I recenti avvenimenti del conflitto siriano hanno riportato alla luce l’argomento riguardante il possesso e l’uso di armi chimiche, tematiche che attualmente sarebbe regolata, secondo il diritto internazionale, dalla Convenzione sulle Armi Chimiche del 1993. Quest’ultima prevede il divieto di produrre armi chimiche e l’obbligo, per gli stati contraenti che già le posseggono, di distruggere il proprio arsenale. Ad oggi, sebbene siano solamente quattro gli stati che non hanno aderito alla Convenzione (Israele, Corea del Nord, Egitto e Sudan del Sud), sono invero ancora molti quelli che posseggono un arsenale di questo genere.
Il possesso o l’uso di armi chimiche è stato spesso utilizzato come pretesto per “bombardamenti umanitari” ed invasioni di vario tipo, dall’Iraq alla Siria, ma la storia passata e recente ci dice che in realtà sono gli Stati Uniti – e, in secondo luogo, le altre potenze occidentali – ad averne fatto uso in maniera massiccia. Vediamo alcuni casi storici rilevanti.
IL CASO ITALIANO: LA GUERRA D’ETIOPIA
Dopo la prima guerra mondiale, nella quale tutte le potenze avevano già fatto uso massiccio di queste armi non convenzionali, la Società delle Nazioni – considerata come la progenitrice delle Nazioni Unite – tentò per prima di regolare l’uso degli arsenali chimici. In barba agli accordi presi, l’Italia ne usufruì nella sua campagna d’Etiopia, che già in sé violava gli accordi internazionali, in quanto metteva a repentaglio l’integrità e la sovranità di uno stato indipendente e membro della stessa Società delle Nazioni. Fu Benito Mussolini in persona ad autorizzare l’utilizzo di armi chimiche contro l’esercito del Paese africano guidato del negus Hailé Selassié, colpendo anche civili ed addirittura l’ospedale da campo svedese con i contrassegni della Croce Rossa – ennesima violazione del diritto internazionale. In questo triste episodio della storia italiana, studiato soprattutto dell’eminente storico Giorgio Rochat, furono utilizzate sostanze quali fosgene, cloropicrina, iprite, arsina e lewisite, per un totale di almeno 85 tonnellate. Secondo molti pareri, l’impiego di armi chimiche fu decisivo nell’esito della guerra in favore dell’Italia.
LA GUERRA DEL VIETNAM
Cosa può accadere quando un territorio è sottoposto a bombardamenti a tappeto con armi chimiche in un tempo prolungato? Per saperlo, basta vedere quanto si è verificato dopo la guerra del Vietnam, al termine di un decennio (1961-1971) nel quale gli Stati Uniti si sono ostinati ad utilizzare armi non convenzionali, in particolare defolianti come l’Agente Arancio, contenente diossine, e gli altri “Erbicidi Arcobaleno” (denominati Agente Rosa, Agente Verde, Agente Porpora, Agente Blu ed Agente Bianco), con la scusa di stanare i Việt Cộng che si rifugiavano nella lussureggiante vegetazione vietnamita. Al di là alla distruzione di gran parte della flora della foresta tropicale, che ancora oggi ne subisce le conseguenze, si è verificato un netto aumento delle malattie e delle malformazioni alla nascita, effetti che a loro volta continuano anche ai nostri giorni. Inoltre, le sostanze tossiche hanno distrutto o avvelenato gran parte delle coltivazioni, entrando dunque nella catena alimentare sia degli animali che degli esseri umani. Secondo i dati del governo di Hanoi, sono almeno quattro milioni i civili morti in maniera diretta per avvelenamento da diossina, senza dimenticare che, in alcune aree del Paese, la concentrazione di questa sostanza è tutt’ora di cento volte superiore rispetto al normale.
