Un dibattito che tiene banco in tutti i Paesi europei ai nostri giorni è quello sull’accoglienza ai rifugiati, figura che si distingue dal migrante in generale, in quanto il termine “rifugiato” viene indicato per designare un individuo che “temendo a ragione di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale Paese”, come recita il primo articolo della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951. In Italia come altrove, lo schema del dibattito sembra essere sempre lo stesso, con una destra estremamente contraria, che si basa molto spesso su espressioni populiste e slogan che parlano più alla pancia che alla testa delle persone, ed una sinistra più aperta all’accoglienza, seppur fallace nell’individuare le vere radici della problematica e le conseguenti soluzioni.
Questo schema, scolpito nella pietra per molti, è stato messo a repentaglio da ciò che sta accadendo in questi giorni in Belgio, dove Theo Francken, segretario di stato all’Asilo ed alle Migrazioni, si è detto disposto ad accogliere 2.700 rifugiati. A destare scalpore è soprattutto l’appartenenza politica di Francken al partito fiammingo NVA (Nieuw-Vlaamse Alliantie), forza nazionalista, che dunque, secondo le dinamiche tradizionali che abbiamo esposto in precedenza, ci aspetteremmo essere assolutamente contraria a questo genere di proposta. Probabilmente spiazzati dalle dichiarazioni di Francken, i socialisti del PS (Parti Socialiste) dell’ormai ex premier Elio Di Rupo non hanno saputo far altro che rispondere con una secca negazione, forse per il semplice fatto di dover giocare il ruolo dell’opposizione al governo di Charles Michel e di sentirsi dunque costretti a contraddire qualsiasi proposta dello stesso.
In realtà, le proteste dei socialisti sarebbero legate soprattutto alla figura di Rudy Demotte, Ministro-Presidente della Comunità francese, la federazione di Vallonia-Bruxelles, ed ex sindaco della città di Tournai, località verso la quale Francken vorrebbe destinare settecento rifugiati. Il governo ha di conseguenza accusato i socialisti di mancanza di solidarietà ed umanità, con Olivier Chastel, leader della forza liberale MR (Mouvement Réformateur), a sua volta interna al governo, che ha parlato di “sindrome di Nimby: not in my backyard, non nel mio giardino”. Francken ha anche aggiunto di voler lavorare “per far comprendere che l’immigrazione deve essere un asso nella manica. Un paese senza immigrazione è disastroso!”, ha dichiarato. Frasi che ci aspetteremmo piuttosto da un politico di centrosinistra.
A dirla tutta, anche la proposta di Francken di accogliere 2700 rifugiati richiedenti asilo sarebbe insufficiente a rispondere adeguatamente alla domanda: nel solo mese di luglio, il Belgio ha ricevuto più di tremila domande, mentre nel mese di agosto stiamo viaggiando verso le quattromila. Il nuovo ministro, dunque, non ha fatto altro che recuperare i 1200 posti che erano stati negati dal precedente governo a guida socialista. Va anche aggiunto che, con una popolazione pari ad un sesto di quella italiana ed una superficie pari ad un decimo di quella del nostro Paese, il Belgio riceve molte più domande per abitante rispetto all’Italia (circa 400 per ogni milione di abitante per Roma contro le oltre 1.900 di Bruxelles).
In questo dibattito che ha del surreale, l’unica che ha realmente centrato la questione ci sembra essere Claire Geraets del partito marxista-leninista PTB-PVDA (Parti du travail de Belgique – Partij van de Arbeid van België): “Non possiamo accaparrarci tutta la ricchezza del mondo e rifiutarne le conseguenze”, ha dichiarato. “Se l’1% della popolazione mondiale possiede il 48% delle ricchezze, ciò non può che avere delle conseguenze sul restante 99%”, ha poi aggiunto, ricordando le responsabilità dei governi europei e degli Stati Uniti nella maggior parte delle guerre che attanagliano l’Africa settentrionale ed il Medio Oriente. Geraets, tra l’altro, si è recentemente recata a Lampedusa per valutare le condizioni dei profughi e portarne testimonianza nel suo Paese.