Gli italiani sono, di tutti i cittadini, tra quelli che spendono di più per i propri investimenti.
Quella per la gestione delle proprie finanze è una delle principali voci di spesa per molte famiglie, anche se spesso non esiste contezza di questo. Basta immaginare il caso di una famiglia che abbia una cifra di 100 mila euro investita attraverso la propria banca: non è irragionevole pensare che la spesa per gestire questi investimenti sia compresa tra i 2000 e i 3000 annuo: immaginate di moltiplicare questa cifra negli anni? Ecco perché una piccola differenza percentuale nelle commissioni può arrivare a costare a una famiglia anche cifre nell’ordine delle decine di migliaia di euro.
Ma come si posiziona l’industria italiana dei fondi e la sua rete di distribuzione?
Un recente report di questa tipologia più recenti è quello dell’ESMA (European Securities Markets Authority), l’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati ha comparato i costi dei fondi commercializzati in Italia e in altri Paesi europei.
Gli studi suggeriscono che i costi totali dei fondi di investimento sono in media circa l’1,58%. Queste vuol dire che per particolari tipologie di fondi, come per esempio quelli azionari e bilanciati il costo può superare il 2%. Secondo l’Esma i fondi italiani sono i più costosi in Europa insieme a quelli del Portogallo.
Come si spiega questa caratteristica dell’industria italiana?
Andando a leggere a fondo nel report si trova la soluzione. In Italia il 70% dei costi relativi al fondi serve a pagare il canale distributivo, ovvero le reti di vendita. Va cioè alla rete che colloca il prodotto. Si tratta di una voce di costo spesso neanche nota al cliente, che quando si rivolge alla banca o all’intermediario pensa di ricevere una consulenza gratuita, quando in realtà il costo del prodotto viene direttamente scalato dall’investimento.
Altro tema è quello della trasparenza dei costi: moltissimi investitori (più di uno su due secondo un recente studio Ubs) non sanno neanche quanto stanno pagando per i propri investimenti. Insomma i risparmiatori italiani pagano le inefficienze dell’industria del risparmio senza spesso rendersene conto.
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