Nel caso vietnamita, però, le conseguenze le subirono non solo i vietnamiti (indistintamente civili e non), ma anche i soldati statunitensi che presero parte alle operazioni militari di questa lunga e sanguinosa guerra: i veterani hanno infatti sofferto di numerose forme di tumori, diabete ed altre malattie, con tassi ben oltre la norma registrati anche tra i bambini di questi stessi soldati, spesso affetti da problemi neuropatici e spina bifida.
IL BOMBARDAMENTO DI FALLUJAH (IRAQ)
Veniamo dunque ad avvenimenti più prossimi a noi, ed alla guerra in Iraq. Nel 2004, l’esercito statunitense bombardò la città di Fallujah utilizzando diverse armi comprese quelle al fosforo bianco. Secondo alcuni ricercatori britannici, solamente un’esposizione ad agenti mutanti e radioattivi può spiegare i dati allarmanti di questa città: i casi di cancro sono quadruplicati rispetto al passato, mentre i casi di tumori nei bambini si sono addirittura moltiplicati di quattordici volte, senza dimenticare l’incremento esponenziale della mortalità infantile e del tasso delle malattie congenite. I dati sono stati raccolti in uno studio intitolato “Cancer, Infant Mortality and Birth Sex-Ratio in Fallujah, Iraq 2005-2009″ nel quale si paragonano le conseguenze dei bombardamenti di Fallujah con quelle che si sono verificate ad Hiroshima e Nagasaki dopo lo sgancio delle due bombe atomiche. La conclusione? Quanto sta accadendo nella città irachena sarebbe ancora peggiore rispetto a ciò che è successo in Giappone: gli incrementi delle malattie sono addirittura superiori e, proprio come nelle città colpite dalle bombe nucleari, le malformazioni congenite e le morti premature colpiscono sopratutto i bambini di sesso maschile, stravolgendo quello che dovrebbe essere un sex ratio equilibrato tra maschi e femmine all’interno della popolazione.
I DUE CASI SIRIANI
Arriviamo così ai giorni nostri ed al conflitto in Siria. Il primo caso di utilizzo di armi chimiche in quest’ambito risale al 2013, quando Barack Obama fu quasi spinto all’intervento dopo un attacco chimico avvenuto a Ghota nel mese di agosto, del quale naturalmente fu accusato in primo luogo il presidente siriano Bashar al-Assad. Solamente in seguito, quando i riflettori si erano oramai spenti sull’episodio, il giornalista britannico Seymour Hersh svelò che l’attacco era con ogni probabilità stato eseguito dai ribelli, spalleggiati dalla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, che voleva creare le condizioni per un intervento statunitense in Siria.
Ciò che a molti è sfuggito, è che, in seguito a questo episodio, lo stesso Assad consegnò il proprio arsenale chimico come previsto da una risoluzione delle Nazioni Unite, la numero 2118 del 27 settembre 2013. Secondo i dati ufficiali, le ultime armi chimiche siriane furono distrutte il 23 giugno 2014, e ad occuparsi dello smantellamento dell’arsenale furono proprio gli Stati Uniti. Tenendo conto di ciò, la versione secondo la quale il recente attacco di Khan Shaykhun sarebbe stato opera di Assad, appare quanto meno dubbia: vorrebbe infatti dire che il suo arsenale chimico non è in realtà stato completamente distrutto. Lo studio indipendente di Theodore Postol, inoltre, ha messo in evidenza come l’attacco non sia avvenuto per via aerea – come vorrebbe la versione ufficiale – ma da terra, ridicolizzando di fatto l’attacco all’aviazione siriana perpetrato da Donald Trump. Probabilmente, come nel caso dell’attacco del 2013, dovremo aspettare un bel po’ prima di conoscere i nomi dei veri attori che si celano dietro questa operazione.
BIBLIOGRAFIA
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DOVERT, Stéphane & DE TRÉGLODÉ, Benoît (2004), Viêt Nam contemporain
DUROSELLE, Jean-Baptiste (1998), Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni
LAM, Truong Buu (2010), A Story of Vietnam