Le elezioni presidenziali del 9 maggio hanno emesso il loro verdetto: Moon Jae-in è il nuovo presidente della Repubblica di Corea, più nota al pubblico occidentale con l’appellativo di Corea del Sud. Il candidato del Partito Minju (o Partito Democratico di Corea) ha infatti ottenuto il 41.08% delle preferenze, una risultato che gli vale la carica di capo di stato, visto che nel Paese è in vigore il sistema elettorale del first-past-the-post (ovvero viene eletto direttamente il candidato più votato, senza bisogno di un secondo turno).
L’ANTEFATTO: L’IMPEACHMENT DI PARK GEUN-HYE
Eletta nel 2013, Park Geun-hye era divenuta la prima presidente donna della Corea del Sud, nonché il primo capo di stato donna eletto in un Paese dell’Asia orientale. Nell’ottobre 2016, però, l’assistente di Park, Choi Soon-sil, che non ricopriva ruoli ufficiali di governo, è stata accusata di aver utilizzato la sua influenza per ottenere delle donazioni da parte di alcune grandi imprese del Paese, come la Samsung e la Hyundai, a due fondazioni da lei presiedute. Allo scandalo ha fatto seguito l’arresto di Choi ed il coinvolgimento della presidente Park, che avrebbe concesso delle agevolazioni alla sua assistente per raggiungere lo scopo.
Nonostante le scuse ufficiali di Park Geun-hye, reiterate in ben tre occasioni, le strade della capitale Seoul e delle altre principali città del Paese sono state invase da cortei di protesta, spingendo alle dimissioni il capo di stato. Come previsto dalla costituzione, il 9 dicembre ha avuto luogo la votazione per l’impeachment, mentre il primo ministro Hwang Kyo-ahn assumeva provvisoriamente la carica di numero uno del Paese. Il 10 marzo, la Corte Costituzione ha ufficializzato la destituzione di Park e l’indizione di nuove elezioni per la scelta del successore alla presidenza.
I RISULTATI: VITTORIA SCHIACCIANTE DI MOON JAE-IN
Il verdetto delle elezioni presidenziali, di fatto, era già scritto, visto che tutti i sondaggi davano nettamente in vantaggio Moon Jae-In. Il candidato del Partito Minju ha avuto la strada spianata proprio dallo scandalo che ha coinvolto Park Geun-Hye, appartenente al Partito Saenuri (o Partito Liberty Korea), sulla carta forza rivale del Minju. La sfiducia degli elettori nei confronti dell’ormai ex presidente è stata pagata dal candidato Hong Jun-pyo, che ha ottenuto solamente il 24.03% delle preferenze, finendo dunque lontano dagli oltre quaranta punti percentuali del neoeletto presidente, il dodicesimo nella storia della Repubblica di Corea, che ha immediatamente assunto la carica.
Buono il riscontro di Ahn Cheol-soo del Partito Popolare, che si è classificato in terza posizione con il 21.41% delle preferenze, mentre nessuno degli altri dieci candidati ha superato il 10% delle preferenze.
LA POLITICA ESTERA DI MOON JAE-IN: RIAVVICINAMENTO CON LA COREA DEL NORD
In passato, Moon Jae-In era stato ampiamente criticato per le sue dichiarazioni riguardanti la Corea del Nord (ufficialmente Repubblica Popolare Democratica di Corea), proclamandosi apertamente favorevole ad una riunificazione pacifica delle due parti sotto un’unica bandiera, anche con il possibile mantenimento di due sistemi economici diversi. Naturalmente quello della riunificazione sarebbe un obiettivo a lungo termine, ma certamente la volontà del nuovo presidente è di riavvicinare le due parti e mettersi alle spalle le tensioni. Durante la campagna elettorale, Moon ha infatti affermato che la sua prima visita ufficiale dopo l’elezione sarà proprio a Pyongyang, per incontrare il suo alter ego Kim Jong-Un. Il nuovo presidente sembra dunque voler rinverdire la Sunshine policy attuata dai suoi predecessori tra il 1998 ed il 2008, che aveva portato ad un riavvicinamento tra le due Coree, sia dal punto di vista economico che politico.
Poiché i rapporti con la Corea del Nord rappresentano uno dei punti cardine delle politiche di Seoul, nonché uno dei temi più scottanti nel corso delle campagne elettorali, è legittimo pensare che il popolo sudcoreano abbia scelto con lungimiranza di premiare Moon in un momento in cui le tensioni con Pyeongyang erano in aumento, con l’obiettivo di calmare le acque e rinormalizzare le relazioni tra le due parti. Il periodo della Sunshine policy, condotta soprattutto dal presidente Kim Dae-jung (che per questo fu anche insignito del Premio Nobel per la Pace) è infatti ricordato come il più pacifico nella penisola coreana dal dopoguerra. L’elezione di e Lee Myung-bak nel 2008, ha invece rappresentato una svolta di netto deterioramento dei rapporti tra Nord e Sud, fino alle recenti crisi che ben conosciamo.
Moon si è dimostrato dunque molto pragmatico per quanto riguarda la politica estera: da un alto sa che la pace e la stabilità del suo Paese dipendono molto dalle buone relazioni con la Corea comunista, ma dall’altro sa che Seoul è strettamente legata a Washington. Il neopresidente ha voluto infatti tranquillizzare l’ingombrante alleato ringraziando gli Stati Uniti per il contributo dato allo sviluppo economico della Corea del Sud dal dopoguerra in poi, ma ha anche affermato che la Corea del Sud “dovrebbe adottare una diplomazia di confronto con gli Stati Uniti, con la possibilità di dire di no agli americani”. Secondo Moon, inoltre, “la Corea dovrebbe prendere le redini degli affari interni alla penisola coreana”. Sarà dunque molto interessante vedere quali saranno gli sviluppi delle politiche del nuovo presidente nelle relazioni con la Corea del Nord e gli Stati Uniti.
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