno. La costituzione del 1946 fu di fatto dettata dalla potenza occupante, rappresentata in loco dal generale Douglas MacArthur. Questa prevedeva che il Giappone non potesse possedere un esercito se non per motivi di autodifesa, e vennero così istituite le Jieitai, le Forze di autodifesa giapponesi, denominate in inglese Japan Self-Defense Forces (JSDF). Solamente con il passare del tempo, la costituzione derivante dall’occupazione ha subito alcuni emendamenti, e le armate nipponiche sono state ammesse in alcune operazioni internazionali per il mantenimento della pace.
Al di là degli eventi bellici, ciò che colpì di quegli episodi furono le gravi conseguenze che si verificarono sulla popolazione civile. Già nel 1948, furono proprio dei ricercatori statunitensi i primi a mettere in evidenza gli effetti delle radiazioni tra coloro che erano sopravvissuti al disastro nucleare. In particolare, la ABCC (Atomic Bomb Casualty Commission) riportò degli aumenti di malformazioni alla nascita tra i figli dei superstiti, soprattutto difetti riguardanti il cervello (microcefalia o addirittura anencefalia, cioè assenza totale dell’encefalo), con tassi di 2.75 volte superiori rispetto a quelli delle aree non colpite. Ad aumentare negli anni successivi fu anche il tasso di morti per cancro, compresa la leucemia, con almeno 1.900 decessi direttamente riconducibili all’esposizione alle radiazioni, come riportato dalla RERF (Raditation Effects Research Foudation).
Chiudiamo proprio con un estratto del commento di Albert Camus, che scrisse così l’8 agosto del 1945 per l’editoriale del giornale francese Combat, circa l’esplosione dell’ordigno nucleare di Hiroshima: “Se i giapponesi capitolano dopo la distruzione di Hiroshima e sotto il suo effetto intimidatorio, noi ne saremo felici. Ma non intendiamo far discendere da una notizia tanto grave altra decisione se non quella di perorare con ancora maggior forza la causa di una vera organizzazione internazionale nella quale le grandi potenze non abbiano diritti superiori a quelli delle piccole e medie nazioni e nella quale la guerra, flagello divenuto mortale per il solo effetto dell’intelligenza umana, non dipenda più dagli appetiti o dalle dottrine politiche di questo o quello Stato. Dinanzi alle terrificanti prospettive che si aprono agli occhi dell’umanità, ci convinciamo ancor meglio che quella per la pace è l’unica battaglia che valga la pena di combattere. Non è più una preghiera, è un ordine che deve sospingere i popoli contro i governi, l’ordine di scegliere definitivamente tra l’inferno e la ragione“.
BIBLIOGRAFIA
Albert CAMUS (8 agosto 1945), Combat (editoriale)
Jean-Baptise DUROSELLE (1998), Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni
John RAWLS (1995), Hiroshima, non dovevamo